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Big Tech, perché è l’IA la grande nube sul futuro



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Pesano sulle maggiori imprese tech le accuse di comportamenti monopolistici e la reale valenza economica dell’intelligenza artificiale generativa, al momento difficile da valutare, su cui le top six stanno facendo grosse scommesse. Un’analisi delle reazioni del mercato alle trimestrali e dei fattori che potrebbero avere influenza sul futuro

Pubblicato il 8 mag 2024

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



big tech

Apple è stata l’ultima fra le big five a presentare la trimestrale – il 2 maggio – due giorni dopo quella di Amazon. Nella settimana precedente era stata Meta ad “aprire le danze” il 24 aprile, seguita il 25 da Microsoft e Alphabet. Mentre Nvidia, l’ultima – aggiungendosi alle big five – a essere entrata nel club delle imprese con la maggior capitalizzazione al mondo (Tab. 1), farà la sua presentazione il 22 maggio.

I risultati – come ampiamente discusso sulla stampa (per le prime tre anche da me su Agenda Digitale) – sono stati tutti in linea con le aspettative degli analisti, quando non le hanno superate, e con poche eccezioni in crescita rispetto a un anno fa. Ma non intendo con questo articolo ritornare sui dettagli dei risultati del I semestre, né su quelli delle aspettative sul semestre in corso.

I due fattori che pesano sul futuro delle big tech

Voglio piuttosto dare uno sguardo d’insieme a come il mercato finanziario ha complessivamente reagito alle presentazioni stesse e soffermarmi su due importanti tematiche, oggetto di attenzione della grande stampa economica internazionale nei giorni scorsi, che potrebbero avere rilevanti impatti sul futuro delle big five (o se si allarga il discorso a Nvidia di quelle che io chiamo le top six):

  • l’esito delle accuse di comportamenti monopolistici contro quattro di esse, da parte delle due authority in cui si articola l’antitrust statunitense (il Justice Department e la FTC-Federal Trade Commission), che inizierà a vedersi nelle prossime settimane o mesi con la sentenza del giudice federale – a dibattito ormai concluso – sulle accuse a Google di aver costruito un monopolio nel search: il più importante caso antitrust dopo la chiusura, circa un quarto di secolo fa, del celebre caso Microsoft (che nella prima sentenza prevedeva addirittura la spaccatura in due tronconi di Microsoft stessa);
  • la reale valenza economica dell’intelligenza artificiale generativa, al momento difficile da valutare, su cui le top six stanno facendo grosse scommesse con investimenti annui che per alcune di esse superano i 50 miliardi di dollari.

Quasi “calma piatta” nelle valutazioni sul mercato delle big five prima e dopo le trimestrali

Uno sguardo alle differenze nelle valutazioni di mercato delle big five – nonché di Nvidia – fra il 3 maggio (giorno successivo all’ultima presentazione) e il 12 aprile (data che ho scelto a caso precedente alla prima) mette in luce che:

  • le variazioni, soprattutto se considerate in termini percentuali, sono state relativamente modeste: a testimonianza del fatto che i risultati presentati – anche quando inferiori (come alcuni numeri di Apple) ai corrispondenti dell’anno precedente – sono stati quasi sempre un po’ superiori rispetto alle previsioni degli analisti
  • le crescite e i cali di valore si sono almeno in parte compensati, per cui la somma delle variazioni delle big five e ancor più quella delle top six sono inferiori all’1%;
  • Meta appare come l’impresa più punita (- 12,2%), nonostante i brillanti risultati del trimestre;
  • Alphabet-Google (+ 5,6%) e Apple (+ 3,7%), quest’ultima nonostante i risultati non tutti brillanti, appaiono invece come le più premiate;
  • Microsoft (- 3,5%) appare tra i puniti, ma in realtà – da quando pochi mesi fa ha soppiantato Apple ai vertici – ha una capitalizzazione che continua ad oscillare attorno alla soglia dei 3 trilioni;
  • Amazon (- 1,5%) ha anch’essa una capitalizzazione che continua ad oscillare, dopo il notevole balzo fatto in precedenza, poco sotto la soglia dei 2 trilioni.

Perché Meta è stata “punita”

Perché Meta è stata sensibilmente colpita, dopo il successo della presentazione di febbraio e i buoni risultati annunciati? Due le cause

  • la prima: i dubbi espressi in sede di presentazione sull’andamento del trimestre in corso, a fronte delle attese positive delle altre 4;
  • la seconda, forse di impatto maggiore: l’annuncio dell’innalzamento degli investimenti previsti per l’anno a 40 miliardi di dollari – parte nell’IA generativa e parte nella realtà virtuale/aumentata e nella costruzione dell’avatar-filled metaverse – investimenti giudicati incerti nei ritorni ed eccessivi se rapportati a ricavi e utili. Duro il giudizio del Financial Times a tale proposito, sulla “monetizzabilità” dei primi (“AI is a multibillion-dollar project with no clear timeline for revenues”) e sulle continue perdite (3,85 miliardi di $ nel solo I trimestre e destinate a crescere) della divisione Reality Labs che gestisce i secondi.

…e perché Apple e Google sono state premiate

Perché sono state premiate Alphabet-Google e ancor più – nonostante il robusto calo di vendite dell’iPhone – Apple? Due motivazioni, una più legata alle prospettive di business annunciate e l’altra legata a quella che potremmo definire una captatio benevolentiae degli azionisti.

Alphabet è sicuramente piaciuta per la forte determinazione che continua a mostrare nel perseguimento dell’efficienza, anche con frequenti tagli mirati del personale che fanno seguito a quelli massicci precedenti;

Apple ha promesso, in risposta alle frequenti accuse sui suoi ritardi nell’IA generativa, annunci a breve sui progetti in fase di lancio – “Tim Cook was bullish about the prospects of new generative artificial intelligence features boosting hardware sales and promised more detail in the weeks ahead” (Tim Cook si è mostrato ottimista sulle prospettive delle nuove funzioni di intelligenza artificiale generativa che incrementeranno le vendite di hardware e ha promesso maggiori dettagli nelle prossime settimane”, in FT “Apple shares rise as revenue falls less than feared despite rocky quarter”) – e ha espresso ottimismo sull’andamento del semestre in corso; ambedue hanno giocato, come detto, la carta della captatio benevolentiae con gli azionisti: confermando Alphabet la fissazione a 70 miliardi di dollari del buyback e portandolo a 110 miliardi Apple; elevando Apple i dividendi e introducendoli per la prima volta Alphabet (la stessa operazione fatta da Meta in occasione della trimestrale precedente con una forte crescita del titolo).

La minacciosa ombra dell’antitrust statunitense sul futuro delle big four

Parlo un po’ impropriamente di big four nel titolo perché Microsoft, dopo la durissima battaglia con l’antitrust conclusasi un quarto di secolo fa, è l’unica delle big five a non essere sotto attacco né da parte dal Justice Department né dalla FTC. Ma il tema dei pericoli potenzialmente derivanti alle altre quattro dalle cause in corso, che sembra al momento essere quasi ignorato dai mercati, sta diventando molto rilevante: e questo perché dopo i lunghi anni che ciascuna di queste procedure richiede, la prima sentenza – quella relativa all’accusa di monopolio nel search a Google (che coinvolgerà anche Apple per la posizione di motore di ricerca by default sull’iPhone garantita alla stessa Google a fronte di un pagamento annuo che sembra essere pari a 20 miliardi di dollari) avanzata dal Justice Department – potrebbe essere emessa a breve dal giudice federale cui è stata affidata la decisione.

“U.S. Antitrust Case Against Google Is Just the Start: As the Justice Department’s case against Google nears an end, the federal government has more suits in the pipeline trying to rein in Big Tech” (Il caso antitrust degli Stati Uniti contro Google è solo l’inizio: Mentre il caso del Dipartimento di Giustizia contro Google si avvicina alla fine, il governo federale ha in cantiere altre cause per cercare di controllare le Big Tech.) è il titolo di un articolo di The New York Times del 3 maggio, che fa anche un elenco delle altre cause in corso, da parte del Justice Department:

  • la seconda contro Google, relativa in questo caso a pratiche monopolistiche nell’advertising,
  • quella recente contro Apple, accusata di comportamenti monopolistici nella gestione dei servizi legati all’iPhone: “Apple blocked companies from offering applications that competed with Apple products like cloud-based streaming apps, messaging and the digital wallet” (“Apple ha impedito alle aziende di offrire applicazioni in concorrenza con i prodotti Apple, come le app di streaming basate su cloud, la messaggistica e il portafoglio digitale”);

e da parte della FTC

  • contro Amazon, con l’accusa di “protecting a monopoly by squeezing sellers on its vast marketplace and favoring its own services” (“proteggere un monopolio comprimendo i venditori sul suo vasto mercato e favorendo i propri servizi”), nonché di aver arrecato danni ai consumatori, provocando in certi casi prezzi artificialmente più alti impedendo ai venditori operanti sul suo sito di offrire gli stessi prodotti a minor prezzo su altri siti;
  • contro Meta, con l’accusa di aver creato un monopolio nei social media con l’acquisizione (peraltro all’epoca autorizzata dalle authority antitrust su scala mondiale) di Instagram e WhatsApp e di aver così privato i consumatori di piattaforme alternative a quella di Meta stessa: un’accusa bloccata dal giudice federale, per l’assenza di una chiara definizione dei confini del monopolio, ma non respinta definitivamente per la concessione fatta a FTC di poter riformulare l’accusa.

La sentenza relativa al primo caso Google è ritenuta particolarmente importante non solo per sé, ma per l’influenza che essa potrà avere, nell’accettare o respingere le diverse motivazioni e nello stabilire i cosiddetti “rimedi”, sulle cause discusse successivamente.

Credo interessante a tale scopo riportare alcuni orientamenti del giudice federale, emersi dal dibattito appena concluso e tratteggiati nel recentissimo articolo di The Wall Street Journal “The Google Antitrust Verdict Looms. Here’s What to Look For: Federal judge could issue a ruling this summer in government’s landmark case” (“Il verdetto dell’Antitrust su Google incombe. Ecco cosa aspettarsi: Un giudice federale potrebbe emettere una sentenza quest’estate sul caso storico del governo”).

Il giudice federale:

  • sul tema fondamentale della definizione dei confini del mercato in relazione al quale valutare la posizione più o meno monopolistica, ha condiviso la definizione più ristretta – e vorrei dire più usuale – del Justice Department, in cui Google appare con una quota del 90 per cento, a fronte di quella allargata di Google stessa, che vede tra le possibili fonti di informazione alternative al suo motore di ricerca (e a quelli direttamente concorrenti come Bing di Microsoft) “the social media app TikTok, the retailer Amazon, or travel booking sites such as Expedia”;
  • è apparso molto apprezzativo nei riguardi degli investimenti e delle innovazioni apportate da Google, dichiarando esplicitamente “I don’t think anybody would dispute that search today looks a lot different than it did 10 to 15 years ago and much of that—or some of that—is attributable to Google and its continuing efforts to innovate search” (“Credo che nessuno contesti il fatto che la ricerca oggi sia molto diversa da quella di 10-15 anni fa e che gran parte di questo, o parte di questo, sia attribuibile a Google e ai suoi continui sforzi per innovare la ricerca”). Ed è apparso condividere anche la tesi di Google che la posizione dominante nel search può essere attribuita ai “savvy early investments in smartphone technology” (“investimenti tempestivi nella tecnologia degli smartphone”), che come emerso dalle testimonianze colsero di sorpresa Microsoft, aggiungendo “That’s not anticompetitive the fact that Google was smart enough to get on the mobile bandwagon before Microsoft” (“Non è anticoncorrenziale il fatto che Google sia stata abbastanza intelligente da salire sul carro dei cellulari prima di Microsoft”);
  • ha riconosciuto che l’accordo con Apple rappresenta un limite alla competizione, ma ha anche provocatoriamente chiesto al rappresentante del Justice Department che cosa Google avrebbe dovuto fare a fronte dell’offerta di condivisione dei ritorni da parte di Apple “Should they have not competed? Should they have sat on the sidelines? Should they have lowered their rev-share [revenue-sharing agreement] offer? (“Non avrebbero dovuto competere? Avrebbero dovuto rimanere in disparte? Avrebbero dovuto abbassare la loro offerta di rev-share [accordo di condivisione dei ricavi]?)”.

Una ultima osservazione è opportuna sull’impatto che una possibile/probabile sentenza, che comporti la cessazione dell’accordo di condivisione dei ritorni, potrebbe avere su Apple: un impatto penso pesante, perché i 20 miliardi annui ora versati da Google sono pari a un quinto circa dell’utile netto di Apple e perché non credo che sarà facile per Apple sostituirli, se non in misura molto più ridotta, se non vuole rischiare accuse di comportamenti anti competitivi.

La grande incognita: la reale valenza economica dell’IA generativa

La sensazione che ho, quando si parla di IA generativa, è che spesso si guardi più (con un ottimismo non raramente venato di conflitti di interesse) a quello che l’IA generativa può o potrebbe permettere di fare che non alla valenza economica del suo utilizzo e/o degli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali che ne permettano/agevolino l’utilizzo. È comprensibile che ciò si faccia per una tecnologia in continua evoluzione, ma – più elevati sono gli investimenti richiesti per “rimanere in gara” in un comparto che tenderà presumibilmente a selezionare i suoi protagonisti – più il tema della valenza economica diventa importante.

E gli investimenti al momento rappresentano la voce più certa, a fronte viceversa della forte incertezza sui ritorni: sulla loro consistenza e sui tempi di payback. E sono investimenti molto rilevanti, dice Richard Waters (FT’s west coast editor) in un suo recente articolo focalizzato sulle tre big tech – Amazon, Microsoft e Alphabet-Google – titolari delle infrastrutture di cloud computing ai primi tre posti nel mondo,

  • evidenziando come la somma delle spese in conto capitale delle tre quest’anno supererà i 150 miliardi di dollari, 40 in più rispetto all’anno precedente, mentre i ricavi per Microsoft – la più attiva delle tre – attribuibili alla presenza nell’AI generativa (essenzialmente gli aumenti indotti nel fatturato del cloud) sono stimati in non più di 4 miliardi;
  • evidenziando anche come, in mancanza di certezze sui ritorni, esse cerchino di ridurne l’impatto “visivo” sul mercato (Alphabet-Google ha ad esempio prolungato i tempi di ammortamento) e/o di giustificarli con i picchi di utilizzo a breve-medio termine (non necessariamente sostenibili nel tempo) legati all’istruzione dei nuovi sistemi di IA e alla sperimentazione da parte delle imprese e istituzioni potenzialmente utilizzatrici;
  • aggiungendo la considerazione che “understanding where the technology is starting to yield real business results — and where it isn’t — will be key to distinguishing the AI winners from the AI losers in the coming months and years” (“capire dove la tecnologia sta iniziando a produrre risultati aziendali reali – e dove non lo sta facendo – sarà fondamentale per distinguere i vincitori dell’IA dai perdenti dell’IA nei prossimi mesi e anni”.).

Ai 150 miliardi delle tre si devono aggiungere i 40 circa (rispetto ai 28 del 2023) di Meta visti in precedenza, in parte però destinati al metaverso e alla VR/AR, che sono costati a Meta stessa la caduta in Borsa. Va notato a tale proposito che Meta, non disponendo di un suo cloud, ha più difficoltà al momento nel trovare una semplice via di monetizzazione.

Apple, di cui come detto non sono stati ancora esplicitati i progetti né quantizzati gli investimenti, seguirà presumibilmente una strada diversa, che le permetta allo stesso tempo di monetizzare e di rilanciare l’immagine di qualità tecnologica e le vendite degli iPhone: introdurre l’IA generativa negli iPhone stessi, nonché in alcuni degli altri dispostivi che fanno parte del suo portafoglio prodotti-servizi. Una strada per certi versi obbligata, se non vuole farsi precedere in questa mossa da Samsung e dai sempre più agguerriti concorrenti cinesi.

Nvidia è fra le top six l’unica ad avere più certezze sul mercato, anche se la sua attuale posizione quasi monopolistica potrebbe essere soggetta a erosioni, sia per l’emergere di concorrenti (fra cui le stesse big five che cercano di aumentare la quota di microprocessori fatti in casa) sia per le modifiche nella composizione della domanda (dovuta alle minori prestazioni richieste ai microprocessori nelle fasi di utilizzo dei modelli di AI rispetto a quelli indispensabili per la loro istruzione).

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