l'analisi di bertelè

Big tech troppo potenti con l’AI: ecco i rischi

Amazon, Microsoft e Alphabet-Google – ai primi tre posti nel cloud – potrebbero assumere un ruolo dominante nello sviluppo dell’AI generativa? Uccideranno la concorrenza? Forse è ancora presto per decretare vincitori e vinti, ma ci sono indicatori che lasciano poco spazio ai dubbi. Cosa faranno le Authority?

Pubblicato il 27 Apr 2023

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

sibylla oraculum

È curioso che le due principali protagoniste dello scontro sull’intelligenza artificiale (AI) degli ultimi mesi – Microsoft in posizione di attacco (con il supporto del ChatGPT di OpenAI di cui essa era stata una fondamentale finanziatrice) e Alphabet-Google in posizione di difesa della sua leadership sinora assoluta nel search ma forte della lunga attività di ricerca nell’AI stessa – abbiano presentato i dati relativi al primo trimestre di quest’anno nello stesso giorno, il 25 aprile.

È troppo presto, a soli cinque mesi dalla presentazione di ChatGPT e con i dati aggiornati solo a fine marzo, per dire se ci sarà un vincitore o se – come alcuni commentatori ritengono – ambedue, e insieme a esse Amazon con il suo cloud AWS, assumeranno un ruolo dominante nello sfruttamento dell’AI.

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Microsoft e Google, le trimestrali: affinità e divergenze

Quello che emerge dalle trimestrali, come indicano anche gli andamenti after market dei titoli, è la tenuta dei loro core business al di là delle previsioni degli analisti, in una fase particolarmente critica dell’economia che ha portato a un’ondata (ancora in corso) di licenziamenti in tutto il comparto tech.

Quello che differenzia le due imprese, al di là delle prospettive a lungo termine, sono le aspettative sul futuro prossimo: Microsoft ha parlato di una crescita delle entrate nel trimestre in corso e di un “disciplined spending”, mentre Google ha evidenziato da un lato l’incertezza (attribuita alla congiuntura in atto) sull’andamento dei ricavi e dall’altro la necessità di aumentare progressivamente nei prossimi mesi la capacità dei suoi data center, per gestire la maggiore domanda derivante dall’applicazione dell’intelligenza artificiale ai suoi diversi prodotti. “Google Is All About Cost Control Now”, titolava a tale proposito The Wall Street Journal, evidenziando le uscite di cassa che la società era comunque obbligata a sostenere per non perdere il passo nella gara con Microsoft a introdurre l’intelligenza artificiale generativa in tutti i suoi servizi (search, cloud e software). Una gara, è forse opportuno ricordarlo, fra due delle principali imprese del mondo per profitti e per capitalizzazione di Borsa:

  • l’utile netto del 2022 (calcolato come somma dei valori nelle quattro trimestrali) è stato pari a 82,6 miliardi di dollari per Microsoft (la terza posizione al mondo alle spalle di Saudi Aramco e Apple) e a 71,7 per Alphabet-Google (la sesta alle spalle anche delle due petrolifere Equinor e Exxon-Mobil);
  • Microsoft capitalizza poco più di 2 trilioni di dollari (terza al mondo alle spalle di Apple e Saudi Aramco), mentre Alphabet-Google solamente 1,34 (quarta davanti ad Amazon).

Il dominio dell’AI: le domande da porsi per il medio-lungo periodo

Guardando al medio-lungo termine, perché si ritiene che Amazon, Microsoft e Alphabet-Google – ai primi tre posti nel cloud – potrebbero assumere un ruolo dominante nello sviluppo dell’AI generativa, insieme forse con una o più delle altre big tech con esperienze nel comparto (Meta-Facebook, Apple e Tesla in primo luogo) piuttosto che con un’impresa come Nvidia specializzata nei microprocessori necessari per i supercomputer che gestiscono l’AI generativa stessa?

È possibile che esse riescano a prendere possesso del comparto, “uccidendo” la concorrenza delle startup innovative presenti nel comparto stesso o lavorando insieme a esse (come nel caso di Microsoft che ha reso possibile il decollo di OpenAI e ne ha ora una quota rilevante) o acquisendole integralmente o – se le authority antitrust statunitensi e UE frapporranno barriere – attirando al loro interno le persone più significative che in esse operano?

I rischi di una eccessiva concentrazione

Riporterò due punti di vista. Il primo è quello di un gruppo di ricercatori del MIT che hanno posto con forza il problema dei rischi di una eccessiva concentrazione in uno studio riportato nelle sue linee essenziali un mese fa dal Financial Times con il titolo “Risk of ‘industrial capture’ looms over AI revolution – A handful of individuals and corporations now control much of the resources and knowledge in the sector”, ove con il termine industrial capture lo studio fa riferimento al fatto che

  • i fondi pubblici destinati alla ricerca nell’AI, sia quelli allocati dalle agenzie governative statunitensi non-defence sia quelli pianificati dall’UE, sono ormai (il riferimento è ai numeri del 2021) una frazione di quelli messi in gioco dal mondo privato: 340 miliardi di dollari secondo le stime riportate nello studio stesso;
  • l’AI generativa, quale quella di GPT4, richiede enormi quantità di dati da digerire e una grandissima potenza di calcolo, di cui solo imprese quali le big tech possono disporre, e questo ha fatto sì (sempre secondo i ricercatori del MIT) che i modelli AI più grandi siano ora per il 96% in mani private, mentre lo erano solo per l’11% nel 2010, e che molte delle università più prestigiose non siano nemmeno più in grado (per la carenza di risorse di calcolo adeguate e per la sempre minore attrattività da esse esercitate nei riguardi dei PhD e dei ricercatori) di replicare – anche con una funzione di controllo in prospettiva sempre più indispensabile – i modelli stessi.

Le barriere all’entrata

Il Financial Times è ritornato sul tema pochi giorni fa, con un articolo del suo “west coast editor” Richard Waters: “Big Tech is racing to claim its share of the generative AI market: the new technology’s competive phase, could be very shortlived”. Waters non guarda solamente alle risorse di calcolo, ma all’intera filiera verticale che rende possibile la creazione e l’utilizzo di modelli in grado di produrre testi e/o immagini, funzionanti come tali o incorporati in servizi più complessi (search, cloud …) da offrire al mercato business o consumer.

Alla base di tale filiera stanno i chip progettati per essere in grado di gestire le grandi quantità di dati necessarie per istruire gli AI models di grande dimensione. Ci sono gli algoritmi e il software che permettono di istruire e utilizzare i modelli stessi. Ci sono ovviamente i modelli, in grado di generare testi e/o immagini, i cosiddetti “modelli fondativi” (foundation models). Ci sono le applicazioni e i servizi che permettono lo sfruttamento dei modelli per la messa a punto delle tecnologie opportune per gli specifici mercati e e gli specifici usi.

Waters nota come i tre protagonisti del cloud stiano integrandosi sia a monte sia a valle, a scopo sia difensivo (non dipendere da altri per passaggi vitali) sia offensivo (creare barriere all’entrata). Microsoft e Google, presenti con ChatGPT e Bard che hanno già incorporato o stanno incorporando nei loro servizi, progettano in casa i loro chip e costruiscono con essi i loro supercomputer su cui far girare i modelli di grandi dimensioni. Amazon, ultima a fare le sue proposte al mercato, lo ha fatto puntando a potenziare al massimo il suo cloud AWS e a renderlo sempre più attrattivo: già presente nella progettazione dei propri chip, essa dispone di un grande modello AI denominato Titan, ma permette l’accesso sulla sua piattaforma anche ad altri sistemi, quali quello per la generazione di testi della startup Anthropic e quello open-source per la generazione di immagini Stable Diffusion.

Da dove possono nascere le barriere all’entrata? Il rischio, evidenzia sempre Waters, è che lo scontro fra le big per il dominio porti, almeno all’inizio, a livelli di prezzo così bassi da rendere impossibile la vita a chi non ha altre fonti di sostegno per il mantenimento del proprio business. La prima speranza espressa dal fondatore di Stable Diffusion è che le big vedano la presenza di operatori minori come un modo per rendere più attrattivo il proprio cloud, così come sta facendo ora Amazon. La seconda speranza è che siano così variegate le necessità e le applicazioni da offrire possibilità di sopravvivenza e di crescita a un numero elevato di imprese, favorendo la creatività e l’innovazione.

Conclusioni

Al di là delle speranze, sarà necessaria una regolamentazione – tutt’altro che facile da definire nei dettagli e su cui trovare un accordo almeno fra i Paesi a economia di mercato – e diranno la loro le authority antitrust, si spera anche in questo caso con criteri condivisi.

L’unbundling del software e dei servizi da parte di IBM per alleggerire la pressione della causa antitrust, alla fine degli anni ’60, fece nascere l’industria del software. Un qualcosa di simile, anche se in un contesto completamente diverso, si spera possa ripetersi.

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