Le istituzioni europee stanno dimostrando una sempre maggiore consapevolezza della convergenza, nel contesto della società digitale, tra le due sfere, tradizionalmente distinte, della tutela della concorrenza e della tutela dei diritti costituzionali e fondamentali. A livello europeo, in effetti, si è assistito con sempre maggiore intensità a uno slittamento delle istituzioni stesse da un approccio prettamente liberale-antitrust a una prospettiva orientata, invece, alla tutela dei cittadini europei, in quanto consumatori ma anche in quanto titolari, soprattutto, di un assetto di diritti.
Un nuovo antitrust per le big tech: i fari sul Digital Markets Act europeo
Esaminiamo di seguito recenti interventi delle istituzioni europee, avviati nei confronti del colosso Meta Platforms Inc. ma potenzialmente applicabili anche ad altri giganti di internet, che hanno posto in evidenza come, all’interno del mercato unico digitale, le violazioni relative all’abuso di posizione dominante possano non solo determinare una contrarietà alle normative di diritto europeo in materia di tutela della concorrenza, ma altresì impattare significativamente sulla garanzia dell’esercizio di diritti fondamentali e di diritti del consumatore protetti, in primis, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.
A tal proposito, sia il parere preliminare della Commissione Europea del 19 dicembre 2022 sia le conclusioni presentate dall’Avvocato Generale Athanasios Rantos nella Causa C-252/21, Meta Platforms, Inc. e a. contro Bundeskartellamt (l’autorità federale garante della concorrenza in Germania) dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE mostrano come tali abusi comportino la presenza di seri rischi per il godimento, inter alia, del diritto alla protezione dei dati personali e di quello all’autodeterminazione individuale.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos
In primo luogo, dalle conclusioni dell’AG in Meta Platforms, Inc è possibile evincere non solo una violazione del principio di divieto di abuso di posizione dominante (art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), ma anche l’impossibilità di garantire l’autodeterminazione degli individui, nonché il loro diritto alla protezione dei dati personali. In questo contesto, particolarmente rilevante era il tema dello sfruttamento della posizione dominante della piattaforma ai fini della collezione dei dati degli utenti e della conseguente personalizzazione dei contenuti e delle offerte pubblicitarie proposti loro. Secondo l’AG Rantos, sebbene la personalizzazione dei contenuti possa, in una certa misura, essere nell’interesse dell’utente in quanto consente di presentare, in particolare nel feed di notizie, contenuti che, in base ad una valutazione automatizzata, corrispondono agli interessi dell’utente, non è evidente che essa sia anche necessaria per la prestazione del servizio del social media in questione, di modo che il trattamento dei dati personali per tali finalità non richieda il consenso di tale utente. Del pari, sebbene un collegamento tra i vari servizi offerti da Meta possa essere utile all’utente, non è certo che un trattamento dei dati personali derivati da altri servizi del gruppo sia necessario per la prestazione dei servizi Facebook. Pertanto, le pratiche poste in essere dalla società non solo limitano fortemente il controllo degli utenti sui propri dati personali, ma anche, in ultima analisi, la loro capacità di autodeterminazione.
Il parere preliminare della Commissione
In secondo luogo, il parere preliminare della Commissione ha posto in evidenza come i termini e le condizioni unilaterali imposte da Meta ai servizi di annunci pubblicitari online concorrenti, che autorizzano l’azienda a usare i dati relativi a questi annunci a vantaggio di Facebook, sarebbero «ingiustificati, sproporzionati e non necessari per fornire i servizi di pubblicità online sulle piattaforme Meta». Pertanto, tali condizioni non solo andrebbero a imporre oneri “sleali” ai concorrenti, avvantaggiando unicamente Facebook Marketplace in violazione della normativa in materia di antitrust, ma frustrerebbero la reale capacità degli utenti di disporre effettivamente dei propri dati personali, in violazione del diritto alla protezione dei dati personali.
Il tema della monetizzazione dei dati personali
Sia la posizione espressa dalla Commissione nel suo parere preliminare sia le conclusioni dell’AG Rantos riflettono precisamente tale evoluzione, ponendo in luce come, nel panorama digitale, la tutela del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, divenuti a tutti gli effetti “valuta” e oggetto di scambio nel mondo dei servizi digitali, si intersechi inevitabilmente con la predominanza, nel mercato, di pochi “giganti”. Tali posizioni si inscrivono all’interno dell’ampio e ormai risalente dibattito che interessa da anni Meta e le aziende di settore, da un lato, e gli altri stakeholder rilevanti, dall’altro lato, sul tema della monetizzazione (commodification) dei dati personali e delle informazioni degli utenti. Tale monetizzazione si manifesta in particolare tutte quelle volte in cui, a fronte di un servizio reso gratuitamente, la controprestazione dell’utente consista nella cessione dei suoi dati personali.
Ebbene, la supremazia di poche imprese IT di dimensioni straordinarie determina in effetti squilibri di potere non solo tra gli stessi fornitori di servizi di intermediazione online, creando barriere pressoché insormontabili a carico di piccole-medie imprese e drogando, di fatto, il mercato, ma determina lo sviluppo di forme di dominazione, da parte di quei giganti, sull’utente-individuo e sull’utente-consumatore. Tale impatto, peraltro, non interessa soltanto l’ambito della tutela dei diritti connessi alla tutela della riservatezza e della protezione dei dati, ma ha una rilevanza ben più estesa laddove si consideri, per esempio, la posizione di dominio esercitato dalle maggiori piattaforme digitali rispetto all’esercizio da parte degli utenti della loro libertà di espressione nel contesto di internet.
Conclusioni
Poste in questa luce, le opinioni espresse dalle istituzioni dell’Unione nei casi sopra descritti confermano la sostanziale adozione, all’interno del contesto euro-unitario, di un approccio di “costituzionalismo digitale” avente il fine di limitare, olisticamente, l’impatto potenzialmente negativo che l’esistenza di un oligopolio in campo tecnologico potrebbe comportare in capo ai cittadini europei. Del resto, tale approccio sembra trovare il suo corrispettivo nell’ambito dell’attività di produzione legislativa. I recentemente approvati Digital Services Act (DSA) e Digital Markets Act (DMA), infatti, riflettono precipuamente le preoccupazioni sollevate dalla detenzione di significativi poteri di governo del digitale nelle mani di attori privati di grandi dimensioni, ovverosia, nel linguaggio dello stesso DMA, nelle mani dei cosiddetti “gatekeepers”
È curioso osservare, tra l’altro, come le menzionate reazioni nei confronti delle piattaforme, in quanto detentrici di posizioni dominanti sul mercato, e conseguentemente sui cittadini, siano pervenute da soggetti esponenti o depositari europei dei tre tradizionali poteri dello Stato: esecutivo (parere della Commissione); giudiziario (conclusioni dell’Avvocato Generale); e legislativo (DSA e DMA). Ciò dimostra ancor di più la direzione unitaria intrapresa in ultima analisi dagli organi dell’Unione europea, orientata a una promozione generale del benessere del mercato unico digitale, nonché del benessere dei valori e dei principi e interessi costituzionalmente rilevanti.