Il processo di rinnovamento tecnologico è per definizione un percorso in divenire. Procede per tappe e richiede una costante attitudine al cambiamento e all’innovazione, strumenti imprescindibili per migliorare le dinamiche lavorative sia verso l’esterno che verso l’interno; un discorso a maggior ragione valido se riferito a realtà aziendali complesse, perché composte da molte divisioni e caratterizzate da altrettanto numerosi ambiti produttivi. Realtà come Enel, che questa strada ha iniziato a percorrerla anni fa, partendo con la migrazione in cloud ed arrivando gradualmente a definire il concetto di platformization. Nel 2015 sono state gettate le basi della strategia digitale, che non solo va ad integrarsi con quella di Gruppo, ma ne rappresenta un elemento cruciale.
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Enel e l’ingresso nel multicloud
All’inizio della trasformazione del Gruppo, la strategia di archiviazione e condivisione era basata su server, secondo un modello full-outsourcing per Spagna e America Latina e on-premise per Italia ed Est Europa. Nel 2019 Enel è diventata la prima Utility globale e la prima grande azienda italiana ad archiviare al 100% in Cloud. Nel corso del 2021, sottoscritti gli accordi con due Cloud provider, Enel ha fatto il suo ingresso nell’era del Multi-Cloud; evoluzione grazie a cui il Gruppo può ora bilanciare i carichi tra diversi Cloud provider e ottenere quindi benefici in termini di flessibilità, resilienza e costi. Un approccio che potrà essere esteso ulteriormente ad altri Cloud provider, nel caso in cui dovessero dimostrarsi competitivi. I silos, ovvero il «prima», erano caratterizzati dalla duplicazione di processi e dati; ciò poneva intrinsechi limiti tecnici e organizzativo alla capacità di scalare rapidamente le attività, nonché all’abilità di integrare facilmente nuovi business all’interno del nostro portafoglio. Il passaggio alla piattaforma è finalizzato proprio a risolvere questi limiti.
L’approccio a piattaforma
Innanzitutto l’approccio a piattaforma ha bisogno di una digital platform tecnologica. Questo schema, infatti, consente di ordinare i dati secondo regole e governance comuni, nonché avere a disposizione servizi condivisi che possono essere assemblati e utilizzati più volte per costruire soluzioni digitali per il business. Questo ha una notevole ricaduta positiva in termini di sostenibilità digitale, perché rende sempre più efficiente, incentivandone il ricorso frequente, il riutilizzo dei servizi condivisi. La piattaforma è composta da tre strati: il data domain alla base, le soluzioni in superficie e, in mezzo, il decoupling layer. Il data domain è il luogo dove convergono i dati delle varie divisioni di business, informazioni che grazie a questo sistema vengono messe a disposizione del resto dell’azienda. In questa maniera si evitano duplicazioni e si garantisce la qualità dei dati condivisi. Lo strato di soluzioni è composto da tutti quei software che vengono utilizzati dagli utenti finali, le interfacce che poi interagiscono con i dati, mentre il decoupling layer è il vero e proprio cuore pulsante della piattaforma. Qui, infatti, si trovano tutti quei servizi che sono comuni alle soluzioni e che possono essere quindi condivisi. Un esempio pratico: la porzione di codice che gestisce l’autenticazione è presente in molte applicazioni, ed il decoupling layer permette di evitare di riscrivere N volte la stessa funzionalità.
I vantaggi del modello a piattaforma
La piattaforma tecnologica descritta getta le basi per un’evoluzione del nostro modello operativo in logica platform, abilitando maggiore efficienza e flessibilità, e consentendoci al contempo di diventare una vera «product-driven organization». Ecco perché questo progetto segna un profondo cambio di paradigma dal punto di vista dell’approccio, oltre che sotto il profilo tecnologico: il modello a piattaforma ci induce infatti a ragionare in maniera diversa, a pensare prima al contesto e alle interconnessioni con gli altri attori, e solo in un momento successivo alla necessità specifica. Viviamo in una società complessa, e le organizzazioni sono diventate altrettanto complesse. Enel non fa eccezione: le piattaforme permettono di estrarre valore dalla complessità, ma per farlo è necessario riconoscerlo, quel valore, e saper valorizzarlo grazie all’innovazione tecnologica. Una capacità che è ormai fondamentale per i manager IT, che devono avere una solida visione periferica e far leva su di essa al fine di includere quante più informazioni possibili nella loro attività, e dunque agire da orchestratori.
Le grandi aziende non digital native, trovandosi ad affrontare la trasformazione digitale, rischiano di pagare gli effetti deleteri di un atteggiamento improntato all’inerzia che non può essere la soluzione, perché non avrebbe altro effetto se non portare inevitabilmente al fallimento qualsiasi iniziativa. Per questo agli interventi di modernizzazione tecnologica è fondamentale affiancare un percorso di trasformazione della cultura aziendale, che sappia intercettare, stimolare ed incentivare la propensione al cambiamento e la proattività, valori che storicamente hanno trovato poco spazio nelle grandi aziende. Le persone devono iniziare a sentirsi protagoniste del cambiamento ed essere i primi sostenitori delle novità: è l’unico modo per far sì che la trasformazione digitale, ma anche tutte le future trasformazioni, possano attecchire su un terreno fertile e dunque dare frutti rigogliosi nel futuro prossimo.
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Le opportunità legate al digitale sono sconfinate. Ad oggi non c’è più un singolo settore in cui l’apporto di questa fondamentale costola dell’innovazione sia trascurabile: enormi prospettive di sviluppo, certo, che se ignorate o trascurate possono determinare un rischio per le aziende poco lungimiranti. Cambiare, com’è ovvio, comporta sempre il rischio di sbagliare, ed eventualmente di fallire. Ma stare fermi per timore di sbagliare significa senza alcun dubbio, prima o poi, essere costretti a rincorrere chi invece il rischio sceglie di prenderselo. Ecco perché gioca un ruolo fondamentale la cultura organizzativa, che deve incentivare le persone ad abbracciare la cultura del cambiamento senza demonizzare gli errori.
Conclusioni
Possiamo presumere che ormai quasi tutti i C-level abbiamo compreso a pieno l’importanza del digitale, prova ne è la grande attenzione che si riscontra ogni volta che il tema entra tra gli argomenti di discussione. Acquisiscono sempre più valore le skill tecniche, in seguito a una lunga fase in cui il manager IT, diventato una figura di raccordo tra gli esperti tecnici ed il business, aveva forse trascurato eccessivamente le hard skills. Ora che il digitale è diventato un vero e proprio pilastro all’interno delle aziende, i maker preferiscono essere guidati da persone che parlano la loro stessa lingua e con cui possono confrontarsi: in questo contesto, se le soft skills e la capacità di visione ovviamente rimangono qualità fondamentali, è innegabile che il graduale “ritorno alle basi” tecniche cui stiamo assistendo può essere un fattore di ulteriore consapevolezza professionale.