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Brevetti, l’Italia ha le sue carte da giocare: ecco come sfruttarle



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L’innovazione tecnologica è fondamentale per la competitività globale, misurata dal deposito di brevetti. L’Italia esplora strategie per rafforzare il suo ruolo in settori tradizionali e emergenti, nonostante sfide significative. Investimenti e collaborazioni tra imprese e istituzioni sono cruciali, con il PNRR che offre opportunità da non perdere

Pubblicato il 5 mar 2024

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR



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Patent box

Sebbene larga parte dell’attività innovativa italiana sia concentrata nelle classi stazionarie e immediatamente alle spalle di quelle che rientrano nei settori di frontiera e ad alta crescita e il contributo del nostro Paese alla generazione di innovazione tecnologica a livello globale, almeno per come è rappresentata dal numero dei brevetti, sia al momento risulta marginale, non mancano i segnali della presenza italiana nelle dinamiche brevettuali in alcuni settori dal forte potenziale. La sfida è ora quella di sfruttare al meglio queste opportunità per mantenere e incrementare il nostro posizionamento sul palcoscenico globale dell’innovazione.

L’importanza dei brevetti e della continuità dell’innovazione

Il numero di brevetti che ogni organizzazione deposita di anno in anno negli appositi uffici è un buon indicatore del grado di innovazione di un ente o di un’impresa.

I brevetti sono una fonte di informazione particolarmente utile per analizzare le attività svolte dalla scienza e dall’industria. L’analisi sistematica degli andamenti brevettuali dà il polso del grado di innovazione in un settore, permette di distinguere i trend evolutivi di certe tecnologie e di identificarne le più emergenti. Informazioni utili, se si vuole conoscere il proprio posizionamento rispetto ai concorrenti, che dovrebbero indirizzare investimenti e strategie allo scopo di aumentare produttività e competitività.

Non è una questione semplice e lineare: perché non conta tanto il numero di invenzioni che si mettono a segno, quanto la continuità degli investimenti in tale direzione e soprattutto quante delle innovazioni acquisite riescono a vedere sfruttati economicamente i risultati.

Brevetti: tecnologie di frontiera e peculiarità del Made in Italy

Nel giro di pochi mesi, a cavallo tra la fine dello scorso anno e l’inizio del nuovo, si sono celebrate due ricorrenze importanti: i 50 anni dalla firma della Convenzione sul brevetto europeo, il trattato giuridico che ha dato il via all’istituzione di un sistema brevettuale europeo, che oggi comprende 39 Stai membri (tra cui l’Italia) e il 140° anniversario dell’Ufficio italiano Brevetti e Marchi, celebrato con la mostra Identitalia, The Iconic Italian Brands, esposta fino al 6 aprile nella sede del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Le celebrazioni hanno permesso, da un lato, di riconoscere il ruolo istituzionale dell’Italia, testimoniato dall’annuncio che Milano, da giugno 2024, ospiterà la sede della terza sezione del Tribunale europeo dei brevetti; dall’altro sono state l’occasione per riflettere su possibili scenari di politica economica: nella competizione internazionale, il nostro sistema industriale è destinato a specializzarci in quei settori dove il vantaggio competitivo è di tipo non-tecnologico, oppure possiamo giocare un ruolo anche nei settori alla frontiera e nei mercati emergenti?

Perché la posizione dell’Italia è marginale

È noto che il vantaggio competitivo dell’Italia sia legato non tanto a competenze di carattere tecnologico, basandosi piuttosto su una divisione del lavoro che la vede specializzata in fattori immateriali, legati al design, alla progettazione, all’estetica, al brand, ad altre capacità gestionali non catturate dai brevetti, per intenderci quelli tipici del “Made in Italy”.

Non c’è da stupirsi perciò se il contributo dell’Italia alla generazione di innovazione tecnologica a livello globale, almeno per come è rappresentata dal numero dei brevetti, al momento risulta marginale. I dati confermano la difficoltà italiana, e più genericamente europea, di far crescere imprese fondate sulle conoscenze tecnologiche, ma pur nelle difficoltà, vanno colti i segnali di vitalità, che ci sono, anche in quei settori più tradizionali, che saranno però sempre più permeati dalle nuove tecnologie.

Il problema non è naturalmente quello di aumentare di per sé il numero dei brevetti detenuti dal nostro Paese, quanto piuttosto che le competenze innovative che essi riflettono abbiano ricadute positive in grado di migliorare la nostra vita quotidiana, vale a dire siano applicate con successo allo sviluppo di nuovi prodotti, processi e servizi. Creare le condizioni per sprigionare energie, facendo di più per aiutare gli imprenditori e meno per regolamentarli, perché i talenti in Italia esistono per immaginare, inventare e commercializzare il futuro.

I numeri dei brevetti a livello mondiale

L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO) ha pubblicato il Report delle attività in materia di IP registrate a livello globale nell’anno 2022.

Basandosi sui dati forniti dagli uffici di proprietà intellettuale nazionali e regionali, il report WIPO ha esaminato le statistiche di deposito del 2022 e analizzato l’andamento dell’economia basata sull’attività creativa. Gli innovatori di tutto il mondo hanno presentato 3,46 milioni di domande di brevetto nel 2022 (+1,7% rispetto all’anno precedente), confermando così un trend in crescita per il terzo anno consecutivo.

Cina, Stati Uniti, Giappone, Repubblica di Corea e Germania sono i Paesi con il maggior numero di depositi di brevetti nel 2022. Il Paese che ha registrato il tasso di crescita maggiore è l’India, con un aumento del 31,6% rispetto al 2021, collocandosi al settimo posto della classifica.

Dati confermati dalla Relazione del CNR sulla Ricerca e l’Innovazione 2023 in cui viene evidenziata la crescente penetrazione dei Paesi asiatici, in particolare della Cina, nel mercato statunitense.

Nel giro di vent’anni, dal 2001 al 2020, il numero di brevetti cinesi registrati nel mercato americano è centuplicato. Nello stesso periodo, la Corea del Sud ha aumentato i propri brevetti nel mercato americano di sei volte, mentre i Paesi europei e il Giappone hanno aumentato i loro brevetti più moderatamente. “Questi dati – si legge nel rapporto CNR – mostrano come l’economia mondiale, anche per quanto riguarda la generazione di conoscenze industriali, si stia sempre di più spostando verso Oriente, sotto la spinta delle cosiddette “tigri” del Sud-Est asiatico”.

La geografia italiana dei brevetti

In quali territori si brevetta maggiormente in Italia e in quali settori?

Bisogna guardare a Nord-Est per trovare dove batte il cuore pulsante dell’innovazione, con il Sud che fornisce un contributo tecnologico ancora scarso, e con una specializzazione tecnologica per lo più in settori “tradizionali”, senza che ci sia stato uno sviluppo di competenze in quei settori ad alto contenuto tecnologico, che sono quelli con più alto tasso di rendimento economico e di produttività.

Le analisi riportate nella Relazione del CNR, condotte con rigore scientifico, ci restituiscono questo spaccato: “sono le regioni del Nord-Est quelle più innovative, con il numero di brevetti in rapporto alla popolazione residente registrati presso l’ufficio europeo tra il 1999 e il 2019, che collocano l’Emilia Romagna (+3,2%) e il Veneto (+2,9%) in una dinamica di crescita. La quota di brevetti della Lombardia e del Piemonte sul totale italiano sarebbe scesa sensibilmente negli ultimi 20 anni. Tra le regioni centrali, Lazio e Toscana contribuiscono sostanzialmente, mentre è assai scarso il contributo tecnologico fornito dalle regioni del Sud”.

Anche l’Università LIUC di Castellanza ha portato avanti una raccolta di dati sul numero di brevetti a livello territoriale e relativa analisi temporale sul loro andamento. Di recente ha presentato Pattern, una dashboard di navigazione dei dati brevettuali in Italia con proprietari italiani, con possibilità di analisi attraverso una molteplicità di indicatori. La piattaforma consente anche la visualizzazione dell’Innovation Patent Index di ogni territorio, un indicatore sviluppato dalla LIUC che tiene conto anche della qualità dei brevetti includendo cinque insiemi di dati brevettuali, ossia diversificazione, qualità, internazionalizzazione, tempo, efficienza.

Dalle analisi emergerebbe come sia in corso uno spostamento di capacità innovativa dal Nord-Ovest, ancorato allo storico triangolo industriale To-Mi-Ge, verso il Nord-Est del Paese che è la zona oggi più dinamica.

Nella classifica brevettuale non sono più presenti imprese ormai scomparse. Sono svanite la Olivetti e la Montedison, così come sono sparite molte società farmaceutiche, quale la Carlo Erba, che sono state acquisite da imprese multinazionali e che non hanno mantenuto i laboratori industriali nel nostro Paese.

“In altri paesi – si legge nel Rapporto CNR – le imprese che oggi registrano il maggior numero di brevetti sono spesso nate pochi anni fa e, grazie al proprio propellente tecnologico, sono anche riuscite a diventare quelle ad avere un elevato fatturato e occupazione. In Italia, e più generalmente in Europa, abbiamo avuto pochi casi di start-up che si sono affermate sui mercati grazie all’introduzione di nuovi prodotti, processi e servizi. In molti casi, poi, numerose start-up nei settori high-tech sono state acquisite dalle principali imprese concorrenti americane e cinesi, alimentando di fatto la loro già ampia base di innovatività e conoscenze e aumentando il divario già esistente”.

Analisi settoriale dei brevetti

L’analisi per settori dei brevetti rilasciati presso l’ufficio statunitense, che la Relazione del CNR ha analizzato, riporta un quadro in cui il nostro Paese ha partecipato alla tendenza generale, quasi raddoppiando in un ventennio i propri brevetti registrati negli USA. Ciò nonostante, l’Italia ha diminuito la propria quota sul totale, a conferma di una certa distanza dell’innovazione industriale italiana dai suoi partner commerciali, ma soprattutto per l’Italia non si registrano valori elevati per le classi che caratterizzano le ICT.

Le classi “Metodi informatici per fini gestionali”, “Comunicazione digitale” e “Tecnologia informatica” presentano tutte valori percentuali molto bassi, a dimostrazione di come l’Italia, in questi settori, abbia ricoperto e continui a ricoprire un ruolo piuttosto trascurabile nell’innovazione. Ciò risulta tanto più preoccupante dal momento che si tratta delle classi tecnologiche dove le opportunità scientifiche e tecnologiche sono ancora le più elevate.

Valori importanti si registrano invece nella classe “Imballaggio e trasporto”, nonostante un rallentamento negli ultimi anni. Anche le classi “Chimica macromolecolare, polimeri” e “Microstrutture, nanotecnologie” presentano valori significativi, con quest’ultima classe che ha fatto registrare un forte incremento nell’ultimo quadriennio.

I tassi di crescita dei brevetti

Se le classi tecnologiche nelle quali aumenta maggiormente il numero di brevetto sono verosimilmente quelle dove le imprese stanno indirizzando i propri investimenti e nelle quali intendono introdurre nuovi prodotti, processi e servizi, analizzare i loro tassi di crescita permette di conoscere quali saranno gli sviluppi tecnologici futuri. È quanto hanno fatto gli studiosi del CNR, che hanno analizzato la dinamica dei tassi di crescita di ciascuna tecnologia, individuando così le aree con più potenzialità. I risultati a cui sono giunti non sorprendono: le tre classi a crescere maggiormente sono quelle connesse all’informatica e alle ICT, insieme al settore legato a “Microstrutture e nanotecnologie”. Subito dopo, in termini di crescita percentuale, si trovano tecnologie che prevedono l’applicazione delle ICT e dell’informatica ad altri ambiti, quali la robotica e la medicina.

“Questi dati – conclude la Relazione – indicano che il paradigma delle ICT non ha ancora esaurito la propria spinta propulsiva, mentre sta ancora continuando prepotentemente il proprio sviluppo tramite applicazioni a sfere ancora inedite. Siamo in altre parole nel pieno della diffusione delle ICT. Neanche lo sviluppo dei paradigmi tecnologici in divenire, fondati sulle biotecnologie e sulle tecnologie ambientali, risultano ancora tali da scalzare il dominio dell’ICT”.

La posizione dell’Italia nel mondo

La tendenza in atto in Italia è in linea con quella mondiale, che vede in entrambi i casi le due classi ICT “Metodi informatici per fini gestionali” e “Comunicazione digitale” primeggiare nella speciale classifica dei settori tecnologici a più alta crescita. Stesso discorso vale per il settore tecnologico “Microstrutture e nanotecnologie”, i cui brevetti hanno subito un’impennata negli ultimi anni, con tassi di crescita superiori al 24% in Italia e al 19% nel resto del mondo.

Il settore “Tecnologia informatica” risulta invece crescere in altri Paesi a ritmi più sostenuti che in Italia, con tassi superiori al 6% medio annuo nell’arco del ventennio 2021-2020. Oltre alle classi ICT, l’Italia è indietro anche nelle classi tecnologiche “Tecnologia di controllo” e “Tecnologia medica”, che crescono maggiormente negli altri Paesi che nel nostro, di fatto mostrando come l’Italia non riesca a tenere il passo e accentuando la divergenza già esistente in questi due settori tra il nostro Paese e quelli maggiormente specializzati.

I settori in cui l’Italia è più dinamica

Alcuni settori sono però in Italia più dinamici che altrove: le classi “Analisi dei materiali biologici”, “Ingegneria Civile”, “Macchine elettriche, apparecchi, energia”, “Elementi di meccanica”, “Chimica alimentare” e “Motori, pompe, turbine”, crescono tutte a tassi più sostenuti della media mondiale. Segnali importanti che dimostrando di fatto un’attività innovativa più florida che in altri Paesi.

Una menzione di merito va riconosciuta alla classe “Tecnologia ambientale”, chiamata ad affrontare alcune delle problematiche più importanti dell’umanità, dove l’attività brevettuale italiana cresce in misura maggiore che nel resto del mondo. Ed è proprio emblematico apprendere dalle parole di Antònio Campinos, Presidente dell’European Patent Office, “che a livello europeo metà delle tecnologie necessarie per raggiungere un futuro a zero emissioni sono ancora bloccate allo stadio di prototipo o di dimostrazione”.

L’andamento dei settori e gli scenari futuri

La Relazione del CNR ha un ulteriore pregio, quello di aver effettuato un’analisi comparativa per valutare in che misura l’Italia è presente nelle classi tecnologiche più innovative.

I ricercatori hanno tentato di rispondere alla domanda se l’Italia sia attiva nelle tecnologie che stanno crescendo più rapidamente perché, se lo fosse, per gli studiosi del CNR “ci sarebbe la speranza che, capitalizzando e adeguatamente sviluppando le competenze della nazione in queste aree, il paese possa svolgere un ruolo più importante nell’innovazione. Il problema, infatti, non è massimizzare il numero di brevetti, quanto piuttosto riuscire ad avere uno sviluppo economico e sociale basato sulla conoscenza, a cominciare dalle aree di crescente rilevanza, dove maggiori sono le opportunità tanto scientifiche quanto quelle commerciali. Ciò è particolarmente importante con riferimento alle tecnologie che giocano un ruolo strategico per le sfide globali future”.

L’Italia presenta due specializzazioni nelle classi “Macchine elettriche, apparecchi, energia” e “Microstrutture e nanotecnologie”. Sebbene per gli analisti sia certamente un dato positivo, i dati mostrano come l’Italia purtroppo non sia specializzata in nessuno dei settori ICT, che rappresentano quelli a più alto tasso di crescita e dove ci sarebbero le maggiori opportunità scientifiche e tecnologiche.

Al contrario, gli Stati Uniti fanno la parte del leone, con diverse specializzazioni proprio in quei settori con una previsione di crescita maggiore. Altrettanto Cina, Corea del Sud e Regno Unito, che sembrano concentrare la propria attività innovativa proprio nei settori che costituiscono il fulcro dell’area ICT. Ma se l’approccio al digitale per USA e Cina è orientato esclusivamente alla crescita, è il vecchio continente a rimanere il perno dei diritti.

Guardando più nel dettaglio, si nota come sia in “Metodi informatici per fini gestionali” che in “Comunicazione digitale” la quota italiana sia molto più bassa della media mondiale. La classe dove l’Italia registra una presenza di gran lunga superiore alla sua percentuale media totale è rappresentata da “Microstrutture e nanotecnologie”. Una vitalità che “meriterebbe uno studio più dettagliato e dovrebbe essere considerata sia nelle scelte strategiche delle imprese che nelle politiche industriali”.

Insomma, sembra che larga parte dell’attività innovativa italiana si sia concentrata nelle classi stazionarie e immediatamente alle spalle di quelle che rientrano nei settori di frontiera e ad alta crescita. In altre parole, in assenza di interventi, si prospetta uno scenario che vede l’attività del nostro sistema industriale poco presente nei settori tecnologici strategici e con un buon numero di specializzazioni nelle classi tecnologiche con minori prospettive e opportunità tecnologiche.

Nonostante i limiti che caratterizzato l’Italia, le previsioni inducono a essere ottimisti. L’analisi prospettica suggerisce che i brevetti italiani e mondiali continueranno a crescere nei prossimi anni. Alcuni settori strategici, dove l’Italia è già presente con numeri importanti, cresceranno ancora e potrebbero rivelarsi delle vere e proprie nuove frontiere tecnologiche, come “Microstrutture e nanotecnologie” e “Motori, pompe, turbine”, ma anche altri come “Analisi dei materiali biologici”, “Tecnologia di misurazione” e “Trasporto”.

Conclusioni

Segnali positivi, seppur timidi, della presenza italiana nelle dinamiche brevettuali in alcuni settori dal forte potenziale ci sono. Andrebbero colti e dovrebbero orientare le future scelte di politica industriale tricolore. Con adeguati investimenti in attività inventiva e innovativa, con la valorizzazione di quelle abilità scientifiche e tecnologiche che sono vive nel nostro Paese, ci possiamo giocare delle carte nella competizione globale.

Lo stimolo all’innovazione può assumere molteplici forme. Partendo dal dato che in Europa due terzi della ricerca è finanziata dal settore pubblico e che il finanziamento privato rimane scarso, occorre più che mai assecondare un ri-orientamento del sistema innovativo, fondato sulla stretta e decisiva collaborazione tra imprese, Università, Enti Pubblici di Ricerca e amministrazioni pubbliche.

Dati incoraggianti e risultati alla portata, dovrebbero spronare tutti a non perdere il treno delle opportunità che si stanno dischiudendo nei settori emergenti, soprattutto per quelle innovazioni di frontiera legate alle misure del PNRR “Dalla ricerca all’impresa” (Missione 4, Componente 2). La partita è ancora aperta e con adeguate strategie industriali e politiche pubbliche, si può invertire la rotta. Tenendo sempre dritta la barra sulla qualità della crescita, perché più crescita va bene, ma anche che tipo di crescita.

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