La miopia è letteralmente la “mancanza di perspicacia e lungimiranza; ristrettezza di vedute”. Dunque, è una provocazione accostare il termine miopia al contesto delle PMI italiane (Piccole e Medie Imprese) che nei prossimi anni dovranno cimentarsi ed affrontare il tema della Business Intelligence come supporto al controllo di gestione alle scelte strategiche aziendali.
Le Piccole e Medie Imprese sono le realtà imprenditoriali al centro del nostro Paese. Per numero, fatturato e impiego di forza lavoro, le PMI rappresentano una struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale. Conoscerne le caratteristiche e le potenzialità può essere dunque utile anche per poter interpretare la realtà economica italiana.
Ecco cosa e quante sono in Italia e in che modo contribuiscono all’economia nazionale. E come stanno affrontando le sfide della trasformazione digitale che ormai permeano ogni settore.
Pmi in cifre: i numeri della spina dorsale italiana
Il termine PMI viene utilizzato di frequente, non sempre con una consapevolezza
definita del perimetro d’analisi. A tale proposito, la Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE ha definito i seguenti parametri:
- micro impresa, meno di 10 addetti e fatturato annuo o totale di bilancio annuo inferiore a 2 milioni di euro;
- piccola impresa, tra i 10 ed i 49 addetti e fatturato annuo o totale di bilancio annuo inferiore a 10 milioni di euro;
- media impresa, tra i 50 ed i 249 addetti e fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio inferiore a 43 milioni di euro.
Per meglio comprendere il peso delle PMI all’interno del quadro economico e
produttivo italiano, è bene soffermarsi sui numeri. Su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese con meno di 10 addetti sono quelle numericamente più importanti, rappresentando il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Le piccole e medie imprese, quelle comprese tra i 10 ed i 249 addetti vale a dire il restante 4,78% detengono circa il 40% del fatturato generato nel nostro paese, circa il 35%
degli occupati e generano circa il 40% del valore aggiunto.
Business Intelligence: Big data e Analytics contro la miopia delle Pmi
Ma molte di queste piccole e medie imprese ritengono che le potenzialità dei Big Data
e degli Analytics possano essere sfruttate solo dalle grandi organizzazioni. Si tratta di una verità, ma parziale. Un’errata convinzione che emerge dai numeri. Secondo l’Osservatorio Big Data Analytics del Politecnico di Milano, nel 2018 il peso delle piccole e medie imprese sul mercato italiano degli Analytics era fermo al 12% del totale. Una percentuale irrisoria, se si pensa che le PMI rappresentano più del 99% dell’intero panorama industriale.
Ma, al di là dei numeri, vediamo cosa significa per una piccola o media impresa approcciarsi ai Big Data e quali sono le opportunità derivanti dall’utilizzo dei dati e quali gli ostacoli da superare.
Big Data e PMI non sono un ossimoro
Big Data non significa soltanto grandi moli di dati, ma anche e soprattutto dati di differenti tipologie o generati e analizzati in tempo reale. Ciò che più conta, dunque, è la capacità di analizzare dati per estrarre informazioni e prendere decisioni basate
sugli insight che ne derivano.
Una PMI potrebbe, per esempio, attraverso l’utilizzo di mole dei dati, avere un ottimo strumento di controllo di gestione, seguire il cliente lungo la sua customer experience, tracciandone l’attività online e offline. Ma l’analisi dei dati può favorire anche l’ottimizzazione dei processi interni, ridurre i costi, migliorare l’interazione con i fornitori o persino creare nuovi prodotti e servizi su misura delle esigenze del mercato.
Tutte le PMI, hanno un gestionale di contabilità, di gestione paghe, di magazzino e vari erp al loro interno: hanno davvero una gran mole di dati. Ma non tutti gli imprenditori quotidianamente si chiedono come vada la propria azienda e quale sia il break even point, quali i margini, che incidenza abbia il magazzino, quali i flussi finanziari, chi sono i clienti che non effettuano più ordinativi, da quanti clienti il fatturato sia composto, quali siano gli indici di bilancio eccetera.
Il matematico Henri Poincaré affermava che “la scienza è fatta di dati come una casa è fatta di pietre. Ma un ammasso di dati non è una scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una vera casa”.
Nelle micro realtà italiane gli imprenditori hanno bisogno di kpi, report istantanei, dashboard. Ma per ottenere risposte celeri e corrette, restano in balia dei vari gestionali o delle tempistiche dei loro consulenti.
Molte volte le Pmi si lamentano che non si hanno i numeri per fare strategie, previsioni corrette o azioni di miglioramento per mancanza di dati. Eppure le nostre aziende sono inondate da dati. Basti pensare a tutti i dati contenuti in una fattura elettronica, in tutti i gestionali delle paghe, in tutti i gestionali contabili eccetera.
La risposta è la BI nelle Pmi
La Business Intelligence (BI) è un insieme di strumenti che permettono un’analisi avanzata dei dati e la loro rappresentazione grafica oltre alla loro eventuale pubblicazione online, cosi da consentire decisioni di business informate e basate su informazioni derivateì correttamente dai dati.
Gli ostacoli più rilevanti all’adozione di strumenti di BI sono:
- la difficoltà di stimare in anticipo i benefici degli investimenti;
- mancanza di competenze adeguate, tanto scarse internamente quanto difficili da reperire all’esterno;
- la “spada di Damocle” del GDPR (General Data Protection Regulation), per cui solo una PMI su dieci ritiene critica la gestione degli aspetti di security e privacy.
Allora il punto è che “ le pietre ci sono, ma” bisogna capire “chi le mette in ordine in maniera che possano diventare abitazioni”.
Negli ultimi anni c’è stato un incremento di strumenti di business Intelligence che possano andare incontro alle microimprese, spesso anche a costi non eccessivi (basti pensare a Power Bi e similari, Power pivot eccetera).
Dunque il problema potrebbe dipendere da una cultura aziendale che ritiene questi strumenti una perdita di tempo con annesso dispendio di risorse. Oppure ad una eccessiva frammentazione di dati provenienti dalle più svariate parti che nessuno cerca di metterli a sistema creando dei kpi e dei report che possano
dare le riposte che tanto si cercano.
Primo passo: la raccolta dei dati
Tutta la mole di dati raccolti va debitamente organizzata in un report. Sono informazioni riguardanti tutti coloro che hanno a che fare con l’azienda: dipendenti, soci, fornitori, clienti eccetera.
Un’operazione possibile mediante la creazione di dashboard, particolare interfaccia utente grafica che fornisce una visione immediata dei KPI, indicatori chiave di performance rilevanti per un particolare obiettivo o processo aziendale e grazie ai quali si possono evidenziare pregi e difetti dell’azienda. Per rendere così immediata la visione ci si avvale infatti di rappresentazioni grafiche.
Gli insights
Altro processo di business intelligence riguarda la possibilità di organizzare i dati in insights. Sono i risultati utili per comprendere come l’azienda sta performando al presente e per informare sulle decisioni strategiche e tattiche che essa deve prendere per il suo futuro.
Le 4 fasi della Business Intelligence per le Pmi
La Business Intelligence è generalmente divisa in quattro fasi che costituiscono il processo di BI: raccolta di informazioni, analisi, reporting, monitoraggio e previsione.
Fase 1: la raccolta delle informazioni
Durante questa fase, i dati vengono preparati da fonti esistenti o raccolti esternamente
attraverso l’uso di sondaggi di persona o online, questionari o moduli.
Fase 2: analisi
Questa è una delle aree chiave per trasformare i dati grezzi in informazioni. La BI rende più facile per l’utente esplorare i dati e trasformarli in informazioni utili. Ci sono tre tipi comuni di analisi.
Fase 3: reporting
Una volta che i dati sono stati analizzati, devono essere sottoposti a reporting, un sistema ordinato di resoconti, documenti e prospetti che si possono utilizzare per acquisire le informazioni necessarie a un periodico confronto tra obiettivi e consuntivi. Gli strumenti BI raccolgono e studiano set di dati non strutturati, oltre a organizzarli e utilizzarli per generare una serie di diversi tipi di report. Questi possono includere il personale, le spese, le vendite, il servizio clienti e altri processi.
Infine, grazie alla BI, le organizzazioni possono monitorare il progresso degli obiettivi in base a scadenze predefinite o personalizzabili.
Fase 4; monitoraggio e previsione
La Business Intelligence è un processo circolare, e quindi la quarta fase di monitoraggio e previsione può rifluire nella prima fase, quella della raccolta delle informazioni.
Il monitoraggio permette all’utente di visionare dati e informazioni in tempo reale. Fornisce istantanee tra i periodi di reporting o quando si prendono decisioni. Sue parti essenziali sono:
- Dashboard è l’elemento centrale dove sono contenute tutte le metriche e i dati utili e attivabili (di solito la rappresentazione grafica ne facilita la lettura da parte degli utenti);
- Key Performance Indicators (KPI) misurano le prestazioni di determinati driver chiave dell’organizzazione.
I dati sono il nuovo petrolio: servono competenze per la raffinazione ed usarli
In passato, per crescere è stato fondamentale disporre di risorse materiali, da quelle
energetiche a quelle territoriali. Oggi invece lo scenario si sta rapidamente trasformando, contemplando anche l’esistenza di altre tipologie di risorse. Famosa la frase “Data is the new oil” attribuita alla matematican britannica Clive Humby, già nel lontano 2006: “ I Dati sono il nuovo petrolio, e come tale sono preziosi, ma se non vengono raffinati non possono essere davvero utilizzati…”
Al fine di avviare un processo di BI è necessario la ricerca di nuove professionalità. Nel sottoinsieme di aziende che utilizzano o hanno intenzione di utilizzare a breve strumenti di BI circa tre PMI su cinque dichiarano di aver assunto persone specializzate. Si tratta, nella gran parte dei casi, di risorse con forti competenze informatiche. Questo risultato lascia pensare che una piccola o media impresa non sia ancora alla ricerca di un profilo composito in grado di far incontrare conoscenze informatiche, di business e capacità di analisi economico-finanziarie.
Conclusioni
Gli informatici servono ma non bastano. Occorre capire chi deciderà quali sono i kpi, chi effettuerà un’analisi di bilancio, chi realizzerà un dashboard che riassuma i vari indicatori aziendali, chi analizzerà i margini, chi darà in maniera costante il BEP ai titolari. La strada, per quanto percorribile, resta in salita.
Per la gran parte dei casi il rapporto tra Big Data e PMI risulta essere di tipo tradizionale. L’analisi dei dati, seppur sviluppata con tecnologie innovative, rimane infatti una prerogativa dell’IT, se non un argomento così complesso da dover richiedere in modo sistematico la consulenza di società esterne specializzate.
Ma oggi non è più così. Oggi esistono gli strumenti e le competenze umane, anche con costi davvero accessibili per tutti.
Le PMI oggi, più che mai, dovrebbero far loro la citazione di Kaoru Ishikawa: “Fate in modo che diventi un’abitudine discutere i problemi basandosi sui dati e rispettando i fatti che essi dimostrano”.