“I consumatori hanno iniziato a usare Internet per cose per le quali prima probabilmente non avrebbero impiegato i canali digitali o almeno non così tanto”. Così i due dirigenti di Google Janusz Moneta, Senior Ads Marketing Director e Lucy Sinclair, Responsabile del team di analisi di mercato, sul futuro del marketing in un articolo scritto su Think With Google, il blog dell’azienda di Mountain View nel luglio del 2020.
La presenza, sul mercato, di consumatori sempre più digitali ha indotto le aziende a trasformare i propri business adattandoli alle aspettative ed alle esigenze emerse nel periodo pandemico, offrendo loro l’esperienza che si aspettano.
Tutte le strategie aziendali non possono fare a meno di considerare dove i clienti, acquisiti e potenziali, trascorrono gran parte del loro tempo.
L’ecosistema digitale entro cui devono muoversi i brand
Secondo il report annualeDigital2022 firmato da We are social insieme e Hootsuite la popolazione connessa in Italia passa nella rete oltre 6 ore al giorno. Di queste 1h e 47 minuti viene trascorsa sui social network, principalmente, per raccontarsi e tenere vive le relazioni sociali. Tra gli oltre 41 milioni di italiani che dichiarano di utilizzare i social network al primo posto, per utilizzo, esclusi WhatsApp, Messenger e Telegram, c’è Facebook, seguito da Instagram e TikTok che è il social che registra la crescita più consistente. Nell’ultimo anno, nel mondo, l’app cinese è stata visitata più di Google.
È in questo ecosistema digitale che devono muoversi le aziende con i loro brand.
Social, marketing e connessioni
Ha senso impostare una strategia social-first in un momento nel quale tutte le aziende social hanno perso più o meno metà del valore in borsa?
Si, i social network sono fatti di connessioni e il marketing – soprattutto quello moderno – si nutre di esse.
Il primo errore da non commettere però è quello di utilizzare i canali social solo come un megafono, ogni social network ha una sua audience di riferimento, i diversi social sono prima di tutto ambienti diversi. Investire risorse ed energie per costruire un contenuto ed utilizzarlo – indistintamente – su tutte le piattaforme è un errore da matita blu.
Social commerce: l’ascesa dei nuovi modelli di business del commercio elettronico
Una comunicazione camaleontica
La comunicazione aziendale deve essere camaleontica, ogni contenuto dovrà essere pensato per l’ambiente nel quale verrà condiviso, sarà importante modulare il tone of voice, scegliere le parole e le immagini giuste, e, anche on-line, creare un’esperienza. Insomma, la comunicazione è un flusso che deve assorbire l’energia tipica di ogni social media e generare, prima di tutto, partecipazione.
Gli utenti, sempre di più, vogliono usare i social per avere connessioni e scambi di valore. Siamo arrivati, senza (quasi) nemmeno accorgercene, all’epoca dei recommended media. Ma cosa sono?
I sistemi di raccomandazione dei contenuti nei social media forniscono contenuti personalizzati per l’utente in base ai dati raccolti ed alle tendenze. L’obiettivo è quello di creare esperienze pertinenti capaci di coinvolgere gli utenti al fine di far aumentare il tempo trascorso su un sito o un’app.
Non è l’utente che dice al social media quello che vuole vedere è lui che lo dice all’utente.
Non è più sufficiente quindi produrre un numero elevato di contenuti, è fondamentale puntare sulla qualità del contenuto stesso. È quanto mai importante sperimentare anche col linguaggio.
Il futuro è dei video e il marketing si adegua
Il braccio destro di Mark Zuckerberg, Nicola Mendelsohn, già qualche anno fa teorizzava che il futuro dei social sarebbe stato caratterizzato dai video. Secondo un recente articolo del Washington Post TikTok potrebbe presto plasmare tutto il web.
Di conseguenza anche le strategie di marketing vanno ridefinendosi. Le aziende, soprattutto piccole e medie, che hanno iniziato – complice anche il periodo pandemico – ad avvicinarsi allo strumento video proponendo al proprio pubblico ed ai propri stakeholders contenuti in streaming devono fare, oggi, i conti con due problemi: la bulimia di contenuti e il boom delle micro-narrazioni.
Uno strumento, quello degli short-video, utilissimo per far crescere la notorietà del brand, favorire la partecipazione (generando dinamiche di co-creazione) e veicolarne i valori. Vietato improvvisare però. Per essere efficaci oltre ad investire sulla creatività e il lavoro di ricerca per quanto riguarda il linguaggio bisogna essere in grado di programmare.
Ricorrere agli influencer o ai collaboratori interni?
Consideriamo un altro aspetto: gli influencer. Secondo il guru del marketing Seth Godin gli influencer sono finiti. Puntare sulle star del web, per un’azienda, può essere un errore?
Non esiste una ricetta magica, ma le aziende, prima di ricercare all’esterno, dovrebbero guardare al loro interno. Per l’economista Philip Kotler, già nel lontano 1972, la rilevanza del marketing assume importanza strategica anche con il pubblico interno, non solo con i clienti.
Secondo un’indagine condotta dalla Libera Università di lingue e comunicazione IULM per gli stakeholder i comportamenti, on-line, dei collaboratori di un’azienda sono considerati più autentici della comunicazione ufficiale.
Inserire la comunicazione di dipendenti e collaboratori dell’azienda nel flusso comunicativo ufficiale può rivelarsi una scelta strategica vincente per accrescere la reputazione dell’azienda e la popolarità del brand.
Proprio come avviene su TikTok che a differenza di YouTube e Instagram, dove i creatori sono costretti a competere con le produzioni raffinate degli influencer affermati, anche i TikTok più semplici, stupidi o spontanei possono diventare enormi successi.
Come mi si nota di più?
“Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente”, cosa c’entra la celebre frase di Nanni Moretti in “Ecce Bombo” con le strategie digitali?
Nel 2019 ha fatto discutere la decisione di Unicredit, uno dei principali gruppi finanziari europei e banca leader in Italia, di chiudere gli account Facebook ed Instagram decidendo di valorizzare i propri canali. “Vogliamo garantire un dialogo riservato e di qualità” questo il messaggio con il quale l’Istituto ha comunicato la propria decisione.
Molti brand di moda hanno chiuso i propri account e smesso di fare advertising passando ad una strategia di presenza social indiretta, dove la presenza social è stata demandata unicamente o principalmente alla fanbase risultando così più accattivante e coinvolgente.
Altre aziende invece hanno adottato la strategia dei cosiddetti contenuti effimeri, di solito disponibili a tempo, meno costosi da produrre e più in linea con le esigenze di urgenza da parte del pubblico.
Conclusioni
In conclusione, gli utenti al giorno d’oggi nutrono maggiori aspettative nei contenuti che trovano, soprattutto, sui social. La qualità, non solo degli speaker, ma anche del format e della diffusione, quindi del prodotto, è fondamentale. Non basta fare o fare bene, bisogna fare benissimo.
Sui social media ci si annoia facilmente. Sorprendere, divertire e interagire con la propria community è il primo passo per generare good vibes, le cosiddette sensazioni positive, e che permettono all’utente di associare al brand una serie di emozioni positive.