Negli ultimi giorni sono apparsi degli articoli che auspicano la sospensione del funzionamento di Piracy Shield, la piattaforma tecnologica utilizzata dall’Agcom, in base alla legge 93/2023, voluta praticamente all’unanimità dal Parlamento per bloccare in 30 minuti i siti pirata che trasmettono eventi in diretta.
Piracy Shield, Italia all’avanguardia nella lotta alla pirateria
Una misura tecnologica innovativa che rende l’Italia un Paese all’avanguardia a livello mondiale nella lotta contro la diffusione online dei contenuti illegali, necessaria per abbattere organizzazioni criminali che sottraggono alla filiera dello sport e dell’intrattenimento milioni di euro ogni anno, oltre a 10.000 posti di lavoro e ingenti tasse per lo Stato.
Vista la chiara utilità di questa tecnologia, sembra allora necessario indagare sul motivo per cui alcuni soggetti hanno assunto una posizione così radicale avverso Piracy Shield.
Critiche alla piattaforma: perché sono immeritate
In primo luogo, mi sembra vi sia molta poca capacità di discernimento sulle notizie diffuse online riguardo al funzionamento e all’attività della piattaforma.
Spiace che commentatori, ma anche molti giornalisti, categoria a cui mi onoro di appartenere, abbiano trascurato un dato fondamentale: nei primi 2 mesi di attività sono stati chiusi 6123 FQDN e 3032 indirizzi IP illegali, un numero mostruoso che meriterebbe titoli ad otto colonne. Quindi la piattaforma funziona, non ha mai mancato una segnalazione, il tutto sempre nei tempi stabiliti. Forse per alcuni funziona troppo bene.
Piracy Shield non è stata hackerata
Inoltre Piracy Shield non è stata assolutamente hackerata, ma sono stati solamente diffusi su Github, un sito utilizzato principalmente da sviluppatori, alcune informazioni riservate che, a ogni modo, non ne hanno assolutamente intaccato il suo funzionamento. Su questo leak è in corso una indagine da parte delle autorità competenti.
Da queste informazioni, sempre sul web, emergerebbe poi che la piattaforma sia stata realizzata con metodologie “amatoriali”.
Eppure, Piracy Shield, prima di entrare in funzione, è passata per un tavolo tecnico di Agcom (a cui hanno partecipato attivamente e proficuamente quasi tutti i rappresentanti degli ISP), nonché dal vaglio della Agenzia per la cybersicurezza. Evidentemente, per qualcuno sono più attendibili i commenti di anonimi utenti del web, piuttosto che il parere di organi tecnici e istituzionali, secondo il classico ragionamento che alimenta le fake news.
La questione della chiusura dei siti legali: facciamo chiarezza
Ancora, viene dato seguito alle notizie che sostengono che la piattaforma abbia “buttato giù” decine di migliaia di siti legali, in quanto ospitati su un indirizzo IP condiviso con siti pirata oggetto di segnalazione. IP rimesso in piedi, secondo procedura, poche ore dopo. Il primo dato che dovrebbe saltare all’occhio è proprio questo: io mi sto affidando a un fornitore che, magari anche inconsapevolmente, faceva “viaggiare” il mio portale insieme a quelli utilizzati dalla criminalità organizzata o comunque da soggetti perseguibili penalmente.
A oggi i numeri sbattuti in Rete sono assolutamente opinabili. L’unico dato certo è che Cloudflare, la società fornitrice dell’indirizzo IP abbattuto, ha dato ai propri clienti un form per fare reclamo all’Agcom, senza tuttavia spiegare precisamente la portata (breve) dell’oscuramento; e soprattutto, che essendo stato subito ripristinato l’indirizzo IP, era venuto meno il motivo del contendere e pertanto il reclamo non aveva più ragion d’essere. Un sospetto che tale azione abbia avuto un intento quantomeno defatigatorio dell’attività dell’Autorità appare legittimo.
D’altronde, che questa società non sia molto collaborativa nella lotta alla pirateria è fatto noto, tant’è che i titolari dei diritti si sono visti costretti a citarla in giudizio più volte e, già nel 2022 il Tribunale di Milano ha ordinato alla società di adottare misure di prevenzione di illeciti contro la proprietà intellettuale (Ordinanza n. 8266/2022 del 11/07/2022). Che gli importanti commentatori che si sono cimentati in questo dibattito non spendano parole di biasimo nei confronti di questa situazione appare imbarazzante ed eticamente discutibile.
Agcom in prima linea contro la pirateria
È quindi evidente come l’enforcement di Agcom a tutela del diritto d’autore non piaccia a tutti. E non si sta parlando, ovviamente, dei pirati o degli utenti finali, ma di grandi colossi dei servizi dell’informazioni a volte recalcitranti nel collaborare con le autorità.
Eppure, le autorità non intendono in alcun modo ostacolare la legittima attività di CDN, reverse proxy, DSN aperti e VPN. È pero sacrosanto che chi offre servizi che rendono più difficile l’individuazione dei siti pirata o che nascondano il luogo da cui si connette l’utente al fine di aggirare i blocchi della piattaforma collaborino con l’Agcom per contrastare il fenomeno. La loro reputazione ne beneficerebbe e, alla lunga, anche il loro business.
E lo stesso vale per i motori di ricerca e gli store di applicazioni, che devono attuare misure volte a evitare che, tramite una banale ricerca, qualsiasi utente sia in grado di connettersi a migliaia di siti pirata e scaricare applicazioni di streaming illegale. D’altronde è la stessa legge 93/2023 a imporre l’adozione di queste misure ed è ora che tutti si conformino a una legge che, ripeto, è stata condivisa da tutto il Parlamento.
Conclusioni
È chiaro che la piattaforma può e deve essere perfezionata. Si deve però ricordare nuovamente che, nei primi due mesi di funzionamento, sono stati abbattuti già 6123 FQDN 3032 indirizzi IP, in pratica un numero superiore a quelli abbattuti dal 2014 quando entrò in vigore il primo regolamento antipirateria.
Pertanto, è necessario che tutta la filiera adotti azioni ferme contro la pirateria; al contrario, sposare una campagna di discredito avverso un mezzo che è a oggi un unicum nel panorama mondiale, non fa altro che fomentare questo odioso fenomeno.