La tecnologia ChatGPT, basata su AI e Deep Learning, simulando al meglio l’interazione umana in modo empatico, rappresenta una modalità innovativa per rinnovare e migliorare il training del personale.
Grazie alle nuove tecnologie, il chatbot può diventare uno strumento di supporto per la formazione e la valutazione della preparazione dei dipendenti in un’azienda, basandosi non solo su un database di domande e risposte predefinite, ma interagendo con la persona su diversi ambiti anche di tipo emozionale.
Ma come funziona un chatbot? Come è possibile rendere l’interazione con un chatbot il più umana possibile?
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Come funzionano i chatbot?
I chatbot sono diventati i nostri assistenti digitali per numerosi servizi già da qualche tempo. Assistenti addestrati con algoritmi di AI e machine learning che, sulla base del livello di addestramento, sono in grado di fornire risposte più o meno elaborate a vario tipo di richieste.
Alcuni chatbot, chiamati dichiarativi, sono addestrati sull’esecuzione di funzioni di assistenza e di servizio, generano risposte automatizzate, seppure di tipo colloquiale, basate su domande comuni che non coinvolgono una varietà di variabili. Si tratta di chatbot con capacità abbastanza basic, con cui ci confrontiamo quasi ogni giorno. Poi ci sono i chatbot predittivi orientati al consumatore, ai suoi gusti personali, che applicano sistemi di intelligenza predittiva e analisi dei dati per personalizzare le risposte all’utente. Alcuni degli assistenti virtuali con cui interagiamo ogni giorno sono, ad esempio, assistenti digitali in grado di imparare dalle nostre personali richieste, fornire suggerimenti per nuovi servizi e acquisti. Tuttavia, si tratta ancora di chatbot standard nell’interazione con l’utente.
Dal chatbot-assistente al chatbot empatico
Per diventare più di un assistente, e utile all’obiettivo per cui è stato realizzato, il chatbot deve essere addestrato e realizzato per ragionare su diversi livelli, usando algoritmi di AI e di Deep Machine Learning, insieme a evoluti sistemi di elaborazione del linguaggio naturale e a una configurazione umana del chatbot. Un chatbot, infatti, può assumere il “volto” di un assistente generico con cui conversare, oppure le sembianze di un personaggio famoso come Einstein o Steve Jobs, ad esempio, con cui interagire a livelli più profondi. Del resto, sarebbe strano chiedere a un chatbot con il volto di Einstein, ad esempio, quali sono gli orari di apertura di un ufficio, ma il chatbot con il volto dello scienziato più famoso della storia moderna potrebbe prestarsi a un’interazione umanizzata con l’utente, formativa e anche valutativa: sarebbe normale, infatti, non solo che Einstein-chatbot rispondesse alle nostre curiosità sulla sua vita e sulle sue scoperte, ma anche che ci facesse domande per valutare la nostra preparazione su determinati argomenti.
Questo tipo di chatbot sono già realtà in alcune aziende, usati per rendere friendly attività di training del personale e di valutazione della preparazione, e sono in grado di operare a diversi livelli di interazione, favorendo una relazione “normale” scritta o verbale tra la persona e il chatbot con sembianze umane. Il fatto di poter parlare con un “volto”, attivando il microfono del proprio computer, aggiunge un aspetto di relazione umana alla conversazione che moltissime persone hanno oggigiorno con chatbot comuni come Siri o Alexa.
Come in una qualunque interazione sociale umana, quindi, questi nuovi chatbot prevedono una prima fase di conoscenza; il dipendente di un’azienda che deve formarsi ed essere valutato su uno specifico argomento (ad esempio sulle tecniche di vendita o su specifici prodotti) inizia accedendo alla sua area di training facendo “amicizia” con il suo chatbot-umanizzato addestrato a sostenere una conversazione smart talking per qualche minuto, prima di orientare l’utente verso l’obiettivo: l’apprendimento e la valutazione.
L’utente può porre domande di tipo “conoscitivo” al chatbot-personaggio sulla sua vita, ad esempio: il chatbot, attraverso un motore di similarità, risponde convertendo le informazioni trovate in un database di migliaia di domande/risposte mappate, in una delle possibili risposte alla domanda posta dall’utente. Nel secondo livello di interazione, l’utente può rivolgere al chatbot domande che possono indirizzarsi su fatti e situazioni reali. Ad esempio, se nell’interazione persona-chatbot si finisse per parlare della partita della sera prima o del meteo, il chatbot andrebbe a prendere le informazioni che gli servono per rispondere utilizzando un motore di ricerca per assemblare dati pertinenti e formulare una risposta possibile. Infine il chatbot, grazie all’uso di ChatGPT, è in grado di operare al terzo livello di interazione aggiungendo l’aspetto emotivo alla conversazione, e riuscendo a rendere l’interazione empatica, come se fosse una “normale” chiacchierata tra Einstein e l’utente.
Stimolare l’empatia per migliorare l’adesione alla valutazione del training aziendale
Avere un chatbot empatico aiuta a creare l’ambiente adatto affinché le risorse dedicate alle vendite utilizzino il sistema di valutazione della loro preparazione, che è lo scopo per cui questa chatbot empatica è stata creata. In pratica, il personaggio con cui si è chiacchierato amabilmente per circa tre minuti diventa il “valutatore” dell’azienda che, sulla base delle informazioni e risposte predefinite presenti sul manuale di vendita, assegna, tramite digital badge, un punteggio alle risposte e redige una sorta di classifica.
Conclusioni
Data la complessità e vastità di applicazione del chatbot, le ricerche in ambito scientifico continuano. Una possibile implementazione di questo tipo di chatbot è riconducibile alle tecniche dell’image processing, ovvero il riconoscimento delle emozioni da parte di un chatbot evoluto, attraverso l’interazione video con l’utente umano. La prima interazione, quindi, potrebbe non essere più una interazione standard con domanda e risposta ma, aprendo una conversazione tramite videocamera, il chatbot saprà riconoscere l’umore della persona dall’espressione facciale e reagire di conseguenza iniziando una interazione effettivamente “umanizzata”.
In un successivo sviluppo futuro, l’interazione con il chatbot potrebbe diventare 3D con un Avatar che, in una logica di metaverso, risponde alle domande dell’utente anche muovendosi nello spazio e accompagnando l’utente in un luogo, come un museo, uno store, un ufficio.