Lo sviluppo dei chatbot potrebbe avere un impatto negativo sull’industria giornalistica?
Molti operatori stanno cominciando a chiederselo, dopo i recenti annunci di alcuni player del mercato, che hanno annunciato l’integrazione nei motori di ricerca di chatbot che potrebbero fornire all’utente un servizio di remix ed elaborazione dei contenuti presenti in rete.
In altre parole, l’utente potrebbe inserire nel search engine una stringa di ricerca, proprio come oggi, ma anziché ottenere semplicemente la lista dei siti web che potrebbero essere interessanti da visitare, in quanto pertinenti e rilevanti rispetto ai contenuti ricercati, l’utente potrebbe direttamente ottenere una sintesi dei contenuti stessi, che lo potrebbe dispensare da effettuare l’accesso e la lettura dei contenuti originali.
Boom dell’intelligenza artificiale, quale futuro per i giornalisti
Dal punto di vista dell’utilizzatore si tratta di una soluzione senza dubbio efficiente, perché potrebbe consentire di acquisire in tempi molto brevi risposte sintetiche alle proprie ricerche di informazioni, senza dover visitare i siti web dove i contenuti originali sono ospitati. Al contempo, chi fosse interessato ad un maggiore approfondimento, potrebbe sempre andare oltre alla sintesi, accedendo e visionando tutti i materiali originali.
Dal punto di vista dei titolari dei siti web su cui i contenuti originali sono ospitati l’innovazione posta dai chatbot potrebbe tuttavia creare un problema non irrilevante, dal momento che diminuirebbe drasticamente il traffico degli utenti sui siti stessi, con la naturale conseguenza di renderli meno appetibili per gli investimenti pubblicitari che oggi sostengono gran parte degli introiti di chi opera in questo settore.
L’impatto negativo sul calcolo dell’equo compenso
Si porrebbe poi anche l’ulteriore problema del potenziale effetto negativo di questa innovazione sulle modalità di calcolo dell’equo compenso dovuto agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico, che oggi le piattaforme online devono versare a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento di un nuovo diritto connesso per gli utilizzi in rete degli articoli di giornale (v. art. 43bis legge 633/41, come introdotto nella normativa nazionale a seguito dell’implementazione della Direttiva UE 790/2019 sul Digital Single Market). La norma in questione stabilisce, come è noto, che le riproduzioni di pubblicazioni giornalistiche da parte delle piattaforme online siano soggette a remunerazione, salvo che le parti delle pubblicazioni utilizzate dalle piattaforme online siano così brevi, che l’utente della rete sia comunque portato a consultare la pubblicazione giornalistica nella sua integrità.
Il compenso che le piattaforme dovrebbero versare agli editori di pubblicazioni giornalistiche è stato recentemente disciplinato dal regolamento Agcom in materia di individuazione dei criteri per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all’art. 43bis legge 633/41. Uno dei criteri per la determinazione del compenso è costituito dal numero di consultazioni online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore sui servizi del prestatore, espresse in termini di visualizzazioni e interazioni degli utenti e rilevate in conformità a criteri di correttezza metodologica, trasparenza e verificabilità. Questo criterio va combinato con altri, come la rilevanza dell’editore sul mercato, espressa in termini di audience online e rilevata su base periodica in modo imparziale.
Sono inoltre rilevanti il numero di giornalisti, i costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali per la realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online e per la loro comunicazione al pubblico, l’adesione a codici di condotta, gli anni di attività dell’editore, anche in relazione alla storicità della testata in ambito nazionale e locale. I primi criteri ora citati (ossia quello del numero di consultazioni online e quello dell’audience online dell’editore) potrebbero essere impattati negativamente dall’operare dei nuovi chatbot, nella misura in cui l’utilizzo di questi ultimi provochi la riduzione delle visualizzazioni da parte degli utenti delle pubblicazioni giornalistiche (gli utenti potrebbero infatti accontentarsi delle sintesi del chatbot). Inoltre, e per lo stesso motivo, si potrebbe anche verificare una contrazione della audience online degli editori, con ulteriore incidenza negativa sui criteri di calcolo dell’equo compenso.
D’altro canto, la realizzazione di sintesi dei contenuti delle pubblicazioni giornalistiche da parte dei chatbot potrebbe costituire una forma di utilizzazione delle medesime, comunque soggetta all’autorizzazione dei titolari dei diritti, anche se la valutazione potrebbe dipendere dall’ordinamento preso in considerazione. Mentre infatti questo tipo di sfruttamento potrebbe essere coperto dal “fair use” negli Stati Uniti, negli ordinamenti continentali potrebbe non essere possibile utilizzare il regime delle eccezioni.
Il regime delle “eccezioni”: la situazione in Italia
In Italia, per esempio, si potrebbe sostenere che la realizzazione di sintesi da parte dei chatbot non sia consentita (in assenza di licenza) né dalle eccezioni sui text & data mining, né dall’eccezione in materia di citazione e di riassunto. Per quanto riguarda il primo tipo di eccezioni, la Direttiva UE 790/2019 e la successiva implementazione in Italia (attuali artt. 70ter e 70quater legge 633/41) ha previsto l’introduzione di limitazioni dei diritti esclusivi d’autore a favore di alcuni soggetti, finalizzate a consentire l’accesso a dati, opere o altri materiali disponibili in reti o banche dati cui gli utilizzatori abbiano lecitamente accesso, per poi porre in essere, ai propri fini di ricerca, tecniche automatizzate per l’analisi di grandi quantità di testi, suoni, immagini, dati o metadati in formato digitale con lo scopo di generare informazioni, inclusi modelli, tendenze e correlazioni.
Le eccezioni di text & data mining
Le eccezioni di text & data mining sono anzitutto rivolte ad organismi di ricerca ed istituti di tutela del patrimonio culturale, i quali possono quindi svolgere sia operazioni di estrazione di testo e dati a fini di ricerca, sia di comunicazione al pubblico degli esiti della ricerca stessa, espressi in nuove opere originali. Per i soggetti diversi dagli organismi di ricerca e dagli istituto di tutela del patrimonio culturale è prevista un’eccezione di text & data mining che sembra tuttavia avere un ambito di applicazione più limitato: questo tipo di utilizzatori possono infatti effettuare operazioni di riproduzione ed estrazione da opere o altri materiali contenuti in reti o banche di dati cui abbiano legittimante accesso, ma deve sussistere la condizione che l’utilizzo non sia stato espressamente riservato dai titolari dei diritti; inoltre, la norma non dispone alcunché relativamente al reimpiego e quindi alla comunicazione al pubblico dei risultati, che quindi non sembrerebbero coperti dall’eccezione.
Si pone quindi la questione della liceità dell’utilizzo di dati e di opere protette da parte di sistemi di intelligenza artificiale non sviluppati da organismi di ricerca puri. In questi casi l’AI potrà certamente processare materiali in pubblico dominio o comunque non protetti da diritti esclusivi. Per quanto riguarda invece i materiali protetti, ci si potrà porre il problema se sia necessario ottenere dai titolari dei diritti delle opere utilizzate dall’AI un’adeguata licenza che consenta l’utilizzo ai fini dello sviluppo dell’AI stessa.
Le eccezioni concernenti la citazione ed il riassunto
In relazione alle eccezioni concernenti la citazione ed il riassunto (artt. 70 ss. legge 633/41), allo stato della normativa italiana queste forme di utilizzazione sono libere se effettuate per uso di critica e di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. È proprio quest’ultimo punto che potrebbe generare difficoltà nel contesto dell’intelligenza artificiale, nella misura in cui sia dimostrabile che la realizzazione e la messa a disposizione del pubblico di sintesi delle pubblicazioni online da parte dei chatbot sia rivale rispetto alla consultazione delle opere originali. Peraltro, in ogni caso il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore e dell’editore, a tutela dei diritti morali, il che dovrebbe imporre ai chatbot ulteriori obbligazioni di trasparenza che renderebbero evidente quale fonte o quali fonti siano state utilizzate per la realizzazione della sintesi.
L’art. 101 della legge su diritto d’autore
Non va infine dimenticato che la nostra legge sul diritto d’autore prevede all’art. 101 una tutela di tipo concorrenziale per le informazioni e le notizie, in base alla quale la riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Sono comunque considerati illeciti gli atti di riproduzione o radiodiffusione senza autorizzazione dei bollettini di informazione delle agenzie di stampa effettuati prima che siano trascorse 16 ore dalla diramazione del bollettino o comunque prima della loro pubblicazione in un giornale o in un periodico che ne abbia ricevuto licenza, così come gli atti di riproduzione sistematica di notizie, pubblicate o radiodiffuse, a fine di lucro, sia da parte di giornali o altri periodici, sia da parte di imprese di radiodiffusione. La norma è piuttosto risalente, come si evince dalla formulazione, ma ancora attuale negli obiettivi, che sono quelli di proteggere gli investimenti dell’industria editoriale giornalistica da riprese parassitarie, soprattutto nell’arco di tempo più rilevante per il recupero dell’investimento, ossia l’immediatezza della diffusione della notizia di attualità. L’oggetto della protezione dell’art. 101 legge 633/41 non è l’opera dell’ingegno, e la sua forma espressiva, ma proprio la notizia, nei suoi dati informativi, presupponendosi che l’acquisizione, il trattamento e la diffusione della notizia stessa richiedano investimenti imprenditoriali, come ad esempio la creazione ed il mantenimento di una rete di inviati giornalistici nei vari territori, oppure la sovvenzione del giornalismo di investigazione, e così via. Come è stato osservato, è importante fare in modo che questi investimenti continuino ad essere possibili, perché l’indipendenza e la pluralità delle fonti informative sono cruciali ed alla base della nostra società.
Secondo infatti l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Inoltre, la libertà dei media e il loro pluralismo devono essere rispettati.
In questo contesto è importante che tutti gli stakeholder si impegnino per trovare un corretto bilanciamento degli interessi in campo, che passa attraverso l’individuazione di modalità di sviluppo di un’AI che da un lato offrano agli utenti servizi sempre più evoluti ed efficienti, ma dall’altro lato siano anche in grado di preservare (e magari anche rilanciare) gli introiti di un settore importante come il giornalismo, senza danneggiarne l’indipendenza. In questo contesto potrebbero essere favoriti quei soggetti più attenti all’esigenza di sviluppare un’intelligenza digitale responsabile “by design”, nella misura in cui offrano ai consumatori un servizio efficiente basato sulla trasparenza e l’affidabilità delle fonti, oltre che sull’adeguata remunerazione delle stesse, ove previsto dalla legge.