Nonostante le sanzioni occidentali inferte alla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, non ci sono state flessioni per l’economia di Mosca né per l’utilizzo di tecnologie, almeno per ora. Il motivo è rintracciabile nell’incapacità da parte di Stati Uniti e alleati di imporsi sul campo tecnologico per governare i flussi commerciali globali.
I flussi commerciali post-sanzioni
L’Unione Europea, come sappiamo, ha reagito all’invasione russa dell’Ucraina emanando un pacchetto di sanzioni molto complesso e rigido, volto a indebolire le capacità del Cremlino di finanziare la guerra. Se, di fronte a questo scenario, Stati Uniti, Europa e Giappone hanno diminuito drasticamente le esportazioni di semiconduttori, macchinari e altre apparecchiature verso la Russia, aziende di giurisdizioni asiatiche e mediorientali, in particolare Cina, Turchia e Hong Kong, sono andate oltre le sanzioni e hanno venduto i prodotti oppure li hanno rispediti in Russia.
L’organizzazione no profit per la sicurezza nazionale americana C4ADS, ossia Center for Advanced Defense Studies, che si occupa di analisi di dati e report su questioni di sicurezza transnazionale, ha fornito i dati doganali russi ed è evidente come si sia verificata una nuova riorganizzazione dei flussi commerciali di Cina, Turchia e altri paesi dopo l’iniziale calo del 2022.
Un eventuale inasprimento ulteriore delle sanzioni potrebbe avere due risvolti, secondo Stati Uniti ed Europa: la Cina potrebbe arrestare i flussi di chip e attrezzature tecnologiche per la Russia oppure incrementarli. In merito alla Turchia, essendo membro NATO con potere di veto su decisioni chiave, come l’ammissione nell’alleanza militare di Svezia e Finlandia, la limitazione dell’influenza da parte di Stati Uniti ed Europa riguarda altre questioni e i numeri lo dimostrano.
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I numeri delle esportazioni tech
Segno della sopracitata mancanza di influenza è il raddoppiamento delle esportazioni dalla Turchia, che sono arrivate a circa un miliardo di dollari al mese, poco più di quanto spediva l’Italia prima del conflitto. Secondo i dati forniti da CEIT, la Cina ha raggiunto, invece, quasi i 9 miliardi di dollari a dicembre, rispetto ai 6,7 miliari di dollari al mese dell’ultimo trimestre del 2021. Dall’altra parte, come anticipato, Europa e Giappone hanno diminuito le esportazioni mensili, basti pensare che quelle della Germania sono scese del 60% in termini di dollari e quelle dell’Italia e del Giappone del 30%.
Se prendiamo in considerazione i beni a duplice uso, i semiconduttori, per esempio, che servono per alimentare elettrodomestici e hardware militari, hanno registrato flussi commerciali particolarmente movimentati. La Cina, che ricordiamo essere tra i più importanti produttori di microchip di fascia bassa e primo importante di chip nel mondo, ha spedito 179 milioni di dollari di circuiti integrati alla Russia lo scorso anno, mentre nel 2021 l’ammontare si aggirava sui 74 milioni di dollari. Le esportazioni di processori e controllori di Hong Kong verso la Russia, che hanno subito un brusco calo nei primi mesi della guerra, nel quarto trimestre del 2022 erano risalite a 53 milioni di dollari, secondo i dati del governo, pari a circa l’85% delle esportazioni dello stesso periodo del 2021. I dati doganali russi del C4ADS mostrano che alla fine del 2022 le importazioni di semiconduttori erano quasi tornate ai livelli prebellici e che più della metà proveniva dalla Cina.
A completamento di questi dati potrebbero essere utili le statistiche commerciali pubbliche della Cina, che, però, ci aiutano a conoscere le destinazioni delle merci, ma non menzionano informazioni sui venditori, per cui è difficile scoprire se le spedizioni di semiconduttori contengono prodotti sanzionati dagli USA e dagli alleati. Potrebbero favorirci in questo senso alcuni cambiamenti importanti e insoliti nei modelli commerciali. Tornando alla Turchia, nel 2021 ha importato circa 831 milioni di dollari di transistor, diodi e semiconduttori simili, secondo i dati delle Nazioni Unite, e nello stesso anno ne ha esportati circa 79.000 in Russia. Nel 2022 ha importato quasi 1,7 miliardi di dollari e ha esportato in Russia 3,2 milioni di dollari, con un raddoppio anche delle esportazioni totali di elettronica e macchinari elettrici della Turchia verso la Russia, arrivando fino a 559 milioni di dollari. Degni di nota anche i flussi commerciali attraverso l’Armenia, che sono arrivati a 1 milione di dollari di circuiti integrati nel 2021, per passare a quasi 19 milioni di dollari nel 2022, con spedizioni in Russia di 13 milioni e un totale di esportazioni di macchinari elettrici ed elettronici verso Mosca di 462 milioni di dollari (dai 12 milioni precedenti).
I risvolti ulteriori
Le sanzioni nei confronti della Russia, come già anticipato, hanno sortito reazioni avverse da parte di paesi come Turchia e Cina, che, appunto, hanno raddoppiato le loro esportazioni verso Mosca degli apparati tecnologici, con dati a dimostrazione di questo incremento significativo, rifiutando di aderire alle sanzioni stesse. Se dal Ministero degli Esteri turco hanno dichiarato di non esportare in Russia prodotti elettronici destinati all’industria della difesa, dalla Cina è stata evidenziata la mancanza di fondamento delle sanzioni americane nel diritto internazionale e l’estraneità di Pechino al supporto alla Russia nel conflitto con l’Ucraina.
Il controllo del rispetto delle sanzioni su chip all’avanguardia e sulla produzione di apparecchiature per semiconduttori è facilitato dal fatto che le aziende che si occupano di questa produzione, tra Stati Uniti e paesi in giurisdizioni allineate a loro, come i Paesi Bassi e Taiwan, sono di numero ridotto, così come lo sono gli articoli spediti e gli utenti finali effettivi, compresi gli impianti di produzione di chip e i produttori di cellulari. La questione si complica se consideriamo gli articoli più comuni, come i chip di vecchia generazione o altre parti di macchinari, di cui si occupa un gran numero di aziende e la loro estesa rete di grossisti e rivenditori.
Certo è che le sanzioni imposte alla Russia le stanno costando caro, dato che, oltre a dover pagare gli intermediari, scarica anche un enorme rischio ai fornitori. Una soluzione potrebbe essere il blocco totale delle spedizioni dei semiconduttori dalla Cina, ma ricordiamo anche che potrebbero risentirne i rapporti con gli Stati Uniti, già da tempo incrinati, con il rischio che si vada incontro a ulteriori pericolose conseguenze.