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Chi detiene i diritti sulle opere dell’IA? La risposta dell’USCO



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L’IA può davvero essere considerata autrice di un’opera? L’USCO sostiene che la tutela del diritto d’autore richiede un sufficiente contributo umano. Ecco come funziona la protezione legale delle opere generate dall’intelligenza artificiale e quali scenari futuri si prospettano

Pubblicato il 28 mar 2025

Mark Bosshard

Professore di diritto commerciale e Senior Associate di Hogan Lovells studio legale



ia e diritto d’autore

Nel gennaio del 2025 è stata pubblicata la seconda parte del rapporto dell’USCO (United States Copyright Office) specificamente dedicata alla possibilità di tutelare con il diritto di autore le opere dell’ingegno generate dall’IA.

Diritti esclusivi: l’approccio dell’USCO alla protezione delle opere dell’IA

Si tratta di un documento ricco di argomentazioni, citazioni e spunti, utili non solo alla trattazione dello specifico tema, ma, più in generale, per analizzare la questione della possibilità di proteggere per mezzo di diritti esclusivi le opere (creative, utili, tecniche o con valore estetico) generate con il contributo dei programmi di IA. Si tratta di un documento di diverse decine di pagine, che dunque, per esigenze di sintesi, non è possibile commentare nella sua interezza. Ci si limiterà dunque in questa sede a suggerirne la lettura integrale, trascrivendone qui di seguito le conclusioni, che riassumono icasticamente, ma in modo efficace, la posizione dell’USCO.

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“Based on the fundamental principles of copyright, the current state of fast-evolving technology, and the information received in response to the NOI, the Copyright Office concludes that existing legal doctrines are adequate and appropriate to resolve questions of copyrightability. Copyright law has long adapted to new technology and can enable case-bycase determinations as to whether AI-generated outputs reflect sufficient human contribution to warrant copyright protection. As described above, in many circumstances these outputs will be copyrightable in whole or in part—where AI is used as a tool, and where a human has been able to determine the expressive elements they contain. Prompts alone, however, at this stage are unlikely to satisfy those requirements. The Office continues to monitor technological and legal developments to evaluate any need for a different approach”.

L’affermazione di apertura merita di essere sottolineata, in quanto marca una netta differenza di approccio al tema rispetto all’impostazione dell’UE e di alcuni legislatori nazionali degli Stati Membri.

Laddove infatti l’UE manifesta una netta propensione all’iper-regolamentazione e, di conseguenza, alla creazione di nuove norme per disciplinare nuovi fenomeni, l’USCO sostiene che il tema della protezione delle opere dell’ingegno create dall’IA può essere trattato e risolto sulla base del diritto vigente, dunque del sistema che si identifica nei principi della Convenzione di Berna. Si tratta di un approccio che presenta l’indubbio vantaggio di ridurre le antinomie, facendo in modo che anche i nuovi fenomeni possano trovare una armonica collocazione nel contesto della tradizione giuridica di ciascuno stato.

I regolamenti UE soffrono infatti di un tipico problema, rappresentato dal fatto che, dovendo trovare applicazione in decine di stati con istituti e tradizioni giuridiche diverse, spesso utilizzano termini e propongono soluzioni che male si adattano al diritto degli stati nazionali. Quando dunque non è strettamente necessario creare nuove norme per tutelare i diritti esclusivi sui contenuti tutelabili generati dall’IA (e questo è quello che l’USCO dice, quanto meno per il diritto di autore), meglio dunque che siano gli interpreti ad interpretare le norme già esistenti in modo da garantire una adeguata protezione ai contenuti di questo genere.

Per disciplinare i diritti esclusivi generati dall’IA non parrebbe dunque essere necessaro un intervento dell’UE o del legislatore nazionale e in ogni caso, qualora si decida di intervenire, la scelta dovrebbe cadere non su un regolamento, ma su una direttiva. E si dovrebbe trattare di una direttiva che indichi solo i principi di armonizzazione, senza scendere nel dettaglio delle fattispecie.

L’importanza dell’intervento umano nella creazione di opere IA tutelabili

Non meno interessante è l’affermazione per cui per verificare la possibilità di tutelare con un diritto esclusivo i contenuti generati dall’IA occorre condurre una valutazione caso per caso, volta a verificare se vi è un “sufficiente contributo umano” all’opera. Si tratta di una posizione che merita un approfondimento. La posizione dell’USCO appare infatti certamente corretta quando viene riferita al diritto di autore, giacché si tratta di tutela che si fonda sulla considerazione che l’opera, o meglio la sua forma espressiva, sia una manifestazione originale della personalità individuale dell’autore, intendendosi per tale una soggettività capace di autodeterminarsi a creare una opera in cui trasfondere il proprio senso estetico e le proprie idee. Senza voler entrare nella questione, forse nominalistica, relativa alla definizione di atto creativo e/o di autore di una opera, quel che è certo è che un tool di l’IA non è in grado di decidere da sé di creare un’opera e tanto meno definisce la forma espressiva di una opera sulla base di motivi o ragioni proprie e secondo un proprio gusto estetico. Dunque – come sostiene l’USCO – per aversi tutela d’autore occorre che vi sia un contributo umano all’opera.

Questo contributo può collocarsi a monte o a valle dell’utilizzo del software di IA, ma, sostiene l’USCO, in ogni caso la funzione dell’IA, per aversi tutela, deve essere quella di strumento usato a sostegno della creatività umana. In questo senso, ad esempio, non vi è alcun dubbio che se un’opera generata dall’IA viene modificata, adattata o elaborata da un autore umano, l’opera derivata sarà tutelabile in capo a quest’ultimo e, non essendovi alcun diritto di autore sull’opera originaria (quella generata dall’IA), non si porrà alcun problema di consenso dell’autore di quell’opera.

L’intervento umano “a monte” e “a valle” per la protezione legale

Ci si può chiedere allora se lo stesso principio valga quando l’intervento umano “a valle” consista in una mera selezione dell’opera preferita tra le varie versioni della medesima opera generate dall’IA. Non è agevole dare risposta univoca ad una simile domanda, giacché, se pure è vero che attraverso la selezione il soggetto umano in qualche misura fa propria la creazione dell’IA, è anche vero che, in simili casi, non vi è alcun atto creativo, nel senso che la prima manifestazione della forma espressiva dell’opera in questi casi non proviene dall’autore, dunque si potrebbe sostenere che difetta il presupposto per il sorgere del diritto.

Decisamente interessante è invece quel che si legge nel rapporto in merito all’intervento umano “a monte” dell’utilizzo dell’IA. Qui infatti l’USCO traccia una distinzione tra i tool di IA che agiscono solo a supporto della creazione dell’opera, i cui elementi espressivi vengono definiti già da un autore umano (caso in cui è evidente che il diritto sorge in capo a quest’ultimo), dal caso in cui invece il tool di IA viene usato per generare un’opera sulla base di una serie di istruzioni di massima (il cosiddetto prompt) riguardanti il soggetto e/o lo stile dell’opera.

E qui l’USCO ci indica due principi importanti: il primo è che il criterio per valutare se vi è o meno tutela è verificare se gli elementi espressivi dell’opera sono stati definiti da un autore umano, la seconda è che, quanto meno allo stato attuale della tecnica, di regola i prompt non sono sufficienti per verificare tale criterio, di guisa che le opere generate sulla base di un semplice prompt sorgono senza diritto esclusivo, salvo (aggiungeremmo noi) che il prompt non sia così dettagliato ed analitico da definire la maggior parte degli elementi che rappresentano la forma espressiva dell’opera (non dunque quando esso si limita all’indicazione, anche dettagliata, del soggetto e a direttive sullo “stile”).

Dunque, in estrema sintesi: per conseguire diritti di autore su una opera dell’ingegno generata dall’IA, far intervenire a valle un operatore umano che modifichi ed elabori l’opera conferendogli anche solo un minimo di originalità umana, creando dunque un’opera derivata, rappresenta la soluzione più sicura. Un’alternativa, ma meno sicura, potrebbe essere quella di prevedere un intervento di semplice selezione da parte di un operatore umano, laddove agire invece a monte, cioè sforzandosi di creare prompt molto dettagliati, implica rischi maggiori di far nascere un’opera non tutelabile.

Quanto si è detto sin qui riguarda il diritto di autore, dunque un diritto che nasce per tutelare la creatività umana e che, di conseguenza, per sua natura è tendenzialmente ostile alla tutela di opere generate da soggetti non umani (in giurisprudenza, ad esempio, si è in passato negata la tutela col diritto di autore di opere create da animali, come ad esempio i selfie delle scimmie). Si tratta dunque di capire se, e in quale misura, i principi indicati dall’USCO possano valere anche con riguardo ad altri trovati generati dall’IA.

Oltre il diritto d’autore: brevetti e altri diritti esclusivi per l’IA

Le opere dell’ingegno protette dal diritto di autore non esauriscono infatti il novero dei contenuti che potrebbero al contempo essere generati con il contributo anche determinante dell’IA ed essere oggetto di un diritto esclusivo. Ad esempio, una IA potrebbe individuare soluzioni tecniche brevettabili oppure definire l’aspetto di un prodotto in modo da renderlo registrabile come design (o tutelabile con un diritto si disegno o modello non registrato) oppure, ancora, l’IA potrebbe generare conoscenze tutelabili come know-how aziendale riservato o creare banche dati protette col diritto sui generis. E non è detto che, in relazione a tutte queste opere, valgano gli stessi rigorosi principi che tendenzialmente precludono il sorgere di un diritto di privativa in assenza di interventi umani “a valle” della generazione del contenuto.

Pur non essendo possibile in questa sede approfondire il tema con riguarda a ciascun diritto esclusivo, si può infatti segnalare che, quando abbiamo a che fare con trovati brevettabili o con la tutela di design (diversa da quella di diritto di autore) o del segreto aziendale o del diritto sui generis delle banche dati, l’assetto normativo e la ratio dei corrispondenti diritti esclusivi è decisamente più favorevole, rispetto al diritto di autore, alla possibilità di ammettere il sorgere di un diritto esclusivo sui corrispondenti beni immateriali anche quando siano generati dall’IA sulla base di un semplice intervento “a monte” dell’operatore umano. Il vero problema, in questi casi, è semmai che, una volta ammessa la tutela in astratto, resta da risolvere il problema di individuare il soggetto in capo al quale sorgono i diritti, sia patrimoniali che morali. E anche qui si ripropone l’alternativa tra risolvere la questione creando legislativamente nuove norme ad hoc oppure utilizzando quelle già esistenti, mediante una loro applicazione estensiva o analogica.

Anche questa seconda strada pare infatti percorribile, in particolare applicando alcuni principi generali sia del diritto della proprietà intellettuale che del diritto contrattuale e civile, tutti ispirati alla considerazione per cui la proprietà dei risultati dell’utilizzo di un bene strumentale (ovvero dell’attività di un soggetto incaricato da altri di compiere una certa attività) di regola spetta al soggetto che utilizza il bene conformemente al suo scopo tipico (o al soggetto che ha conferito l’incarico). Considerando infatti che l’IA quando genera un qualunque contenuto, per un verso, è un bene strumentale usato allo scopo di generare quel contenuto e, per altro verso, agisce in attuazione di un “incarico” e sulla base di una serie di istituzioni definite da un soggetto umano, pare possibile sostenere, in applicazione dei suddetti principi generali, che il relativo diritto esclusivo sull’output sorga in capo a chi si serve dell’IA, anche nel caso in cui si limiti a fornirgli, a monte, un semplice prompt o una serie di dati di partenza. Resta però aperta la questione dei diritti morali.

La questione dei diritti morali e la paternità dell’opera generata dall’IA

Non essendo questa la sede per una trattazione funditus di un tema che presenta notevoli margini di complessità, è possibile trattare la questione distinguendo due categorie generali di diritti morali.

Vi sono infatti i diritti morali di autore, che, oltre a tutelare la paternità dell’opera, mirano a tutelare il legame ideale tra l’autore e l’opera stressa e attribuiscono all’autore diverse facoltà (ritiro dell’opera, opposizione ad eventuali modifiche) esercitabili anche contro i soggetti cui siano stati trasferiti i diritti patrimoniali.

Ma vi sono anche diritti morali per così dire “minori” (ad esempio quello ad essere riconosciuto autore di un’invenzione o di un disegno o modello), che, nel diritto della proprietà intellettuale, rivestono essenzialmente la funzione di identificare il soggetto in capo al quale di regola sorge originariamente il diritto patrimoniale. Se questo è lo scopo di questi ultimi diritti, nulla dovrebbe allora ostare a che anche il diritto di paternità sorga originariamente in capo allo stesso soggetto umano cui viene attribuito ab origine il diritto patrimoniale.

Saranno dunque considerati, al contempo, titolari ed autori di un trovato in relazione al quale la legge prevede diritti di paternità (salvo che si tratti di opera protetta col diritto di autore) i soggetti in capo ai quali è sorto il diritto patrimoniale, che dovrebbero in questi casi identificarsi con chi ha fornito al tool il prompt per generare il contenuto.

Per tirare le somme, dunque, l’ordinamento nazionale, senza che occorrano interventi legislativi, dovrebbe consentire la tutela dei trovati generati dall’IA sulla base di un semplice prompt “a monte” in caso di soluzioni tecniche brevettabili, di design, di diritto sui generis sulle banche dati e di know-how riservato. Quanto ai contenuti protetti dal diritto di autore, a fronte di oggettive difficoltà nel riconoscere simili diritti sulle opere generate dall’IA sulla base dei prompt forniti “a monte”dall’operatore umano, sarà comunque sufficiente un minimo intervento creativo umano “a valle” della generazione del contenuto (restando tuttavia dubbio se possa considerarsi sufficiente la semplice selezione di un contenuto tra quelli proposti dalla macchina a fronte di un certo prompt), per ottenere un’opera tutelabile secondo le regole ordinarie, dunque soddisfacendo in misura adeguata sia gli interessi dei soggetti che intendono valersi dei tool di IA per generare opere dell’ingegno sia, di conseguenza, anche gli interessi di chi quegli strumenti sviluppa e commercializza.

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