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Chip: le strategie dell’Europa e l’evoluzione dell’industria globale



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La capacità dell’UE di rimettersi in gioco sullo scacchiere globale dei semiconduttori dipende dalla sua capacità di trasformare gli impegni in progetti concreti. Le questioni aperte sono molteplici. Il punto sulle soluzioni messe in campo, gli strumenti da rafforzare; gli sviluppi internazionali

Pubblicato il 26 ott 2023

Valerio Francola

Senior Researcher at Astrid

Gordon A. Mensah

ricercatore Astrid



reti chip ia

In un quadro economico che conferma l’alta ciclicità del settore dei chip, procedono parallelamente le iniziative di governi ed aziende per far fronte alle esigenze di un settore in enorme mutamento e – peraltro – particolarmente sensibile ai fattori geo-economici.

Il mercato mondiale dei semiconduttori

Il mercato mondiale dei semiconduttori è ampio e competitivo: nel 2022, le vendite globali di semiconduttori hanno raggiunto i 618 miliardi di dollari, con un aumento di oltre il 30% in soli due anni. Tuttavia, con il deterioramento della congiuntura internazionale e l’indebolimento della domanda, l’industria dei semiconduttori deve superare nuove sfide e affrontare una lieve flessione nel primo trimestre 2023.

La Semiconductor Industry Association (SIA) ha annunciato il 4 agosto 2023[1] che le vendite mondiali di semiconduttori hanno raggiunto 124,5 miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2023, con un aumento del 4,7% rispetto al primo trimestre del 2023, ma con una contrazione del 17,3% rispetto al secondo trimestre del 2022. Tuttavia, nel mese di giugno, le vendite sono tornate a crescere, con un aumento dell’1,7% rispetto al mese precedente.

Quest’ultimo risultato è dovuto in buona parte ai recenti sviluppi applicativi dell’intelligenza artificiale, un tema su cui torneremo anche più avanti.

Un riferimento importante è rappresentato da Nvidia[2], il maggior fornitore di GPU (Graphic Processing Unit) dedicate ai sistemi di intelligenza artificiale, le cui azioni sono salite dell’8,7% a 512 dollari prima dell’apertura dei mercati di New York giovedì 23 agosto 2023, dopo che Nvidia ha dichiarato che il fatturato sarà di circa 16 miliardi di dollari nei tre mesi che si concluderanno a ottobre. Di fronte, infatti, all’aumento vertiginoso della domanda di chatbot e altri strumenti basati su IA, gli operatori dei data center si stanno rifornendo dei processori dell’azienda, che sono in grado di gestire i pesanti carichi di lavoro richiesti dall’intelligenza artificiale. Questo ha aiutato Nvidia a uscire rapidamente da una situazione di difficoltà e ad accelerare la crescita delle vendite ad un ritmo superiore a quello sperimentato negli ultimi anni.

Dall’offshoring al friendshoring

Le criticità generate alla catena di approvvigionamento dei semiconduttori dalla pandemia da Covid-19, a cui si sono aggiunte le difficoltà provocate dalla guerra in Ucraina, ha incentivato molte aziende ad abbandonare, del tutto o in parte, il cosiddetto offshoring in favore di scelte di reshoring o friendshoring.

L’estrema complessità della supply chain dell’industria dei semiconduttori la rende, peraltro, difficilmente ricollocabile nell’ambito della catena produttiva di un singolo paese (reshoring). Di conseguenza, si sono sviluppate strategie e piani d’azione volte a costruire una rete di produzione e di approvvigionamento di componenti e materie prime all’interno di un gruppo di paesi dai valori condivisi (friendshoring o allyshoring). Queste dinamiche vengono incentivate dalle politiche di intervento statale nell’economia, volte a governare le dipendenze strategiche e stabilizzare il settore tramite incentivi fiscali, crediti di imposta e aiuti di Stato, che hanno avuto come risultato una imponente crescita degli investimenti da parte del settore privato dell’industria dei semiconduttori.

Le soluzioni messe in campo dall’Europa

In questo contesto, si inserisce l’iniziativa UE dell’European Chips Act che, con l’entrata in vigore prevista per il 2024, si pone come obiettivo quello di porre le condizioni per sviluppare una base industriale che possa raddoppiare la quota del mercato mondiale di semiconduttori attualmente detenuta dall’UE, portandola dal 10% ad almeno il 20% entro il 2030.  L’iter legislativo della proposta di regolamento, pubblicata dalla Commissione l’8 febbraio 2022, si è concluso il 25 luglio scorso dopo che il 18 aprile 2023 Consiglio e Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio, poi reso definitivo dall’approvazione del Parlamento (11 luglio) e del Consiglio (25 luglio). Il Consiglio ha inoltre approvato una modifica del regolamento che istituisce le imprese comuni nell’ambito di Horizon Europe, in modo da consentire l’istituzione dell’impresa comune sui chip che sostituirà l’attuale impresa comune sulle tecnologie digitali fondamentali.

Le tre linee d’azione dell’Ue

La Commissione ha proposto tre linee d’azione principali per realizzare gli obiettivi prefissati dalla normativa sui chip.

  • Il primo pilastro riguarda l’iniziativa “Chip per l’Europa” a sostegno dello sviluppo di capacità tecnologiche su larga scala;
  • il secondo, un quadro volto a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la resilienza attirando investimenti;
  • il terzo, un sistema di monitoraggio e risposta alle crisi per prevedere le carenze dell’approvvigionamento e garantire risposte in caso di crisi.

Un elemento che sottolinea l’importanza e la peculiarità del settore è la possibilità di concessione di aiuti di Stato ai cosiddetti “Impianti di primo tipo” (first-of-a-kind).

Sotto il profilo finanziario, l’iniziativa “Chip per l’Europa” dovrebbe mobilitare 43 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati, di cui 3,3 miliardi di euro proverranno dal bilancio dell’Unione europea. Tali azioni si concretizzeranno tramite la creazione di un’impresa comune “Chip”, un partenariato pubblico-privato in cui sono coinvolti l’Unione, gli Stati membri e il settore privato.

I dubbi sul piano europeo e le principali iniziative in corso

Da più parti ci si chiede se l’iniziativa promossa dal Commissario Breton, ossia la mobilitazione di considerevoli finanziamenti pubblici e l’introduzione di un quadro normativo ad hoc, sia in grado di trasformare gli obiettivi europei in realtà. La capacità dell’UE di rimettersi in gioco dipende, infatti, dalla sua capacità di trasformare gli impegni in progetti concreti. Le questioni aperte sono molteplici.

I numerosi annunci di alcune principali aziende leader del settore (Intel e TSMC) riguardo importanti accordi di investimenti in Europa, ed in particolare in Germania, vanno salutati con favore.

La cosiddetta Silicon Saxony (Germania), infatti, si sta sostanzialmente consolidando come il principale centro di produzione di semiconduttori in Europa. All’annuncio di Intel[3] del 19 giugno scorso – 30 miliardi di euro per la costruzione di due impianti di produzione presso Magdeburgo, potendo contare su 10 miliardi di euro di sussidi pubblici stanziati dal governo tedesco – ha fatto seguito anche TSMC. L’azienda taiwanese ha dichiarato che investirà fino a 3,5 miliardi di euro in una controllata, European Semiconductor Manufacturing Company (ESMC), di cui deterrà il 70%, a cui si aggiungeranno 5 miliardi stanziati dal governo tedesco. Le aziende tedesche Bosch e Infineon e l’olandese NXP deterranno ciascuna il 10% dell’impianto, che produrrà fino a 40.000 wafer al mese per automobili e prodotti industriali quando sarà operativa (nel 2027, con un costo complessivo di realizzazione di 10 miliardi di euro circa).

Anche fuori dalla Germania, si registrano iniziative importanti. Ad esempio, l’investimento del governo francese di 2,9 miliardi di euro di aiuti di Stato per la costruzione a Crolles, da parte STMicroelectronics e Global Foundries, di un nuovo sito specializzato in FD-SOI, una tecnologia dell’elettronica di potenza essenziale per ridurre il consumo energetico dei circuiti integrati. Un altro esempio è rappresentato da STMicroelectronics in Italia (con 292,5 milioni di aiuti di Stato), per la costruzione a Catania di uno stabilimento che si occuperà di tutta la catena del valore del substrato di carburo di silicio, partendo dalla produzione della polvere di SiC sino alla fabbricazione dei wafer e, tramite ulteriore processo, degli epiwafer in carburo di silicio.

Gli strumenti di politica industriale: il ruolo degli IPCEI

Da questo punto di vista, andrebbe rafforzato lo strumento di politica industriale rappresentato dagli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (IPCEI, nell’acronimo inglese), nella prospettiva di creare in Europa le condizioni di crescita, estendendolo, come affermato in un recente paper Assonime[4], all’ambito della produzione, e prevedendo anche una fonte di finanziamento centrale, europea, accanto a quelle attuali, cioè degli Stati membri e dei privati, nonché una governance affidata alla Commissione, per garantire un coordinamento su progetti multi-Paese e una riduzione dei tempi di autorizzazione (che oggi sono anche di un anno e mezzo).

Recentemente (8 giugno 2023), la Commissione europea ha approvato un IPCEI sulla microelettronica e le tecnologie della comunicazione, che si compone per 8,1 miliardi di euro di aiuti di Stato e per 13,7 miliardi di euro di investimenti privati ​​aggiuntivi, per un totale di circa 22 miliardi di euro nella filiera europea dei semiconduttori.

Come è evidente, il ricorso all’IPCEI è una soluzione che può garantire efficacia al Chips Act europeo, attivando forme di partenariato tra pubblico e privato e unendo le forze (e le risorse) di tutti gli Stati Membri[5].

Nell’ambito quindi della rinnovata attenzione dell’Unione europea verso il rafforzamento della propria politica industriale, gli IPCEI si pongono come uno degli strumenti più efficaci, in particolare in un settore cruciale come quello dell’industria dei semiconduttori, in virtù della loro capacità di espandere la presenza europea lungo l’intera catena di fornitura, investendo in capacità industriali importanti e innovative, e superando le strozzature della supply chain. Peraltro, gli IPCEI rappresentano uno strumento in grado di rispondere anche ai possibili rischi “distorsivi” della concorrenza, dovuti all’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato. Nel caso, infatti, degli IPCEI è possibile lavorare al concetto di “cluster” industriali europei, favorendone la creazione non soltanto in Germania (Dresda e Magdeburgo), ma anche in centri di eccellenza europea come Eindhoven, Leuven, Torino, Catania, Grenoble ed altri, evitando così la concentrazione in paesi con sufficiente margine di bilancio per sostenere progetti su larga scala.

L’esempio dei cluster si lega ancora una volta agli investimenti di TSMC in Germania. Al contrario infatti di quanto avverrà negli Stati Uniti, l’azienda di Taiwan non prevede di riprodurre[6] nel continente europeo la stessa rete di fornitori taiwanesi di cui si avvale sul proprio territorio: si avvarrà quindi di una serie di collaborazioni con le principali aziende europee, costruendo di fatto una rete di fornitori direttamente in Europa.

Di conseguenza, il Chips Act europeo contribuisce in parte ad una dinamica di europeizzazione delle catene di approvvigionamento dei semiconduttori che va a vantaggio della resilienza dell’Europa.

Peraltro, nell’ambito degli IPCEI, le aziende, tra cui molte PMI, possono maturare le condizioni per sviluppare tecnologie innovative, tra cui processori dedicati, chip IA, circuiti integrati programmabili (FPGA), interconnessioni ottiche nonché apparecchiature e materiali a sostegno dello sviluppo di applicazioni innovative per i settori delle comunicazioni, automotive, automazione industriale, IoT, IA, edge computing.

Le iniziative italiane

Anche l’Italia ha scelto di rafforzare il proprio impegno nel settore dei microchip tramite la partecipazione ad un importante IPCEI denominato “IPCEI ME/CT” (anche IPCEI Microelettronica 2), per cui sono stati autorizzati, ad inizio giugno, 8,1 miliardi di euro di aiuti complessivi a livello comunitario[7]. Il progetto, a cui prenderanno parte 14 paesi europei, tra cui l’Italia, sosterrà attività di ricerca, sviluppo e innovazione, anche in ambito di prima applicazione industriale, e svilupperà soluzioni innovative di microelettronica e comunicazione in grado di migliorare i processi produttivi dal punto di vista energetico e di impatto ambientale, accelerando la trasformazione verde e digitale. In particolare, l’obiettivo del progetto è quello di favorire il progresso tecnologico in molti settori, tra cui le comunicazioni (5G e 6G), la guida autonoma, l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica.

L’Italia è coinvolta anche in un’altra importante iniziativa europea che introduce un ulteriore importante strumento che va nella stessa direzione degli IPCEI di rafforzamento di una politica industriale ed economica europea comune.

L’Alleanza europea delle regioni produttrici di semiconduttori

Il Comitato europeo delle regioni (CdR), insieme al Land Sassonia, ha lanciato l’Alleanza europea delle regioni produttrici di semiconduttori[8], una rete politica di regioni impegnate a rafforzare la capacità dell’Europa di produrre semiconduttori e microelettronica, riducendo così la sua dipendenza dalle forniture di paesi terzi. L’Alleanza mira a individuare e contribuire a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo strategico del settore adeguando il quadro giuridico, promuovendo gli investimenti pubblici e privati, sostenendo la condivisione delle conoscenze e lo sviluppo di catene del valore forti e resilienti.

L’Allenza è costituita da 27 regioni di 12 Stati membri (il Piemonte, unica regione coinvolta, assumerà il ruolo di vicepresidenza dell’Alleanza, la Presidenza sarà affidata al Land tedesco della Sassonia), che si pongono l’obiettivo di sostenere l’espansione e la diversificazione del settore dei microchip nell’Unione europea. In questo modo, le regioni puntano a condividere le loro esperienze in questo settore strategico e contribuire a rafforzare la posizione dell’Europa in quanto attore chiave nella concorrenza globale con gli Stati Uniti e la Cina.

Interessante è anche il parere[9] in merito alla normativa europea sui chip, che i membri del CdR hanno presentato. Nel documento viene richiesto un aumento degli investimenti pubblici e di mettere a disposizione nuove risorse finanziare per l’attuazione di tale normativa facendo leva innanzitutto sui cluster e sugli ecosistemi industriali esistenti, allo scopo di sostenere l’espansione e la diversificazione del settore dei semiconduttori nell’Unione europea.

Quale strada per l’Europa?

Un ulteriore elemento di discussione riguarda infine la strada che avrebbe dovuto intraprendere l’Europa: se concentrare i contributi per espandere la capacità di produzione di chip “maturi” destinati ai settori industriali su cui l’Europa è molto forte (automobile e industria manifatturiera) piuttosto che affrontare elevati costi nel tentativo di sviluppare chip di ultima generazione, destinati a settori (telefonia mobile) che da tempo hanno abbandonato il continente europeo. Una dinamica, quest’ultima che ha determinato, anche a causa dell’aumento esponenziale del costo della produzione di chip sempre più complessi, una forte carenza lungo la catena di approvvigionamento europea di alcune delle competenze necessarie per la produzione avanzata di semiconduttori[10].

Al riguardo, una risposta sembra provenire dal caso degli investimenti di TSMC in Germania: la fabbrica che l’azienda taiwanese realizzerà a Dresda si concentrerà infatti sulla produzione per il settore automobilistico, ossia su tecnologie “mature” (28/22 nanometri), spingendosi fino a 16/12 nm grazie alla sua tecnologia Finfet, ma sempre nell’ottica di rispondere alle nuove evoluzioni del settore automobilistico[11]. Per l’azienda di Taiwan si tratta infatti anche di una strategia per difendere il proprio ecosistema produttivo e che prevede sostanzialmente di riservare la produzione e lo sviluppo delle linee produttive più evolute sul proprio territorio. Una strategia coerente, attuata sia nei confronti delle pressioni cinesi, sia nelle recenti collaborazioni attivate con gli Stati Uniti, dove la nuova fabbrica che verrà realizzata in Arizona, quando nel 2026 inizierà la produzione di chip, immetterà sul mercato chip a 4 nm, mentre al contempo, a Taiwan (presso l’Hsinchu Science Park), verrà avviata la produzione a 2 nm.

Chip e riforma del Patto di stabilità e crescita

La riflessione sulla politica industriale in un settore strategico come quello dei semiconduttori ha inoltre effetti anche sulla discussione in corso sul tema della riforma del Patto di stabilità e crescita. Una delle ipotesi su cui si stanno svolgendo approfondite valutazioni è quella di scorporare dal deficit gli investimenti in settori strategici per la transizione verde e digitale. L’applicazione di una regola di questo tipo fornirebbe ai Paesi europei strumenti e risorse necessarie per competere sul panorama internazionale. Peraltro, tale soluzione potrebbe legarsi al potenziamento e la creazione di nuovi strumenti centralizzati di politica industriale, compreso un finanziamento europeo degli IPCEI, nell’ottica di sviluppare economie di scala, aumentando le risorse proprie dell’UE. Un esempio per favorire questo processo è l’applicazione della Befit (il sistema di tassazione comune sulle grandi società europee), inquadrando anche questa opzione in un framework complessivo di regole e strumenti che sarebbero compatibili e complementari alla riforma del Patto proposta dalla Commissione europea[12].

L’Europa non parte da zero

È importante evidenziare infine che non su tutta la supply chain l’Europa parte da zero. Lo sforzo di risorse e strategie, quindi, dovrebbe essere concentrato anche sul rafforzare quei segmenti della supply chain dei semiconduttori dove siamo già competitivi, per non perdere la posizione acquisita. Parliamo di ASML e della sua leadership nei macchinari EUV (Litografia ultravioletta estrema), senza cui TSMC, Intel e Samsung non sarebbero in grado di produrre chip da 2/3 nanometri. O ancora del settore della produzione di materiali e prodotti chimici altamente personalizzati e complessi utilizzati nella produzione avanzata di chip e che provengono in buona parte da aziende europee (Merck, BASF e Solvay). Infine, la presenza di importanti centri di ricerca, come l’IMEC, il centro di ricerca sulla nanotecnologia fuori Bruxelles che viene utilizzato dai produttori di chip più avanzati per costruire prototipi, o gli istituti di Fraunhofer in Germania e il CEA-Leti in Francia.

Peraltro, sembra ragionevole porsi la domanda se sia corretto abbandonare completamente la sfida della produzione di chip avanzati per concentrarsi soltanto sui segmenti dove si è già competitivi. In tal senso, i sussidi messi in campo dall’European Chips Act sono senz’altro un buon punto di partenza (ponendo l’Europa sullo stesso piano dei più importanti Paesi a livello internazionale) per far crescere realtà importanti come, ad esempio, STMicroelectronics e GlobalFoundaries nel contesto della competizione internazionale e del rafforzamento della catena di approvvigionamento europea.

Sviluppi internazionali e nuovi players spinti da AI e LLM

Sul piano internazionale, sono significativi gli interventi pubblici nell’economia sia in termini restrittivi che di incentivi, spinti dagli sviluppi recenti dell’AI che ha rilanciato l’utilizzo degli strumenti di competition e trade policy.

Dal punto di vista delle restrizioni, ha rilievo l’Executive Order firmato dal Presidente Biden il 9 agosto 2023 volto all’implementazione il CHIPS and Science Act of 2022. La principale azione dell’ordine esecutivo è la limitazione degli investimenti statunitensi nella tecnologia cinese. Le nuove regole renderanno più difficile per gli americani investire in Cina in semiconduttori e microelettronica, nonché in tecnologie informatiche quantistiche e in alcuni sistemi di intelligenza artificiale.

I principali target sono società statunitensi di private equity e di venture capital, nonché gli investimenti in campo green e quelli in joint venture che vedono co-investimenti da parte di società americane. Tale misura è definita dall’amministrazione Biden con la formula “piccolo cortile, alto recinto”.

Il Tesoro USA ha dichiarato che la normativa riguarderà solo gli investimenti futuri, senza alcun effetto retroattivo sugli investimenti esistenti, ma potrebbe richiedere la comunicazione di transazioni precedenti. La richiesta di transazioni è pervenuta anche alle imprese britanniche, il Regno Unito sta, infatti, valutando di avvicinarsi ai limiti imposti dall’amministrazione Biden agli investimenti cinesi. Il Governo ha inviato alle aziende britanniche un sondaggio dove sono richiesti le modalità ed i volumi di investimento nel mercato cinese in un elenco di 17 settori, che vanno dai materiali avanzati alla robotica e alla biologia sintetica.

Da queste scelte, sembra profilarsi un tentativo per vie regolamentari di realizzazione del decoupling dell’economia americana, e di conseguenza di molti paesi occidentali, dal mercato cinese.

I primi effetti di queste scelte hanno generato sui mercati perdite e panico tra i vari shareholders. Effetto che notiamo anche nella risposta cinese che ha visto il governo ordinare ai funzionari delle agenzie governative centrali di non utilizzare gli iPhone di Apple e altri dispositivi di marca straniera per il lavoro o portarli in ufficio. Un annuncio che ha visto le azioni di Apple scendere del 3,6% recentemente, registrando la peggiore performance del Dow Jones Industrial Average.  Tali restrizioni sono l’ultimo passo della campagna di Pechino per ridurre la dipendenza dalla tecnologia estera.

La strategia americana di restrizioni volte a limitare l’accesso alle tecnologie da parte della Cina sembra presentare delle lacune non indifferenti. I legislatori Repubblicani, infatti, hanno chiesto misure più severe dopo che il rilascio di uno smartphone Huawei ha sollevato dubbi sui controlli delle esportazioni statunitensi.

Il rilascio alla fine di agosto da parte di Huawei di un nuovo smartphone (Mate 60 Pro) che utilizza chip fatti in casa sta portando gli Stati Uniti a voler inasprire le restrizioni all’esportazione di tecnologia alla Cina, per frenare i progressi cinesi nella tecnologia dei semiconduttori avanzati.

A generare nuove prospettive nello sviluppo del settore dei microchip è anche l’ingresso di due stati – Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – che ambiscono a poter incidere significativamente nel mercato, utilizzando i lori fondi sovrani. Il governo saudita, attraverso la King Abdullah University of Science and Technology (Kaust), ha acquistato almeno 3.000 chip Nvidia H100, ciascuno del valore di circa 40.000 dollari (a consegna è prevista entro la fine dell’anno). La Kaust possiede già almeno 200 chip Nvidia A100 e sta costruendo il supercomputer Shaheen III, dotato di 700 Grace Hopper, per la fine dell’anno.

Gli Emirati Arabi Uniti si sono assicurati “migliaia” di GPU Nvidia e hanno sviluppato il proprio modello open-source di Large Language Models, Falcon, presso il Technology Innovation Institute di proprietà statale a Masdar City, Abu Dhabi. Il modello è stato addestrato su 384 chip A100. L’azienda tecnologica degli Emirati Arabi Uniti G42, che ha legami con lo Stato, ha annunciato il mese scorso un accordo da circa 900 milioni di dollari con Cerebras per i supercomputer di intelligenza artificiale basati sulla sua esclusiva architettura di chip, costruita negli Stati Uniti.

Al contempo, di pari passo con gli investimenti in hardware i due paesi stanno implementando riforme volte a migliorare l’ambiente normativo in materia. Iniziative lungimiranti, tra cui l’istituzione di un ministero dell’IA negli EAU, rivelano l’intenzione di creare un terreno fertile per l’innovazione dell’IA. I governi di questi Paesi stanno orchestrando iniziative che amplificano la traiettoria di crescita del loro ecosistema AI. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, con i loro ambienti invitanti e le loro opportunità, stanno rapidamente diventando anche una calamita di talenti e di capitale umano decisivo per lo sviluppo dell’AI.

Conclusioni

Il quadro descritto è complesso, nonché in forte movimento. Ciò richiede una particolare attenzione da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri nel saper bilanciare strategie, risorse e sfide geopolitiche.

L’European Chips Act ha prodotto già alcuni effetti positivi, stimolando l’interesse di importanti aziende internazionali ad investire nel continente europeo.

Le sfide che ora deve affrontare l’Europa sono molteplici. In primo luogo, è importante non tramutare questa opportunità in una sfida tra sussidi, ma – piuttosto – come occasione per rafforzare gli strumenti di politica industriale (Ipcei, Alleanze).

In secondo luogo, gli investimenti che giungeranno in Europa grazie all’European Chips Act e alle nuove dinamiche geopolitiche dovranno creare condizioni di crescita e sviluppo per tutti gli Stati membri, senza determinare squilibri nelle opportunità, legate ai margini di manovra di bilancio dei vari Stati membri.

La presenza di importanti aziende sul territorio europeo dovrà essere guidata dalle istituzioni europee verso collaborazioni in grado di generare vantaggi per il tessuto produttivo e di R&S. Peraltro, il necessario rilancio della produzione di chip in Europa dovrà conciliare il tentativo di recupero di terreno lungo le linee di produzioni più avanzate con l’attuale specializzazione del sistema industriale europeo, che conta sull’offerta di chip per i settori “tradizionali” (ad esempio industria dell’automobile), e su alcune particolari stadi della catena del valore (macchinari per la produzione, chimica per il settore, centri di ricerca etc.)

Note


* L’analisi rientra nel perimetro di studio e ricerca del Laboratorio sull’Ecosistema Digitale (Astrid-LED).

[1] https://www.semiconductors.org/global-semiconductor-sales-increase-4-7-in-q2-compared-to-q1/

[2]https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-08-23/nvidia-gives-rosy-outlook-in-sign-ai-spending-remains-insatiable?cmpid=BBD082323_BIZ&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_term=230823&utm_campaign=bloombergdaily&leadSource=uverify%20wall

[3] https://www.reuters.com/technology/berlin-sign-agreement-with-intel-after-chip-plant-talks-2023-06-19/

[4] https://24plus.ilsole24ore.com/art/digitale-e-green-perche-ue-perde-gara-gli-aiuti-usa-AE0OL6kD

[5] Quest’ultima iniziativa, infatti, coinvolge 68 progetti di 56 aziende di 19 differenti Stati membri (più la Norvegia), a cui si uniscono potenziali 600 collaborazioni di partner indiretti che potrebbero generare, nel complesso, circa 8700 posti di lavoro direttamente impiegati nella filiera/settore.

[6] Il margine di profitto per i nodi maturi di cui oggi ha bisogno l’industria automobilistica non è sufficiente per considerare l’Europa come un’area di investimento interessante anche per l’intera catena di fornitori tradizionali di TSMC.

[7] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_23_3087

[8]https://cor.europa.eu/en/news/Pages/Regions-team-up-to-speed-up-the-expansion-of-the-European-semiconductor-industry.aspx

[9] https://cor.europa.eu/it/our-work/Pages/OpinionTimeline.aspx?opid=CDR-1960-2022

[10] Di conseguenza, costruire una catena di approvvigionamento ad alta complessità come quella richiesta per la tecnologia dei chip più avanzati richiederà molti anni per iniziare a restituire risultati di rilievo, oltre a richiedere ulteriore sostegno da parte delle istituzioni pubbliche: per essere più specifici, più avanzato è il chip prodotto, più il processo è ad alta intensità di capitale. Ad esempio, la spesa in conto capitale di TSMC per il 2022 è stata di 36 miliardi di dollari.

[11]https://www.euractiv.com/section/industrial-strategy/opinion/tsmc-in-germany-the-successes-and-limits-of-the-eu-chips-act/

[12] V. Meliciani, L’Italia si mette in gioco nel mercato globale dei semiconduttori, Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2023.

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