sovranità tecnologica

Chips Act, l’Europa corre con Cina e Stati Uniti: ecco i piani e gli ostacoli

Le iniziative per il rafforzamento delle filiere dei semiconduttori, partite negli Stati Uniti in risposta all’attivismo cinese, sono state seguite a ruota dall’Unione Europea. Ecco obiettivi e sfide

Pubblicato il 08 Feb 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

chip stm

Un piano di 43 miliardi di euro – di cui però “solo” 12 miliardi di risorse nuove per dare un futuro all’Europa in una contemporaneità che sempre più si basa sui chip, di cui ora c’è grave carenza.

Il Chips Act presentato dalla Commissione europea, tecnicamente un regolamento che dovrà essere approvato dalle istituzioni Ue, entra in un più ampio quadro di iniziative dell’Europa e degli Stati Uniti per garantirsi un futuro sovrano di crescita e indipendenza tecnologica.

La necessità di essere sovrani nel digitale, anche con i chip

La pandemia ha accentuato la competizione formidabile per conquistare posizioni dominanti nei mercati dei terminali, delle infrastrutture di telecomunicazione, dell’ efficienza energetica e dei veicoli elettrici, ma ha anche accelerato l’introduzione dei sistemi di telehealth e l’adozione di elettrodomestici a bassi consumi. L’aumento dei costi energetici accentua l’interesse dei consumatori e delle imprese per questi passaggi, e si sposta la produzione verso i prodotti più avanzati., attraverso l’adozione di chip sempre più piccoli, sobri, affidabili.

L’aumento della domanda di processori e memorie ha portato, per la prima volta dopo molti anni di riduzione dei costi, ad aumenti di prezzo e ad una rarefazione dell’offerta, che si traduce in tempi di consegna più lunghi, crisi nella produzione di auto, elettrodomestici, smartphone, computer e i prodotti necessari alle nuove infrastrutture di rete come il 5G.

A conclusione della survey condotta a fine anno scorso la Segretaria al Commercio degli Stati Uniti Gina Raimondo ha detto “la domanda di chip è molto alta e aumenterà ancora. Essa supera del 20% quella del 2019 e la survey che abbiamo condotto non ci porta molte buone notizie”. Le scorte presso gli utilizzatori di chip si sono ridotte dai 40 giorni del 2019 a 5 giorni nel 2021 “con 5 giorni non c’è margine d’errore e questo ce la dice lunga sulla fragilità della supply chain”, fragilità che ha colpito con aumenti di prezzo sia il settore automobilistico sia quello delle apparecchiature medicali, ha aggiunto la Raimondo[1]. Questa drammatizzazione del quadro fa parte dell’impegno dell’amministrazione americana per convincere il Parlamento a finanziare il Chips Act, come risposta alla crisi in corso.

Negli ultimi 20 anni la produzione dei chip si è spostata dagli Stati Uniti e dall’Europa in Asia, in particolare Taiwan e Corea, lasciando agli Stati Uniti la leadership nella progettazione.

La Cina

Pechino ha messo i chip al centro della politica industriale e di sicurezza del Partito e del governo, al fine di rendere la Cina più indipendente nella produzione e soprattutto nella progettazione dei chip, con finanziamenti pubblici che negli anni recenti assommano, secondo fonti occidentali, a 150 – 180 miliardi di dollari.

Stati Uniti

La risposta degli Stati Uniti e dell’Europa, di fronte all’emergenza del problema delle forniture di semiconduttori si condensa in due iniziative legislative che si assomigliano molto sia per strumentazione sia per dimensione. Quella americana, il disegno di legge arato alla fine del 2021 e ancora in fase di finanziamento da parte dell’amministrazione e del Congresso, e l’analoga proposta di normativa che la Commissione Ue ha elaborato nel 2021 per presentarla infine l’8 febbraio 2022.

Il disegno di legge del Senato americano include circa 52 miliardi di dollari per incoraggiare una maggiore produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. Potrebbe beneficiare dei piani annunciati da Intel Corp. per investire in due nuove fabbriche di chip in Ohio.

La legislazione si è impantanata alla Camera, dove molti democratici vogliono che la legislazione affronti obiettivi sociali più ampi, tra cui la disuguaglianza economica e il cambiamento climatico, ma rischia così potenzialmente la perdita di qualche supporto repubblicano.

Il chip act europeo

Il Chip Act, ufficialmente legge europea sui semiconduttori, “rafforzerà la competitività e la resilienza dell’Europa e contribuirà a realizzare le transizioni verde e digitale”, scrive la Commissione.

“Le recenti carenze di semiconduttori a livello mondiale hanno portato alla chiusura di stabilimenti operanti in un’ampia gamma di settori, da quello automobilistico a quello dei dispositivi sanitari. Nel settore automobilistico, ad esempio, nel 2021 la produzione in alcuni Stati membri è calata di un terzo. Ciò ha reso ancor più evidente l’estrema dipendenza globale della catena del valore dei semiconduttori da un numero molto limitato di operatori in un contesto geopolitico complesso, ma ha anche dimostrato l’importanza dei semiconduttori per la società e l’industria europee nel loro complesso”.

“La legge europea sui semiconduttori si baserà sui punti di forza dell’Europa (organizzazioni e reti di ricerca e tecnologia di livello mondiale, sedi di produzione di apparecchiature pionieristiche) e affronterà i punti deboli ancora irrisolti. Darà vita a un settore dei semiconduttori prospero, dalla ricerca alla produzione, e a una catena di approvvigionamento resiliente”. “La legge consentirà all’UE di conseguire l’obiettivo di raddoppiare la sua attuale quota di mercato portandola al 20% nel 2030″. “La legge europea sui semiconduttori garantirà che l’UE sia dotata degli strumenti, delle competenze e delle capacità tecnologiche necessari per diventare leader del settore oltre la ricerca e la tecnologia, nel campo della progettazione, della fabbricazione e dell’imballaggio di chip avanzati, per assicurarsi l’approvvigionamento di semiconduttori e ridurre le sue dipendenze”.

Le risorse in campo

Lo stanziamento complessivo sarà di 43 miliardi euro, così suddiviso: 12 (metà dei quali a carico degli Stati membri) per la ricerca, 30 per agevolare gli investimenti delle aziende, 5 per promuovere il venture capital. A questi strumenti si affianca un allentamento dei vincoli sugli aiuti di stato, che consente un maggior ricorso alle risorse pubbliche da parte delle aziende del settore.

I componenti principali della legge europea sui chip

  • l’iniziativa “Chips for Europe” metterà in comune le risorse dell’Unione, degli Stati membri e dei paesi terzi associati ai programmi dell’Unione esistenti, nonché del settore privato, mediante un’impresa comune per i chip rafforzata, che è il risultato del riorientamento strategico dell’attuale impresa comune “Tecnologie digitali fondamentali”. Saranno resi disponibili 11 miliardi di € per rafforzare la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione esistenti, garantire la diffusione di strumenti semiconduttori avanzati, creare linee pilota per la realizzazione di prototipi, la sperimentazione e il test di nuovi dispositivi per applicazioni della vita reale innovative, formare il personale e sviluppare una comprensione approfondita dell’ecosistema e della catena del valore dei semiconduttori.
  • Un nuovo quadro per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento mediante l’attrazione di investimenti e capacità di produzione rafforzate, indispensabili per promuovere l’innovazione nel campo dei chip con nodi avanzati, innovativi ed efficienti sotto il profilo energetico. Un fondo per i chip faciliterà inoltre l’accesso ai finanziamenti per le start-up per aiutarle a portare a maturazione le loro innovazioni e ad attrarre investitori. Il fondo comprenderà anche uno specifico strumento per gli investimenti in equity per i semiconduttori nell’ambito di InvestEU per aiutare le scale-up e le PMI a espandersi gradualmente sul mercato.
  • Un meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione per monitorare l’approvvigionamento dei semiconduttori, stimare la domanda e anticipare le carenze. Il meccanismo monitorerà la catena del valore dei semiconduttori raccogliendo informazioni chiave dalle imprese per individuare le strozzature e le debolezze principali, effettuerà una valutazione comune della crisi e coordinerà le azioni da intraprendere a partire da un nuovo pacchetto di strumenti di emergenza. Reagirà inoltre in maniera rapida e decisa utilizzando appieno gli strumenti nazionali e dell’UE.
  • La Commissione propone inoltre in parallelo una raccomandazione agli Stati membri. Si tratta di uno strumento con effetto immediato che consente di attivare subito il meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione. Ciò permetterà da oggi in poi di discutere e adottare decisioni in merito a misure tempestive e proporzionate di risposta alle crisi.

Gli scenari e le sfide di UE e USA

In una parola, sia gli Stati Uniti, sia l’Europa si dotano di una politica industriale basata sulle risorse pubbliche, con l’obiettivo di attrarre gli investimenti delle maggiori imprese del settore, che oggi pianificano colossali investimenti per far fronte all’espansione del mercato.

L’obiettivo della Commissione è di aumentare la produzione made in UE di semiconduttori, portando l’attuale quota del 10% del mercato globale al doppio in dieci anni, ossia al 20%. Ma poiché nei dieci anni la domanda raddoppierà, in realtà le aziende dovrebbero quadruplicare la produzione per conseguire l’obiettivo del 20% della quota globale. Un impegno da far tremare i polsi.

Gli investimenti in Europa verranno dalle multinazionali già operanti nel mercato globale, le quali devono ora fare opportune valutazioni se prendere gli incentivi in America o in Europa o da entrambe le parti, e questo potrebbe portare ad una perdita di attrattività dell’Asia ed in particolare della Cina, dove oggi operano molti dei loro stabilimenti. Tutte le multinazionali sono presenti in Cina con investimenti nella produzione e nel testing: Intel, ARM, IBM, Texas Instruments, Micron, Qualcomm,

Nvidia, Broadcom, Cisco Systems, Global Foundries[2]. Spicca il caso di INTEL, decisa, con il suo programma IDM 2.0 a costruire un nuovo impianto di fonderia del costo compreso tra 60 e 120 miliardi di dollari, il cui impegno è stato dilazionato per attendere più chiare indicazioni sul Chips Act europeo, cercando di ottimizzare i sussidi sui due lati dell’Atlantico.

Gli ostacoli

  • Tra gli ostacoli di questi disegni di legge ci sono sia quelli politici – già USA come detto si sono impantanati nelle divergenze tra democratici e repubblicani, il cui peso è comunque destinato a crescere con le elezioni di mid term – sia quelli pratici. Perché se ci vogliono anni per fare passare leggi in Europa ce ne vogliono altrettanti poi per costruire fabbriche di chip, di cui c’è però necessità adesso.
  • Ma è anche la disponibilità di lavoratori dotati di capacità ed expertise che limita la convenienza ad investire in Europa, e questo problema andrebbe indirizzato con investimenti concentrati sulla scuola e sull’università, gli strumenti più efficaci per fare politica industriale, senza dare sussidi che distorcono il mercato.
  • Per quanto riguarda il controllo sulle esportazioni, la Associazione Americana dei Semiconduttori (SIA) che raggruppa le aziende del settore, non nasconde le sue preoccupazioni: il rischio che due diversi sistemi di controllo si mettano in concorrenza o, peggio ancora, in conflitto tra loro, avendo semmai obbiettivi comuni da raggiungere, spaventa non poco aziende che per loro natura sono globali[3].

Politica industriale o guerra fredda tecnologica?

C’è chi non crede che la risposta della politica industriale americana ed europea possa avere successo e sottolinea il fatto che il mercato dei semiconduttori è cresciuto ed ha mobilitato investimenti colossali, raggiungendo il livello di eccellenza che lo caratterizza, non per merito delle politiche industriali, ma perché il mercato ha potuto, fino ad oggi, operare con specializzazioni diversificate e distribuite geograficamente su scala mondiale.

La guerra fredda tecnologica, che si è scatenata tra Stati Uniti e Cina, con l’Europa a seguire l’alleato, sembra guidata più dalla volontà di impedire l’accesso della Cina a determinate tecnologie che possono avere importanza cruciale nei nuovi sistemi di difesa o di attacco, piuttosto che dalla esigenza di diventare più competitivi nelle fasi a minor valore aggiunto della filiera dei chip. Queste fasi sono quelle attualmente localizzate in Asia: la produzione dei wafer, il test, l’allestimento e montaggio dei chip. Questa visione globale, di cui pure è portatrice l’Associazione Internazionale dei Semiconduttori (SIA), non le impedisce di plaudire agli aiuti di stato, ben accetti ad imprese che comunque hanno già messo a budget i fondi per sostenere i propri investimenti E non le impedisce di sostenere in modo convinto la campagna di Biden volta a convincere il Congresso della necessità di approvare i provvedimenti legislativi che porteranno all’attuazione del Chips Act.

Ancora a gennaio, il Presidente ha invitato i Rappresentanti a procedere “per sostenere la nostra competitività, e la nostra sicurezza, e per consentire a tutte le città americane di partecipare all’iniziativa globale”. Intel ha accompagnato questa esortazione presidenziale con il proprio impegno a costruire un impianto da 20 miliardi di dollari in Ohio, capace di dare lavoro a circa 10.000 persone. La SIA ha sventolato investimenti per 80 miliardi di dollari fino al 25, di cui 17 di Samsung nel Texas, e 30 da parte della Texas Instruments.

Nonostante le preoccupazioni americane sulla crescita delle capacità produttive cinesi, attese in aumento da una quota del 9% del 2020 ad una quota mondiale del 17% nel 2025, secondo IDC, la Cina rimarrà largamente dipendente dalle importazioni in particolare nella frontiera tecnologica dei chip, dove è ancora indietro nelle tecnologie al di sotto dei 14 nanometri[4].

Nella formulazione giuridica americana, è essenziale, per poter erogare aiuti di stato alle imprese, profilare l’intervento come essenziale per la sicurezza nazionale, in modo che rientri nella Defence Production Act, che consente di orientare l’attività dell’industria bellica.

Anche per questo motivo, sarà difficile districarsi tra obiettivi divergenti: quelli di una crescita della competitività del settore, che comporta necessariamente apertura dei mercati e libera circolazione dei capitali oltre che protezione della proprietà intellettuale, e gli obiettivi di sicurezza nazionale che sacrificano la competitività a lungo termine sull’altare di una tattica di “affaticamento” dell’avversario, che però nel mercato globale è anche un partner e un cliente formidabile.

Il fronte delle regole e lo scontro su New IP

La Cina si è mossa per prima per fronteggiare i problemi delle strozzature nelle forniture di chip, invocando anch’essa gli interessi strategici della sicurezza nazionale, ma ha anche aperto un nuovo fronte per quanto attiene alla governance di internet. L’iniziativa risale alla prima Conferenza su Internet svoltasi in Cina nel lontano 2013, quando si pose per la prima volta il tema della “internazionalizzazione” della governance di internet. Si era agli albori della costruzione del grande firewall che avrebbe poi ostacolato, negli anni successivi, l’accesso libero ad internet da parte dei cittadini cinesi e avrebbe impedito l’utilizzo in Cina di molti servizi di rete globali (gmail per fare un nome). La politica di chiusura della Cina, da un lato ha allontanato i pericoli, per il regime, di un accesso libero ai contenuti, dall’altro ha creato un mercato protetto per lo sviluppo di una serie di servizi “nativi”, che hanno beneficiato di una insormontabile barriera protettiva che ostacolava la concorrenza di molte big tech americane. In questo contesto sono esplose le aziende cinesi come Alibaba, Tencent e altre.

Ma abbiamo visto che la preoccupazione per la stabilità del regime si è poi rivolta contro gli imprenditori che di quella esplosione sono stati protagonisti, come Jack Ma, fondatore di Alibaba. Quando il suo e-commerce è dilagato nella finanza, mettendo in crisi le banche di stato, è giunto uno stop brutale che è costato all’azienda la mancata collocazione in borsa della sua straordinaria fintech Alipay, e la perdita di 2/3 del valore della quotazione della casa madre. E Jack ma non è stata l’unica vittima. Tutti i maggiori protagonisti dei servizi on line per i cittadini sono finiti sotto la scure del regime, in nome della privacy, della sicurezza, dell’abuso di posizione dominante.

In questo modo il regime ha bloccato gli investimenti in questo settore, privilegiando alre aree strategiche: Intelligenza Artificiale, 5G, semiconduttori. Aree in cui il governo intende far crescere l’indipendenza della Cina dalla divisione internazionale del lavoro, aree che apparentemente non presentano rischi per la stabilità del regime.

Ora la battaglia sull’accesso a internet si è spostata, per iniziativa cinese, sul fronte delle regole internazionali, tra cui gli standard tecnici, che consentono ad internet di funzionare come una rete globale, aperta e affidabile. L’iniziativa ha preso corpo con ricerche sviluppate da Huawei, la principale vittima delle sanzioni americane motivate dalle esigenze di sicurezza del 5G. L’zienda ha elaborato un documento, presentato all’International Telcommunication Union (ITU), la principale agenzia dell’ONU che presiede, per accordo internazionale, alle questioni delle telocomunicazioni e che sta elaborando Network 2030, un gruppo di studio per “lo sviluppo della rete al 2030 e oltre” con una prima focalizzazione sulle questioni sollevate dalla comunicazione olografica, dall’internet tattile, dall’IoT industriale e dai digital twins, gli oggetti virtuali che riproducono caratteristiche e funzionamento di quelli reali e possono prevedere deformazioni o rotture [5].

Intorno all’iniziativa di Huawei si sono raccolti altri soggetti pubblici cinesi: China Mobile, China Unicom, e il Ministero dell’Industria e dell’Information technology (MIIT). L’attuale governance non può essere certo definita top-down: il sistema è costituito da decine di enti, ed in particolare da 5 enti delle Nazioni Unite e da 12 enti internazionali tra cui quelli che presiedono alla numerazione, all’indirizzamento nelle 5 aree del mondo, agli standard della suite del protocollo internet, all’assegnazione dei domini DNS, o che presidiano i requisiti di apertura ed accessibilità della rete.

La macchina è complessa e le funzioni principali sono affidate a comitati dove gli stakeholder, in particolare i fornitori di servizi di rete e le telecom, hanno importante voce in capitolo.

La Cina non si sente adeguatamente rappresentata: il governo teme di non contare abbastanza nel governo di quella macchina, costruita non per progetto dall’alto, ma maturata nell’esperienza di decenni, con il contributo di molti stakeholder che “dal basso” costruiscono regole basate su accordi maturati in discussioni, confronti, verifiche.

Due sono gli aspetti critici dell’iniziativa New IP.

Il primo riguarda proprio il modello partecipato ed evolutivo che caratterizza la governance di internet, che rispecchia l’impostazione iniziale della rete aperta.

Il progresso tecnico che ha portato alla diffusione di internet in aree prima sconosciute (AI, IoT, 5G, WAN etc) rischia, secondo i proponenti del New IP di creare migliaia di isole che non si parlano più, che spezzano l’unità della rete. New IP propone un nuovo protocollo che sussuma tutti gli indirizzi possibili futuri (IPv4, IPv6, ID semantico, ID di servizio, di contenuto, della gente, dei device etc).

Ma nella parole di Vint Cerf la nascita di internet era “un progetto per stabilire un modello e una serie di regole che potranno consentire a reti dei dati di operatori molto diversi tra loro di interconnettersi, abilitando gli utenti ad accedere a risorse remote e consentire la comunicazione tra computer attraverso le reti connesse”. L’esistenza di una miriadi di “isole”, stimata in oltre 60 mila, “chiamate sistemi autonomi, che fanno ciascuno le proprie scelte tecnologiche per servire i propri utilizzatori, che si interconnettono usando protocolli di instradamento e accordi bilaterali. L’esperienza ha dimostrato che la maggior parte dei problemi di interconnessione, (inclusa la creazione di ‘isole’), deriva da fattori non tecnici, ma da questioni di responsabilità e di scelta politica. La definizione di un nuovo protocollo (come proposto da New IP) non risolverebbe questi problemi”[6].

Il secondo punto critico riguarda la sicurezza. New IP propone di “implementare una maggiore sicurezza e affidabilità…e che a tal fine occorre definire un nuovo modello di sicurezza e affidabilità…insieme ad affidabili e sicuri schemi di condivisione dei dati”.

Ma gli attuali problemi di sicurezza, sicuramente rilevanti, non dipendono dalla mancanza di strumenti, ma dalla non applicazione degli stessi “un governo può rendere obbligatori determinate soluzioni tecnologiche per la sicurezza della rete, ma ciò significa che la rete globale per questo motivo non vedrà aumentare la sua interoperabilità”.

Ecco affiorare il cuore della questione. Per la stabilità del regime la Cina è pronta a rendere rigida la struttura della rete: in nome della sicurezza la rete cinese è diventata una grande isola, circondata dall’enorme firewall, che protegge dalle incursioni delle informazioni che la rete offre. In nome dell’efficienza della rete e delle aree applicative che su di essa crescono come cespugli, la Cina è pronta a demolire la struttura “federativa” quale noi la conosciamo, a favore di una struttura istituzionale in cui i governi abbiano la maggior voce.

New IP propone una governance top down, nella quale evidentemente un regime fortemente centralizzato come quello cinese, avrebbe un ruolo più importante di quello che può avere nella situazione attuale.

Conclusioni

Le iniziative per il rafforzamento delle filiere dei semiconduttori, partite negli Stati Uniti in risposta all’attivismo cinese, sono state seguite a ruota dall’Unione Europea.

Le iniziative prevedono sussidi pubblici, prevalentemente concentrati sulle imprese.

Le imprese che potranno attingere a quei sussidi sono in prevalenza colossi multinazionali che hanno fatto il pieno di profitti e ancora li stanno facendo: i loro piani di investimento sono già definiti, forse i sussidi sposteranno qualche localizzazione da una parte all’altra dell’Atlantico in un gioco che potrebbe risultare a somma 0 per l’insieme dei paesi occidentali alleati.

Altro discorso è finanziare ricerca e istruzione: qui, in particolare l’Italia e molti altri paesi europei, potrebbero creare grandi opportunità di migliorare la preparazione delle nuove leve, di ricercatori e lavoratori, di cui il settore registra già oggi grande scarsità.

La partita dei chip sembra orientata da esigenze politico-strategiche, che poco hanno a che fare con la competitività del settore e molto con la sicurezza. Ciò vale non solo per Europa e Stati Uniti, ma anche e forse soprattutto per la Cina.

Ma le tensioni che alimentano questo confronto rischiano di peggiorare e non di migliorare il funzionamento della supply chain globale, da cui tutti, Europa, Stati Uniti e Cina dipendono.

A queste tensioni, sempre alimentate dall’ossessione per la stabilità del regime, la Cina affianca ora una rivendicazione di maggior ruolo nelle “regole tecniche” ovvero maggior voce nella governance di internet. L’obiettivo dichiarato è di migliorare l’efficienza della governance, facendo leva sulle indubbie capacità di Huawei di fare a fette la rete, come richiede il modello 5G. Ma, lo sappiamo, il diavolo si nasconde nel dettaglio: dietro le nuove specifiche tecniche si cela la volontà di sovvertire il modello di governance aperto ed evolutivo che abbiamo conosciuto fino ad oggi, per mettere in mano ai governi le briglie della rete.

Note

  1. ) David Shepardson, US Commerce Dept says chips shortage to persist, will review some prices, Reauters, January 26, 2022
  2. )Robert Lewis, Are Proposed US and EU “CHIPS Acts” Already Outmoded and Irrelevant? Lexology, December 22, 2021.
  3. ) Meghan Biery, SIA Encourages the United States and Europe to Collaborate on Export Control Policy, SIA, Thursday, Jan 20, 2022, 12:00.
  4. ) Saheli Roy Choudhury, China is still ‘three or four generations’ away from developing latest semiconductor tech, IDC says, CNBC, January 19, 2022.
  5. ) Alain Durand, New IP, ICANN, October 27, 2020.
  6. ) Hascali Sharp, Olaf Kolkman, Discussion Paper: an Analysis of the “New IP” proposal to the ITU-T Internet Society, 24 April 2020. Qui si trova anche la citazione del paper Internet Experiment Note 48 (IEN48) del 1978 di Cerf.

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