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Chips Act: l’Italia non vuole restare indietro nella corsa Ue ai semiconduttori



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Con la nascita del Chips Act, l’Europa risponde alla crescente domanda globale di semiconduttori e sottolinea l’importanza di questi componenti per l’industria tecnologica. L’Italia, grazie alle misure adottate a livello nazionale e al ruolo attivo dei principali attori nel settore, si prospetta come un protagonista chiave

Pubblicato il 30 nov 2023

Martino Basilisco

trainee di Greenberg Traurig Santa Maria

Pietro Missanelli

senior associate di Greenberg Traurig Santa Maria



chip semiconduttori

In un contesto globale caratterizzato da una crescente domanda di semiconduttori e dalla loro fondamentale importanza per l’industria tecnologica, l’Europa ha risposto con la nascita del Chips Act. Questa mossa normativa non solo mira a sostenere e promuovere la produzione di semiconduttori all’interno dei confini europei, ma rappresenta anche una significativa opportunità per l’Italia.

Grazie a misure specifiche adottate dal nostro Paese e al ruolo attivo dei principali attori italiani nel settore, l’Italia si prospetta come un protagonista chiave nel panorama europeo dei semiconduttori.

La nascita del Chips Act: contesto globale e risposta europea

Dall’automotive alla sanità, dall’aerospaziale al digitale, i chip oggi rappresentano una componente essenziale per le industrie ad alto tasso tecnologico. Negli ultimi anni, tuttavia, la filiera globale dei semiconduttori ha subito gravi rallentamenti a causa delle difficoltà legate alla pandemia e delle tensioni geopolitiche. L’industria europea ha così rivelato la sua dipendenza dalla produzione estera, concentrata nelle mani di pochi colossi asiatici e statunitensi.

Come noto, è in atto una vera e propria “corsa agli investimenti” da parte delle maggiori economie mondiale: nell’agosto 2022, gli USA hanno varato il CHIPS and Science Act, stanziando oltre 50 miliardi di dollari di risorse pubbliche nella produzione nazionale di chip (a cui sono seguiti, nell’ultimo anno, investimenti privati per oltre 200 miliardi di dollari).

Dal canto suo, la Cina sarebbe pronta a varare un nuovo fondo di oltre 40 miliardi di dollari per rilanciare le ambizioni di autosufficienza della propria industria nazionale dei semiconduttori, ancora in ritardo sul piano delle produzioni più avanzate e sofferente a causa delle restrizioni all’export tecnologico poste in essere dagli USA e dei suoi partner.

L’UE non poteva restare inerte. Nel febbraio 2022, la Commissione europea ha proposto un’ampia serie di misure, strutturate su più livelli di intervento, per rafforzare la produzione UE di chip, con l’obiettivo di prevenire future crisi degli approvvigionamenti e quadruplicare la capacità produttiva dei 27, fino a raggiungere un quinto dell’offerta globale entro il 2030. Le proposte hanno trovato spazio nel Regolamento (UE) 2023/1781 del Parlamento Europeo e del Consiglio, il cosiddetto “Chips Act[1], entrato in vigore il 21 settembre.

Gli obiettivi del Chips Act

Nel breve periodo, il Chips Act crea un sistema di mappaggio e monitoraggio della catena del valore, predisponendo un meccanismo di prevenzione delle crisi e di intervento rapido. A tal fine, gli Stati membri raccolgono e condividono informazioni sui relativi mercati nazionali nell’ambito del consiglio europeo dei semiconduttori, organo consultivo presieduto dalla Commissione. Quest’ultima coordinerà il sistema di allerta precoce, potendo eventualmente intervenire con richieste di informazioni alle imprese, ordini prioritari e programmi di acquisto comuni o ponendo limitazioni alle esportazioni di componenti.

Iniziative e risorse stanziate

Nel medio-lungo periodo, l’iniziativa “Chip per l’Europa” metterà in campo importanti finanziamenti e misure per stimolare le capacità di innovazione e produzione dell’UE.

Per le attività di ricerca e sviluppo ingenti risorse proverranno, nell’ambito della nuova Chips Joint Undertaking, dai programmi Europa Digitale e Orizzonte Europa, con grande attenzione ai transistor avanzati e ai processori a basso consumo energetico e 1 miliardo di euro dedicato esclusivamente ai chip quantistici. Verrà inoltre creata un’infrastruttura di progettazione su larga scala per le tecnologie integrate dei semiconduttori, con l’elaborazione di una piattaforma virtuale per la condivisione di nuovi modelli e progetti, accessibile anche alle PMI e alle organizzazioni di ricerca, nonché di linee pilota per testare i nuovi prototipi. Ancora, la creazione di “centri di competenza europei” favorirà l’accesso alla formazione post-laurea e l’utilizzo di tecnologie innovative.

Dal lato della capacità produttiva, l’UE prevede di mobilitare circa 11 miliardi di euro di risorse proprie entro il 2030. A questi si dovrebbero aggiungere i contributi degli Stati membri, della Banca europea per gli investimenti e del settore privato, per un investimento totale pari a circa 43 miliardi di euro. Di questi, oltre 2 miliardi saranno destinati, attraverso il programma InvestEU, a start-up e PMI innovative attive.

Specifiche regole per gli aiuti di Stato alla microelettronica

In aggiunta all’intervento “diretto” dell’Unione, il Chips Act individua specifiche regole per gli aiuti di Stato alla microelettronica per consentire agli Stati membri di investire più facilmente nel settore. Si conferma pertanto la tendenza dell’ordinamento dell’Unione di utilizzare in modo complementare i (limitati) fondi UE e i (relativamente più capienti) bilanci nazionali per perseguire finalità economico-industriali, il che consente un intervento certamente più incisivo, ma, d’altro canto, trasforma gli aiuti di Stato in uno strumento non più di politica della concorrenza ma di pianificazione industriale.

I finanziamenti pubblici agli impianti di produzione, ove non rientranti nelle esenzioni già previste dalle linee guida vigenti, saranno valutati caso per caso dalla Commissione, nell’ambito dell’art. 107, paragrafo 3, lettera c), del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, quali aiuti destinati a promuovere specifiche attività economiche.

Cosa dovranno fare gli impianti beneficiari dell’aiuto

A tal fine, gli impianti beneficiari dell’aiuto dovranno: (i) essere “primi nel loro genere” nell’UE, contribuendo all’avanzamento tecnologico del settore; (ii) generare un impatto positivo sulla catena del valore in termini di sicurezza dell’approvvigionamento e aumento della forza lavoro qualificata; (iii) contribuire alla produzione della prossima generazione di chip e limitare l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico entro i confini europei.

Gli stabilimenti produttivi che soddisfano tali requisiti potranno essere qualificati alternativamente come “fonderie aperte UE” o come “impianti di produzione integrati”, a seconda che producano componenti per terzi o ad uso interno. Tali qualifiche daranno accesso a procedure autorizzative più rapide, ad esempio alle precitate linee pilota, e gli investimenti in tali impianti saranno automaticamente qualificati come di interesse pubblico.

Il Chips Act rappresenta, dunque, un passo fondamentale per il rafforzamento della capacità industriale europea, che affianca le iniziative dei singoli Stati membri, quale l’Importante Progetto di Interesse Comune Europeo sulla microelettronica (“IPCEI”), lanciato nel giugno 2023, da Italia, Francia, Germania, Austria e Regno Unito (circa 2 miliardi di euro di finanziamenti pubblici per progetti transnazionali nella microelettronica avanzata).

Il ruolo dell’Italia nel panorama europeo dei semiconduttori

Gli Stati UE si sono mossi da tempo, anche in competizione tra loro, per rilanciare gli investimenti nel settore. La Germania sembra così avviarsi a diventare il centro dell’ecosistema UE della microelettronica, dopo essersi assicurata la costruzione sul proprio territorio di nuovi impianti di TSMC, Infineon e Intel. La domanda europea di chip è infatti in gran parte legata all’industria automotive e lo Stato tedesco, forte anche delle maggiori disponibilità finanziarie e della disponibilità di manodopera specializzata, si presenta come il candidato di punta per la costruzione delle nuove gigafactory.

In ogni caso, l’Italia si mostra attenta a cogliere le opportunità offerte dal Chips Act. Già nel 2022, a seguito di colloqui con le maggiori società del settore, il Governo Draghi aveva stanziato con il c.d. Decreto Caro-Bollette (D.L. 1 marzo 2022, n. 17, conv. con L. 27 aprile 2022, n. 34), oltre ai fondi del già menzionato IPCEI sulla microelettronica e alle risorse del PNNR dedicate ai chip, quasi 4 miliardi di euro fino al 2030 per un fondo per la ricerca sui microprocessorie le nuove applicazioni industriali, con l’obiettivo di favorire l’apertura di nuovi impianti.

L’attuale governo prosegue in tale direzione. Il c.d. Decreto Asset (D.L. 10 agosto 2023 n. 104, conv. con Legge 9 ottobre 2023 n. 136) ha infatti istituito un credito d’imposta, pari a circa 700 milioni di euro fino al 2030, per attività ricerca e sviluppo nella microelettronica e ulteriori 30 milioni verranno stanziati dal MIUR nei prossimi 5 anni per lo sviluppo, inter alia, di una linea pilota italiana.

Conclusioni

L’Italia punta così a non restare eccessivamente indietro nella corsa ai semiconduttori. In questo senso, il primo obiettivo è rafforzare le importanti produzioni già presenti nel Paese. Si pensi, ad esempio, allo stabilimento della italo-francese STMicroelectronics a Catania, sviluppato in collaborazione con il CNR e l’Università di Catania, e ad Agrate, in Lombardia, quest’ultimo in collaborazione con  Tower Semiconductor; o ancora, all’espansione dell’impianto di Novara del colosso taiwanese GlobalWafers. In parallelo, proseguirebbero le interlocuzioni con una delle maggiori società internazionali per l’apertura di un impianto destinato al packaging, collaterale rispetto alle future gigafactory tedesche.

Note


[1] Regolamento (Ue) 2023/1781 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 settembre 2023 che istituisce un quadro di misure per rafforzare l’ecosistema europeo dei semiconduttori e che modifica il regolamento (UE) 2021/694, OJ L 229, 18.9.2023, p. 1–53.

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