Cosa c’entra ChatGPT con il mondo dei videogiochi? In realtà il legame non solo esiste a livello teorico ma persino pratico.
Come i videogiochi sfrutteranno ChatGPT
ChatGPT, per chi non avesse ancora contezza del servizio, è uno strumento di OpenAI, un vero e proprio chat bot con il quale interagire tramite scrittura. Dopo un periodo di forte popolarità all’inizio dell’anno ha poi subito una battuta d’arresto con il blocco in Italia da parte del garante della privacy. Intoppo che è stato comunque superato in tempi sorprendentemente stretti con l’adeguamento della privacy policy.
Stando alle compagnie di settore, ChatGPT sarà in grado di velocizzare lo sviluppo dei videogiochi in modo significativo, riducendo al tempo stesso i costi associati, con presunti vantaggi anche per i giocatori stessi.
Dal punto di vista dei costi è chiaro che un’IA generativa come ChatGPT può fungere da supporto per la scrittura di personaggi, abbattendo per esempio i tempi di normale produzione richiesti da uno scrittore umano. Non deve dunque sorprendere che questa tecnologia sia già attualmente in uso presso diverse aziende. Electronic Arts, per esempio, la sta sfruttando per la realizzazione di bozze per idee da implementare in serie come The Sims ma anche in titoli sportivi con uscita a cadenza annuale come Madden NFL.
IA e gaming, ChatGPT è solo la punta dell’iceberg
ChatGPT rappresenta la punta dell’iceberg, poiché molte altre aziende stanno lavorando alacremente alle proprie IA interne. Un po’ come il motore grafico proprietario, tramite il quale costruire i propri titoli, le intelligenze artificiali rappresentano il passo successivo per la generazione di contenuti. Ubisoft, conosciuta principalmente per serie come Assassin’s Creed e Far Cry, sta sviluppando l’IA chiamata Ghostwriter, che funge appunto da supporto per la creazione di bozze di discorsi tra i personaggi, riducendo nettamente il tempo richiesto dagli scrittori umani. Anche il colosso cinese NetEase è al lavoro su uno strumento che possa creare autonomamente dialoghi differenti per NPC all’interno della versione mobile del MMO a tema arti marziali Justice Online. In questo caso l’IA è allenata con l’uso di testi classici cinesi, per restituire un linguaggio storico affidabile e in linea con il contesto del videogioco.
Chiaramente si tratta di solo alcuni esempi, perlopiù legati all’aspetto testuale dei videogiochi. Questo, nonostante le IA siano già utilizzate anche in altri campi della creazione artistica. Si può dunque facilmente immaginare che ben presto il loro utilizzo attivo ed esteso a tutti gli aspetti della creazione di un videogioco saranno, entro alcuni limiti, automatizzati.
Come ogni innovazione tecnologica, anche le intelligenze artificiali produrranno un effetto domino su molti posti di lavoro e non bastano le rassicurazioni da parte di CEO e dirigenti delle software house. Se da un lato è vero che le IA necessitano comunque di input mirati per produrre un risultato e che poi questo debba essere comunque rivisto e modificato da chi di dovere, dall’altro resta il dubbio legato al passo successivo: quello che vedrà una riduzione significativa della forza lavoro poiché saranno richiesti sempre meno dipendenti.
Aumento della qualità del prodotto
In aggiunta, si parla tanto di velocizzazione dello sviluppo e riduzione dei costi ma raramente di aumento della qualità del prodotto. Al momento sia gli input sia i risultati necessitano di lavoro aggiuntivo ma è comunque ingenuo pensare che queste non miglioreranno significativamente nei prossimi anni. A conti fatti, le IA sono già qui e difficilmente avranno un ruolo marginale nello sviluppo di videogiochi, tuttavia, vale la pena interrogarsi sull’eticità della loro implementazione su larga scala.
I limiti dell’IA nei videogiochi
Il termine intelligenza artificiale, abbreviato spesso in IA o, stando alla pronuncia inglese AI, è sempre più comune nel discorso quotidiano. In Italia, però, si arriva sempre un po’ in differita rispetto al resto del mondo sul tema tecnologia e, se questo concetto è stato già ampiamente discusso oltreoceano, solo recentemente ha visto un’ampia diffusione nel nostro Paese.
Le potenzialità di un’intelligenza artificiale, applicate ai singoli settori della vita umana, sono enormi. Non c’è davvero bisogno di un grande esperto del settore per trarre questa conclusione: dall’arte alla scrittura, passando per le composizioni musicali, le IA sono a un passo dalla loro implementazione su larga scala. Se molti di questi settori si avviano verso un radicale sconvolgimento grazie all’introduzione delle intelligenze artificiali, lo stesso si può dire per il gaming. Una nicchia in cui, però, il termine stesso non è una vera e propria novità.
Chiaramente, l’intelligenza artificiale nei videogiochi, di natura non generativa, ha finora avuto dei limiti imposti dalla programmazione dei creatori dell’esperienza. Ogni personaggio non giocante (in gergo NPC), o nemico, può avere una sua intelligenza artificiale che gli permette di eseguire determinate azioni mentre il giocatore svolge le proprie. Input rudimentali, una routine programmata e così via.
La definizione odierna di intelligenza artificiale, però, è leggermente diversa poiché ingloba elementi del machine learning. La macchina può dunque apprendere pattern dai dati che vengono a essa dati in pasto. Tra gli esempi più immediati di intelligenze artificiali che sfruttano questo concetto, e che sono già accessibili al grande pubblico, abbiamo Midjourney e ChatGPT.
Risultati affascinanti
Tornando per un attimo a ChatGPT, alcuni ricercatori dell’ambito IA dell’Università di Stanford hanno utilizzato questo strumento per dar vita a una piccola simulazione in stile The Sims. Creando 25 entità generative, le hanno calate in un contesto cittadino chiamato Smallville, osservandone i comportamenti e le routine quotidiane. Lo scopo del progetto è quello di simulare il comportamento umano al fine di dimostrare il potenziale delle entità generative in applicazioni interattive e ambienti altamente coinvolgenti.
Questi personaggi che potremmo definire non giocanti hanno dato vita a comportamenti che potremmo definire del tutto umani, coadiuvati anche da personalità, lavori, routine e un set limitato di memorie fornite loro dagli sviluppatori. Molti hanno iniziato la propria giornata correndo, altri hanno preferito dormire più a lungo, alcuni hanno dato vita a feste e tutto ciò che potremmo definire completamente “umano”.
I ricercatori hanno poi sottoposto i risultati a un gruppo di 100 persone che dovevano dare un giudizio in merito. Senza troppe sorprese, il 75% di questi ha sostenuto che i comportamenti sembravano più umani di quelli degli stessi esseri umani.
Esperimenti meno riusciti
Per ogni esperimento di intelligenza artificiale riuscito, ce ne sono però altrettanti che non riescono a raggiungere l’esito sperato. Un chiaro esempio è il recente The Portopia Serial Murder Case, di Square Enix. Il gioco è propriamente titolato come “Square Enix AI Tech Preview”, ovvero anteprima di intelligenza artificiale di Square Enix.
Il gioco alla base del progetto è il vecchio The Portopia Serial Murder Case di Yuji Horii (creatore di serie di successo come Dragon Quest), risalente al 1983. All’epoca della sua uscita ricalcava un sistema di gioco molto popolare, ovvero quello delle avventure testuali (alcuni ricorderanno sicuramente Zork ma anche l’edugame Oregon Trail), dove il giocatore doveva inserire input specifici per procedere nell’avventura.
L’inserimento di questi input era legato a un linguaggio ben specifico, fattore che portava a lunghe sessioni di “trial and error”, spesso sfiancanti. Con questa tecnologia Square Enix vuole quindi dimostrare di poter applicare il “free text”, implementando una tecnologia basata su IA chaiamata NLP, acronimo che sta per Natural Language Processing.
Il concetto prevede l’inserimento di termini generici che l’IA riconoscerebbe come validi pur non essendo quelli originariamente programmati come tali. Premesse molto valide e interessanti che sono però naufragate quando i test da parte dei giocatori hanno evidenziato tutti i limiti di questa “tech preview”. L’intelligenza artificiale, in sostanza, non riesce a riconoscere input validi e calati nel contesto del gioco investigativo, facendo dunque sorgere spontanea la domanda sull’effettiva capacità di implementazione attiva all’interno di un videogioco.
Va comunque sottolineato ancora una volta che siamo comunque alle battute iniziali e le IA si evolveranno in modo significativo, probabilmente anche nel giro di pochissimi anni. Qualche inciampo lungo il cammino da parte delle compagnie del settore gaming è inevitabile. L’esempio di Square Enix è solo il più recente e lampante; tuttavia, vedremo senz’altro esperimenti più e meno riusciti.
Conclusioni
Non possiamo dunque che augurarci che le IA abbiano un impatto positivo sul gaming. Questo non solo dal punto di vista della riduzione dei tempi di sviluppo, divenuti ormai cicli lunghi ed estenuanti per i dipendenti delle grandi aziende, ma anche in termini qualitativi per i fruitori del medium. Magari, la prima IA davvero senziente potrebbe apparire proprio in un videogioco, aprendo scenari al tempo stesso fantastici quanto apocalittici.