Al museo nazionale del cinema di Torino, arrivati in cima alla lunga rampa che percorre i fianchi della Mole Antonelliana, da giugno si possono trovare due sale particolari. Nella prima, uno schermo proietta tre cortometraggi autoriali. Fino a qui, nulla di strano per un museo del cinema. Se non fosse che quei corti non sono affatto autoriali, bensì sono stati prodotti tramite Intelligenza Artificiale Generativa.
Anche la seconda stanza è particolare. Tramite un touch screen, è possibile creare la propria sceneggiatura, fornendo una serie di input a un’AI. Si può scegliere l’anno di ambientazione, il genere, nome e personalità dei personaggi, ma anche lo stile del regista da utilizzare. Al termine è possibile leggere quanto l’AI ha tirato fuori, e valutarne la qualità. Divertente, no?
Eppure, questo tipo d’inferenza dell’intelligenza artificiale nella cinematografia non è semplicemente un gioco interattivo da museo. Le AI iniziano a rivestire un ruolo sempre più importante nell’industria cinematografica, sia perché consente di automatizzare varie fasi della produzione di film, sia perché l’analisi dei dati da esse effettuata ha vasti vantaggi nelle decisioni che registi e produttori prendono.
L’intelligenza artificiale rappresenta sia un’opportunità importante in termini di ottimizzazione dei tempi e guadagno economico per i filmmaker e i distributori, ma anche una minaccia per coloro che materialmente fanno il film, ossia scrittori, doppiatori, attori, specialisti degli effetti speciali, e tanti altri.
Più veloce, più economico, meno umano
Pensando a come l’intelligenza artificiale possa intervenire nel processo cinematografico, è intuitivo rendersi conto che, come per scrittori e giornalisti, anche gli sceneggiatori siano una categoria “a rischio”. Un’AI sufficientemente avanzata può infatti generare un testo completo e utilizzabile, tagliando di moltissimo i tempi di lavoro, anche considerando eventuali revisioni e correzioni. Programmi sulla linea di Midjourney sono in grado di velocizzare lo storyboarding, ma rendono quasi inutili interventi di illustratori veri e propri. Similmente, l’AI è in grado di generare musica molto più rapidamente di un qualunque compositore, procurando in pochissimo tempo la colonna sonora più adatta alle esigenze. Questo, se da un lato riduce di molto i tempi e i costi, permettendo di produrre di più ad un costo inferiore, dall’altro rischia di spazzare via o quasi intere categorie lavorative.
Vi è anche un problema di diritto d’autore, generato dal potenziale utilizzo non autorizzato di volti e voci di attori e doppiatori. Grazie ai programmi che permettono la creazione di deepfake sempre più realistici, si potranno anche realizzare film con attori già deceduti. Wipo magazine riporta che a livello commerciale si stiano già utilizzando degli “attori deepfake,” sui quali viene montato poi il viso del cosiddetto “wrapper.” Il problema risiede nel fatto che dare l’autorizzazione per l’utilizzo delle proprie sembianze o la propria voce comporta il rischio che queste possano essere usate potenzialmente infinite volte, oppure che il “wrapper” perda la reputazione per comportamenti assunti dall’attore deepfake. D’altro canto, come afferma sempre Wipo, vi è il rischio di creare una “casta di attori deepfake” che non diverranno mai noti, perché i volti ad apparire nei film saranno sempre quelli di attori che sono già affermati.
Anche la post-produzione è coinvolta dal processo di automazione. L’esempio più scontato è quello di “The Irishman,” in cui Industrial Light and Magic è riuscita a ringiovanire in maniera perfettamente credibile gli attori guida. Ma oggi la CGI (computer-generated-imaginery) viene generata facilmente tramite intelligenza artificiale: è noto, ad esempio, l’utilizzo che ne viene fatto da produzioni Disney quali Marvel, Star Wars, o Pixar. Ciò che una volta si tentava di fare con il trucco, il costume, e le scenografie, oggi si fa con l’intelligenza artificiale molto più in fretta e, sul lungo periodo, anche con un risparmio economico.
E se decidesse tutto un computer?
Il modo forse più ovvio di utilizzo dell’analisi dei dati si trova nel fenomeno streaming. Se Netflix fu il pioniere, oggi quasi tutte le piattaforme più importanti sfruttano l’intelligenza artificiale per comprendere i gusti dei propri clienti-spettatori, e ottenere così di tenerli incollati allo schermo con proposte adeguate. Sempre più film invece di essere proiettati al cinema passano direttamente alle piattaforme di streaming, per cui il cinema beneficia già indirettamente di questo tipo di analisi. Tuttavia, l’analisi dei dati non è utile solo nella fase di distribuzione.
Tramite il machine learning e l’intelligenza artificiale si possono ottenere molte informazioni su quali caratteristiche di una storia la rendano vincente di fronte al pubblico. Ad esempio, StoryFit è un programma che svolge questo tipo di lavoro per aiutare nella scelta di sceneggiature o libri vincenti. StoryFit analizza i tratti caratteriali dei personaggi più amati, trova ed evidenzia eventuali buchi nelle trame: può persino analizzare l’impatto emotivo che un certo prodotto può aver avuto sul fruitore. Similmente, l’analisi dei dati può essere un’ottima risorsa per effettuare scelte migliori al momento del casting, ma in generale di moltissimi aspetti della produzione di un film. Inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe perfino predire il budget necessario alla produzione, calcolando a partire dagli attori, dalla troupe, i programmi e le tecnologie necessarie, costumi, affitto o permessi per girare in determinati luoghi, e quant’altro. Con l’AI si potrebbero anche individuare nuove nicchie di spettatori a cui proporre prodotti diversi. Questo tipo di analisi riduce le possibilità i film si rivelino dei flop, salvaguardando chi vi ha investito. Tuttavia, il pericolo è di ignorare completamente i progetti ad alto rischio, che non hanno mercati di riferimento, e di dare per scontato di avere in mano una formula perfetta per i film. Verrebbero dunque a mancare potenziali grandi opere che escono dagli schemi della cinematografia tradizionale, e che pertanto non sono tenute in considerazione da un algoritmo.
La “polizia” del diritto d’autore
L’intelligenza artificiale non è solo un rischio per il diritto d’autore, ma può avere anche un ruolo nella sua protezione, se correttamente utilizzata. Capita spesso di trovare su siti di vario tipo (talvolta anche YouTube) materiale caricato illecitamente, da cui gli autori non possono trarre profitto. La camera di commercio americana avrebbe rilevato che la pirateria informatica causerebbe una perdita di 30 miliardi di dollari l’anno, e questo solo negli Stati Uniti. Questi mancati guadagni riguardano non solo i produttori del film, ma anche le piattaforme di streaming, i distributori di dvd e blueray, gli attori e tutti coloro che continuano a guadagnare una percentuale dai diritti del prodotto cinematografico. Grazie a tecniche di machine learning e intelligenza artificiale, si può scannerizzare internet con molta più facilità, in modo da trovare server o account che ospitino contenuti illegali e agire di conseguenza.
Neanche in questo caso sono tutte rose e fiori: infatti, vi è il sincero rischio che utilizzi perfettamente legali di contenuti protetti siano colpiti dall’AI. È già successo con YouTube alcuni anni fa, dove molti content creators si sono visti i video demonetizzati o rimossi dal nuovo algoritmo, a dispetto del fatto che l’utilizzo da loro fatto di materiale autoriale rientrasse nella categoria informativa o di satira. YouTube aveva lasciato la possibilità di fare appello per ricaricare i video rimossi erroneamente, ma vista la farraginosità e la lentezza dell’operazione, la gran parte delle vittime ha semplicemente deciso di astenersi dal mostrare immagini prese altrove, anche se per motivazioni legittime.
Dov’è finita l’arte?
L’intelligenza artificiale ha senza dubbio trasformato il modo di fare cinema, aprendo molte porte e chiudendone altre. Da un lato, essa permette di tagliare moltissimo i costi, il che lascerebbe budget per più produzioni in uno stesso periodo. È utilissima anche per andare incontro alle esigenze degli spettatori, che sempre di più ricercano prodotti personalizzati e che rispecchino in pieno i loro gusti. In questo modo, l’industria cinematografica diventa molto più efficiente sia nel risparmiare che nel monetizzare i suoi prodotti.
L’efficienza comporta sì un risparmio e un guadagno maggiore per coloro che in quel film hanno investito, ma migliaia di altri lavoratori nel settore, di coloro che dietro le quinte fanno il film, stanno già vedendo la propria carriera svanire.
Lev Manovich afferma che l’intelligenza artificiale culturale sia diventata un meccanismo in grado di influenzare le immaginazioni di tutti. Le home page personalizzate di Netflix o le altre piattaforme di streaming, portano tutti a guardare un range ristretto di prodotti. I registi, gli sceneggiatori, rischiano di non lavorare più per creare un’opera che rappresenti qualcosa, che abbia un significato – o che non lo abbia volontariamente -, ma per creare un prodotto che sia guardato. La visione, che è lo scopo del cinema, diventa visione di massa, visione per soldi, più che visione per “il bello.” Se il cinema alla fine è arte-industria, e quindi inestricabilmente legato a una volontà di guadagno, questa svolta di automazione rischia di spostare del tutto l’ago della bilancia, e non a favore dell’arte.
Conclusioni
Ad oggi, i film si fanno sempre di più con la cooperazione della macchina: forse, in futuro, saremo noi a cooperare con le indicazioni della macchina, a danzarci attorno, lasciando a lei, nei fatti, il dominio sulla creatività, per offrirci un’arte che sia tagliata appositamente per noi, e che ci coccoli nei nostri gusti. D’altronde, chi era quell’ingenuo ad aver detto che l’arte debba confortare il disturbato e disturbare il comodo?
Sitografia
https://www.theguardian.com/film/2023/mar/23/ai-change-hollywood-film-industry-concern
https://www.wipo.int/wipo_magazine/en/2022/02/article_0003.html
Hallur et Al. Entertainment in Era of AI, Big Data & IoT
Elliot, A. The Routledge Social Science Handbook of AI