Mancano i chip e il mondo si sta praticamente fermando. La digitalizzazione ha integrato questi circuiti ovunque: alcuni sono più complessi, altri più semplici, ma si trovano praticamente in tutti i dispositivi che usiamo quotidianamente, dal cellulare all’auto, a qualsiasi piccolo elettrodomestico.
Semiconduttori, Usa e Ue a confronto: scenari e frizioni di un Risiko sempre più complesso
Alcune delle più grandi aziende di tecnologia hanno deciso di rispondere alla carenza di chip progettando internamente i loro circuiti integrati. È in atto – come definito da alcuni analisti – un vero e proprio chipageddon che implicherà cambi di paradigma per “rivedere” le supply chain che hanno subito interruzioni gravi a fronte dello “scarseggiare” di questi componenti.
La risposta dei Paesi
Negli ultimi anni le fonderie di produzione di chip sono state concentrate principalmente a Taiwan, Corea del Sud e Giappone ma ora le aziende stanno cercando di espandersi al di fuori di questi paesi.
In particolare: la Cina sta investendo molto nella capacità di fabbricazione dei chip; la UE sta fornendo “incentivi” per la produzione nella zona euro; gli USA hanno compiuto notevoli sforzi per investire nelle fonderie di semiconduttori, attuando partnership con Intel e altre aziende per costruire fonderie locali. Inoltre, Giappone ed India stanno attuando politiche governative di investimento mirate alla produzione di chip, mentre il Regno Unito cerca di difendere le proprie aziende strategiche del settore da acquisizioni straniere. Ma proviamo a capire meglio lo scenario che si prospetta.
La risposta delle aziende che usano i chip
La gravità della carenza di chip ha esacerbato ulteriormente i colli di bottiglia della catena di approvvigionamento già esistenti prima della pandemia ed ha evidenziato come siano necessari investimenti cospicui per la creazione di un impianto di produzione di chip. Inoltre, i test di affidabilità, la verifica e la qualificazione dei chip – in particolare per il settore automobilistico – possono richiedere molto tempo, influenzando i tassi di utilizzo a breve e lungo termine degli impianti di produzione, senza dimenticare il fatto che sia i processi front-end sia quelli back-end devono essere sincronizzati in modo ottimale per sviluppare prodotti competitivi e di alta qualità.
La domanda cruciale da porsi è cosa stanno facendo le aziende per ovviare alla supply chain disruption dei chip, e con quali tempistiche, al fine di ritornare ad un’economia “resiliente”.
Alcune aziende tecnologiche hanno iniziato a adeguare le proprie esigenze specifiche per i chip e precisamente:
- Apple ora farà affidamento sul suo processore M1 per iMac e iPad anziché sui processori Intel.
- Tesla ha affermato che sta costruendo il proprio chip “Dojo” per aiutare a formare le reti di intelligenza artificiale nei data center.
- Baidu – società tecnologica cinese – ha lanciato un chip AI nell’agosto 2021, che contribuirà ad aumentare la potenza di calcolo delle sue varie iniziative.
- Amazon e Google stanno intraprendendo iniziative per progettare CPU e chip di rete per i loro dispositivi e servizi.
Per la maggior parte di queste aziende, le decisioni di diventare indipendenti si sviluppano quasi esclusivamente in termini di design. Ovvero, le aziende Big Tech continueranno a fare affidamento su fonderie di produzione come TSMC e Samsung, anche se la progettazione interna dei chip consentirebbe di “specializzare” le proprie esigenze di progettazione e di ottimizzare le macchine per le loro funzioni specifiche.
Inoltre, secondo molti analisti, qualora la domanda di chip dovesse aumentare ancora, molto probabilmente le fonderie di chip cercheranno di costruire fabbriche diffuse nel mondo.
Nuovi paradigmi necessari
La scarsità di chip è un problema serio e non sembra attenuarsi; tuttavia, esisterebbero delle modalità per mitigare l’interruzione di questa supply chain così strategica per la nostra quotidianità. Ad esempio, qualcosa migliorerebbe se da un lato le multinazionali dell’informatica decidessero di rivedere le proprie strategie di gestione in termini di obsolescenza dei prodotti e, dall’altro lato, i governi dei vari Paesi attuassero politiche adeguate volte a riconquistare la sovranità tecnologica, sviluppando soluzioni e investendo nella produzione locale di semiconduttori e finanziando incentivi alla ricerca. Di fatto, si tratterebbe di rendere più longevi i computer e le periferiche ancora fisicamente funzionanti, riducendo la necessità di acquistarne di nuovi e permetterebbe di “dirottare” la produzione di chip verso quei settori che ne hanno più bisogno. Indubbiamente non è questa la panacea; tuttavia, sarebbe una scelta di responsabilità non solo verso l’industria ma soprattutto verso le persone che non sarebbero costrette a subire l’obsolescenza dei vari articoli tecnologici.
Sempre in quest’ottica, per ovviare al monopolio di TSMC di Taiwan e di Samsung della Corea del Sud, insieme ai produttori in Giappone e Cina, molte aziende stanno “ripensando” le strutture della supply chain dei chip e, al contempo, diversi Paesi stanno ponendo maggiore attenzione alla propria “autosufficienza” ed ora desiderano aumentare la propria capacità di produzione interna.
L’approccio Usa
L’amministrazione Biden ha introdotto l’Innovation and Competition Act e intende spendere 52 miliardi di dollari per il settore dei semiconduttori. Inoltre, è stato presentato un piano infrastrutturale del valore di 50 miliardi di dollari per l’industria americana dei chip. Di fatto, tale importo dovrebbe essere destinato agli incentivi alla produzione, alla ricerca e alla progettazione, inclusa la creazione di un Centro tecnologico nazionale per i chip.
Il piano europeo
La Commissione Europea ha recentemente annunciato un nuovo piano per un “ecosistema” di produzione di chip in modo tale da garantire la propria competitività e autosufficienza. Ovvero, un “European Chips Act” che accelererebbe lo sviluppo di chip avanzati in tutta la regione dell’UE. La legge propone, inoltre, di disporre di una strategia di ricerca sui chip e di riunire gli sforzi di produzione a livello europeo, insieme a un quadro per la cooperazione e il partenariato internazionali. Con tale iniziativa l’UE si prefigge di produrre almeno il 20% dei chip mondiali entro il 2030 rispetto al 10% dello scorso anno.
La strategia del Regno Unito
Aziende britanniche come Newport Wafer Fab e Graphcore ricoprono un ruolo importante nel settore dei chip. Il Regno Unito, per far fronte alla carenza e mitigare i rischi futuri, dovrà sfruttare al meglio la sua esperienza e competenza nella progettazione e applicarla alla produzione, oltre a sostenere la diversificazione della catena di approvvigionamento, soprattutto considerando gli scenari post-Brexit e post-pandemia.
La Corea del Sud rilancia
È attualmente il secondo produttore di chip per computer dopo Taiwan e a maggio di quest’anno ha annunciato di voler spendere nel prossimo decennio circa 451 miliardi di dollari per la produzione nazionale di chip. Samsung Electronics e SK Hynix, unitamente ad altre 151 società saranno gli attori principali di tale investimento governativo.
Taiwan rafforza gli investimenti
Vanta alcune delle fonderie di chip più grandi e avanzate al mondo e sta anche lavorando attivamente per risolvere la crisi di questi componenti. La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che è il più grande produttore di microchip a contratto al mondo, ad esempio, investirà probabilmente circa 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni per soddisfare la crescente domanda di chip. Oltre i confini, TSMC prevede di espandere la sua fonderia di chip in Arizona, negli Stati Uniti.
Giappone e India
È stato avviato un progetto congiunto tra TSMC e circa 20 aziende giapponesi produttrici di chip per creare una fabbrica entro il 2023.
Il governo indiano sta attuando politiche per convertire il paese in un hub di produzione globale guidato dall’innovazione per telefoni cellulari, hardware IT, automotive, elettronica industriale e medica, IoT e altri dispositivi. Inoltre, ha sollecitato le aziende a presentare richieste formali per la creazione di impianti di semiconduttori nel paese. Il governo ha anche presentato un programma per la promozione dell’ecosistema manifatturiero per compensare le carenze del settore e dei semiconduttori in India e per rafforzare la sua posizione sul mercato.
Come garantire la resilienza della supply chain
Un’interruzione della supply chain – come accaduto per i chip e che ha prodotto implicazioni così ampie – dovrebbe costituire una lesson learned per prepararsi a eventi dirompenti futuri.
Lo scenario contingente ha dimostrato che i responsabili della supply chain che svolgono una migliore attività di market intelligence sono in grado di fornire una visione più completa e olistica delle linee di produzione e che non è più sufficiente analizzare i fornitori di primo o secondo livello.
I Supply Manager devono essere in grado di monitorare sia i fornitori al 3°, 4° e 5° livello sia i loro concorrenti per prevedere meglio quando potrebbero verificarsi delle carenze. È tempo di cambiare approccio, di adottare nuovi paradigmi e di accelerare, altresì, il processo di digitalizzazione e innovazione per supportare meglio la gestione della supply chain.
Pertanto, le organizzazioni per affrontare con successo il contingente scenario erratico della Supply Chain dovranno:
- Identificare fornitori alternativi.
- Essere agili e adattabili aumentando o diminuendo di conseguenza le scorte o le eccedenze nel caso in cui i fornitori non siano in grado di soddisfare le richieste.
- Sfruttare i dati disponibili e gestirli in modo più strutturato e dinamico utilizzando applicazioni di supply management, basate su algoritmi in grado di analizzare – in tempo reale – i principali attori della supply chain.
Conclusioni
I chip sono la linfa vitale della società moderna e anche prima della pandemia la domanda superava l’offerta. L’economista di TS Lombard, Rory Green, ha definito i semiconduttori “il nuovo petrolio”, soprattutto considerando che la nostra vita si basa sempre più sulla tecnologia.
Forrester Research, una società di consulenza globale, prevede che la domanda di chip rimarrà elevata mentre le forniture di componenti continueranno a essere limitate per tutto il 2023.
Stiamo passando da un’epoca segnata da un’enfasi sui costi di approvvigionamento a un’era segnata da un’enfasi sulla resilienza e, in quest’ottica, la gestione della supply chain e l’adozione della digitalizzazione non sono mai state così importanti.
Le organizzazioni con processi di gestione del rischio calibrati della Supply Chain e della Logistica saranno maggiormente pronte a identificare l’impatto di eventi dirompenti e valutare il modo migliore per rispondere in circostanze difficili progettando piani di continuità operativa (BCP) ad hoc.
I manager di Business Continuity, Risk Management e Cyber Security svolgeranno un ruolo strategico nel supportare i professionisti della Supply Chain e della Logistica. Inoltre, un approccio olistico, grazie alla mappatura della Supply Chain e della Logistica, permetterà di accedere alle informazioni necessarie e strategiche per costruire solidi programmi di qualità, compliance, sostenibilità e responsabilità sociale d’impresa del fornitore e dell’operatore logistico, con il risultato di individuare e anticipare, quindi, le vulnerabilità della Supply Chain e della Logistica.
Non possiamo più aspettare l’imprevisto, dobbiamo anticiparlo, considerando che ci troviamo a rapportarci con la cosiddetta “imprevedibile” certezza del rischio.