norme su diritto d’autore

Copyright delle opere create con l’AI: Ue, Usa e Cina a confronto



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La protezione degli output AI tramite diritto d’autore varia globalmente. USA e Cina hanno approcci divergenti sull’intervento umano necessario, mentre l’Europa manca di chiarezza normativa. Le regole di trasparenza giocano un ruolo cruciale

Pubblicato il 18 apr 2025

Simona Lavagnini

avvocato, partner LGV Avvocati



ai vs copyright uk (1)

Esiste ormai un consenso piuttosto generalizzato circa la non proteggibilità tramite il diritto d’autore degli output generati in modo automatico dall’AI. Molto minore consenso esiste circa la sorte degli output realizzati tramite qualche forma di intervento umano. Non è infatti chiaro quale sia l’intervento umano riconoscibile e sufficientemente creativo che possa far acquisire una tutela piena all’output in base alle norme in materia di diritto d’autore.

In questo senso è emblematico il contrasto fra la posizione assunta negli Stati Uniti e in Cina, con una serie di decisioni di cui le ultime risalgono al marzo 2025.

Per quanto riguarda la giurisdizione statunitense, la posizione è sostanzialmente espressa dall’ U.S. Copyright Office (infra USCO), secondo il quale (i) gli output generati automaticamente dall’AI non possono essere tutelati dal diritto d’autore; (ii) anche quando vi sia un intervento umano, l’output realizzato potrebbe non essere proteggibile, in tutto o in parte, a seconda dell’interazione fra AI ed essere umano.

Questa posizione non è variata dopo la decisione della United Court of Appeals for the District of Columbia Circuit resa il 18 marzo 2025 nel caso Thaler v. Permuttler, in cui la corte ha confermato che gli output generati automaticamente dall’AI non sono tutelabili dal copyright.

I giudici non sono tuttavia volutamente entrati nel merito della qualificazione delle opere realizzate dall’AI con qualche forma di intervento umano, e – quindi – non hanno neppure analizzato le condizioni alle quali questo intervento potrebbe eventualmente risultare creativo e attirare la protezione di diritto d’autore. Resta quindi al momento valida la posizione espressa dall’USCO nelle proprie “Copyright Office Guidance”, in base alle quali la semplice iterazione fra essere umano e AI, articolata nella fornitura di prompt successivi, non è sufficiente per il riconoscimento del diritto d’autore.

Secondo l’USCO infatti “sulla base della comprensione dell’Ufficio delle tecnologie di intelligenza artificiale generativa attualmente disponibili, gli utenti non esercitano il controllo creativo definitivo su come tali sistemi interpretano i prompt e generano materiale. Invece, questi prompt funzionano più come istruzioni per un artista incaricato: identificano ciò che il suggeritore desidera che venga raffigurato, ma la macchina determina come tali istruzioni vengono implementate nel suo output. Ad esempio, se un utente ordina a una tecnologia di generazione di testo di “scrivere una poesia sulla legge sul copyright nello stile di William Shakespeare”, può aspettarsi che il sistema generi un testo riconoscibile come una poesia, menzioni il copyright e assomigli allo stile di Shakespeare. Ma la tecnologia deciderà lo schema di rima, le parole in ogni riga e la struttura del testo. Quando una tecnologia di intelligenza artificiale determina gli elementi espressivi del suo output, il materiale generato non è il prodotto di un autore umano. Di conseguenza, tale materiale non è protetto da copyright e deve essere escluso in una domanda di registrazione”.

Per conseguenza, nel noto caso Zarya of the Dawn (Registration # VAu001480196), che concerneva un testo letterario corredato da immagini, l’USCO ha rigettato la richiesta di protezione delle immagini, che erano state realizzate dall’autrice tramite Midjourney. L’USCO ha infatti ritenuto che le immagini create con un software di intelligenza artificiale generano un risultato inaspettato e non prevedibile per chi lo usa. In altre parole, l’uso di Midjourney non può essere paragonato, ad esempio, a quello del programma software Illustrator, dato che il primo genera un’illustrazione che non può essere prevista dal suo autore, a differenza del secondo che, invece, è un mero strumento di disegno, una sorta di tela e di pennelli digitali, che, quindi, rendono sullo schermo ciò che il loro autore sta effettivamente prospettando di realizzare nella sua mente.

Nel successivo caso Shupe l’USCO ha affrontato la questione della proteggibilità tramite il diritto d’autore di un testo letterario che l’autrice aveva generato tramite ChatGPT, successivamente svolgendo operazioni di editing e di correzione del wording. L’USCO non ha negato del tutto la protezione del diritto d’autore, ma ha ritenuto che Shupe non potesse essere considerata autrice di un’opera letteraria, quanto – piuttosto – di un’opera compilativa, realizzata per via della “selezione, coordinamento e disposizione del testo generato dall’intelligenza artificiale”. Ciò significa che nessuno potrebbe copiare il testo della Shupe inquanto tale senza permesso, ma le frasi e i paragrafi veri e propri potrebbero teoricamente essere riorganizzati e ripubblicati in un testo diverso.

Le corti in Cina hanno per ora assunto una posizione molto diversa, secondo quanto emerge dai due casi noti in materia, rispettivamente del 2023 [Li v. Liu – Re: Spring Breeze Has Brought Tenderness (case number (2023) Jing 0491 Min Chu No. 11279)] e  del 2024/2025 (Lin Chen v. Changshu Qin Hong Real Estate Development Co., Ltd. and Hangzhou Gauss Air Film Technology Co., Ltd.).

Nel caso Li v. Liu l’attore aveva realizzato diverse immagini attraverso prompt successivi immessi su Stable Diffusion. Tra queste vi era una immagine intitolata “La brezza primaverile ha portato tenerezza”, consistente nell’immagine di una donna in primo piano, illuminata dal tramonto. L’attore aveva successivamente pubblicato le immagini su di una piattaforma social media cinese. Il convenuto aveva scaricato “La brezza primaverile ha portato tenerezza”, rimosso la filigrana di protezione e caricato una copia (senza filigrana) su di una piattaforma USC cinese. La corte cinese ha ritenuto che l’immagine di Li fosse tutelabile dal diritto d’autore, e violata da Liu. Secondo la corte l’interazione con il sistema di AI prevede che l’essere umano progetti e perfezioni in modo indipendente gli elementi visivi e la composizione attraverso diversi cicli di prompt e regolazioni dei parametri, in questo modo esprimendo una scelta artistica personale. Ulteriormente, la corte ha affermato che un modello di IA non può essere di per sé un autore titolare di diritti, perché non partecipa in modo cosciente alla creazione dell’immagine. Essa è unicamente uno strumento. Inoltre, la corte ha valorizzato anche il contenuto della licenza d’uso del sistema di AI, la quale chiariva espressamente che il modello di AI non rivendica né conserva alcun diritto sul contenuto dell’output.

Nel secondo caso, Lin Chen v. Changshu e. L’immagine raffigurava una struttura a forma di cuore mezzo aperto che galleggiava sull’acqua davanti a un paesaggio urbano, in cui l’altra metà del cuore veniva “completata” dal suo riflesso nell’acqua. L’attore aveva poi pubblicato l’immagine sui social media, ottenendone anche la registrazione di diritto d’autore per l’immagine da parte della competente autorità cinese. Una società di modellini gonfiabili e una società immobiliare avevano pubblicato immagini sostanzialmente simili a quella di Lin Chen sui loro account, ed avevano anche creato una installazione 3D, basata sull’immagine, e collocata in uno dei progetti realizzati dalla società immobiliare. La corte cinese ha – anche in questo caso – esaminato il processo iterativo attraverso il quale gli utenti di Midjourney possono modificare il testo del prompt e altri dettagli delle immagini di output, ritenendoli creativi in quanto i vari passaggi riflettono le scelte espressive personali dell’autore. Tuttavia, la corte ha ritenuto che il diritto di cui Lin Chen godeva fosse limitato all’immagine 2D, come registrata nel certificato di diritto d’autore; la costruzione dell’installazione fisica 3D da parte delle controparti non costituiva invece una violazione dei diritti di Lin Chen, in quanto essa si basava semplicemente sulla medesima idea, peraltro utilizzata in molte opere precedenti.

Copyright AI in Europa e Italia: un quadro ancora incerto

E in questo contesto quale possiamo ritenere sia la posizione europea?

La questione della proteggibilità dell’output realizzato tramite intervento umano e delle relative condizioni non è al momento risolta da alcuna normativa, incluso l’AI Act, e dipenderà quindi dalla posizione assunta dalle varie corti nazionali. Per quanto concerne l’Italia, allo stato esiste un unico precedente, Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 09/01/2023) 16-01-2023, n. 1107, che ha condannato RAI per l’utilizzo non autorizzato dell’immagine di un fiore creato tramite algoritmi matematici (v. sotto l’immagine del fiore).

Nella decisione la Corte affronta l’argomentazione avanzata da RAI, secondo cui l’immagine non fosse proteggibile in quanto realizzata da un software, che ne aveva determinato forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici. Secondo la tesi di RAI, la pretesa autrice dell’immagine non avrebbe svolto alcun ruolo creativo, ma si sarebbe limitata a scegliere l’algoritmo da applicare, per poi semplicemente approvare a posteriori il risultato generato dal computer.

La Cassazione non è entrata nel merito della difesa specifica di RAI, ritenendola inammissibile in quanto tardiva. Tuttavia, la Corte di Cassazione, per via di un cd. “obiter dictum”, ha affermato che l’esclusione della tutela del diritto d’autore non può essere unicamente basata sulla circostanza che un soggetto abbia utilizzato un software per generare un’opera. Tale circostanza è infatti compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività sufficiente. Piuttosto, si tratta di esaminare con maggior rigore se tale tasso di creatività sufficiente ricorra – o meno – nel caso concreto.

Il ruolo delle regole di trasparenza per la protezione degli output AI

Resta da chiarire in questo contesto il ruolo delle regole in materia di trasparenza. Se infatti non vi sono regole chiare, non sarà possibile in concreto distinguere l’output generato automaticamente dall’IA rispettivamente da (a) l’opera dell’ingegno integralmente creata dall’autore persona fisica e (b) l’opera dell’ingegno creata dall’autore persona fisica con l’ausilio dell’IA. In questo contesto, ed in assenza di sistemi adeguati per identificare tecnicamente i contenuti generati dall’AI, basterà che un soggetto non dichiari l’intervento dell’AI perché la protezione da parte del diritto d’autore venga riconosciuta. Al contrario, dichiarare che l’opera è stata realizzata con l’intervento dell’AI genera potenzialmente molte questioni.

Resta anche da chiarire se vi sia e quale debba essere l’onere della prova a carico dell’autore (e reciprocamente di una sua eventuale controparte giudiziale), per quanto concerne la provenienza dell’opera quale umana anziché artificiale, e per quanto concerne il ruolo umano sufficientemente creativo.

Peraltro, le norme in materia di trasparenza esistono solo in alcune giurisdizioni, né il loro contenuti è sempre perspicuo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, sotto il vigore della precedente presidenza era stato emanato un Ordine esecutivo, che includeva alcune prescrizioni in materia di trasparenza, intendendo inter alia proteggere i consumatori da contenuti ingannevoli. L’Ordine è stato revocato dal nuovo presidente Trump, e al momento non esistono normative federali in materia, anche se la Federal Trade Commission ha avvertito che l’uso ingannevole dell’AI potrebbe violare le leggi esistenti sulla pubblicità ingannevole (soprattutto per quanto concerne i deep fake).

Confronto tra normative sulla trasparenza degli output AI

Viceversa, e qui vi è un’altra grande differenza fra Stati Uniti d’America e Cina, in quest’ultima giurisdizione è stato introdotto già dal 2023 un regolamento sui contenuti sintetici in base al quale tutti i contenuti generati dall’AI e offerti al pubblico devono essere contrassegnati come tali.

E in Europa? Le norme esistono ma non sono chiarissime. L’AI Act prevede infatti un obbligo di etichettatura degli output dell’AI che tuttavia non si applica ai fornitori di sistemi di AI se tali sistemi svolgono una funzione di assistenza per l’editing standard o non modificano in modo sostanziale i dati di input forniti dal deployer o la rispettiva semantica, o se autorizzati dalla legge ad accertare, prevenire, indagare o perseguire reati. Inoltre, l’obbligo in questione non si applica neppure ai deployer dei deepfake se l’uso è autorizzato dalla legge per accertare, prevenire, indagare o perseguire reati o se il contenuto generato dall’AI è stato sottoposto a un processo di revisione umana o di controllo editoriale e una persona fisica o giuridica detiene la responsabilità editoriale della pubblicazione del contenuto.

Le norme che precedono introducono un certo livello di opacità, potenzialmente connessa alla loro interpretazione e conseguente applicazione da parte dei vari soggetti interessati (fonritori e deployer). Questi potrebbero infatti dare diverse valutazioni del concetto di “revisione umana” e/o di “controllo editoriale”, ovvero anche di “assistenza all’editing standard” o di “modifica sostanziale del dati di input”.

Si potrebbero quindi generare esiti valutativi diversi e conseguentemente creare una zona grigia in cui potrebbe essere più complesso per il terzo sapere che l’opera non è frutto del solo ingegno umano, e svolgere le necessarie verifiche relativamente alla effettiva sussistenza dei parametri di proteggibilità (in concreto: la sussistenza di un intervento umano sufficiente a qualificare l’opera come non esclusivamente o prevalentemente creata dall’IA). Ciò anche in considerazione della circostanza che in futuro (se non già oggi) molti autori utilizzeranno di regola l’AI per generare le proprie opere dell’ingegno, così che il numero dei contenuti perlomeno parzialmente generati con l’ausilio dell’AI costituiranno la regola, e non l’eccezione. Di converso, per gli autori (o pretesi tali) potrebbe essere problematico dimostrare la sussistenza di una sufficiente creatività, e molto dipenderà se la posizione interpretativa accolta sarà quella secondo cui l’output dell’AI generato tramite prompt successivi (non banali) sia effettivamente proteggibile (come avviene in Cina) o se invece si riterrà necessario che l’autore svolga qualche ulteriore attività, per esempio modificando in l’output finale, aggiungendo il “tocco creativo” finale dell’autore (come avviene negli USA).

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