La recente riforma Ue del copyright (Direttiva 2019/790) è uno dei numerosi tentativi di regolare attraverso la “legge” lo sfuggente fenomeno internet e l’enorme potere delle grandi imprese tecnologiche.
Il pericolo è che la Direttiva 2019/790, non solo non riesca a risolvere i problemi che è chiamata a sciogliere ma provochi come effetto collaterale un deficit di pluralismo dell’informazione.
Esaminiamo quindi alcuni profili problematici relativi alla recente riforma, al dibattito seguito al suo solerte recepimento in Francia, alla legittimità della pronta reazione di Google e alla possibilità di qualificarla come abuso di posizione dominante.
Il lungo braccio di ferro fra la Ue e Google
L’esigenza di fissare nuove regole nasce con l’avvento delle nuove tecnologie, le quali consentono di riprodurre illimitatamente un’opera: la prima caratteristica che entra in crisi con il web è infatti proprio la materialità, seguita dall’intermediazione.
Inoltre, la proprietà intellettuale ha tecniche di protezione governate dal principio di territorialità. Internet, invece, dissolve il territorio, perché implica una utilizzazione ubiquitaria dei materiali inseriti in rete.
Nell’ottica della tutela del più grande mercato avanzato del mondo, la Ue sta tentando di porre un freno e regolare i nuovi, enormi poteri tecnologici.
Veniamo quindi all’acuirsi dello scontro fra Ue e Google, che rimane poco chiaro se non si considerano le numerose inchieste aperte dalla Commissione europea per violazione della legislazione antitrust. La tutela del diritto di autore – che in un primo momento potrebbe apparire in contrasto con le norme antitrust – in realtà, nel lungo periodo, non lo è, perché la protezione che riconosce può essere giustificata in termini di efficienza e di competitività globale del mercato.
Google è da quasi dieci anni sotto accusa per violazione della normativa antitrust. A giungo 2017, la Commissione europea ha inflitto all’azienda una sanzione di 2,42 miliardi di euro per abuso di posizione dominante per i servizi di comparazione e shopping di Google Shopping. A luglio 2018, la Commissione europea ha inflitto a Google una sanzione di 4,34 miliardi di euro per pratiche illegali con il sistema operativo Android. A marzo 2019, la Commissione europea ha inflitto a Google una sanzione da 1,49 miliardi di euro per la violazione della normativa antitrust e, in particolare, per abuso di posizione dominante con la piattaforma AdSense nel settore della pubblicità per motori di ricerca. Ad agosto 2019, la Commissione europea ha messo sotto la lente dell’antitrust il prodotto Google Jobs.
I punti più controversi della Direttiva 2019/790
La Direttiva 2019/790 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE n. 130 del 17 maggio 2019, dopo una lunga “gestazione” (la prima proposta di direttiva è stata bocciata nel 2018). In sintesi, le parti più controverse della nuova normativa UE riguardano:
- i diritti connessi di editori, giornalisti e autori nonché la conseguente remunerazione (v. art. 15). La Direttiva 2019/790 impone alle società tecnologiche (come Google) di pagare gli editori una remunerazione per mostrare estratti da “pubblicazioni di carattere giornalistico”, eccetto che si tratti di “utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico” (cfr. art. 15 comma 1 § 2). Uno dei principali obiettivi della riforma del copyright è tentare di obbligare le grandi imprese tecnologiche a condividere i propri ricavi con editori e giornalisti;
- la responsabilità di piattaforme come Google – definiti “prestatori di servizi della società dell’informazione” [cfr. art. 2 § 1 n. 6) Direttiva 2019/790][1] – per violazioni del copyright relative a materiali postati dagli utilizzatori. Precedentemente, gli utilizzatori erano responsabili e non già le piattaforme internet.
Il Considerando (58) della Direttiva UE 2019/790 afferma, fra l’altro, che “L’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione può consistere nell’utilizzo di intere pubblicazioni o di interi articoli, ma anche di parti di pubblicazioni di carattere giornalistico. Anche l’utilizzo di parti di pubblicazioni di carattere giornalistico ha acquisito una rilevanza economica. Al tempo stesso, l’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione non compromette necessariamente gli investimenti effettuati dagli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico nella produzione di contenuti. È pertanto opportuno prevedere che l’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico non rientri nell’ambito dei diritti previsti dalla presente direttiva”.
La Direttiva è entrata in vigore il 6 giugno 2019. Gli Stati membri dovranno mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa entro il 7 giugno 2021, dandone immediatamente comunicazione alla Commissione.
La Francia è il primo Stato membro a recepire la Direttiva.
La dichiarazione di guerra di Google agli editori francesi
Come era prevedibile, al primo recepimento della Direttiva 2019/790, Google ha dichiarato apertamente di non avere alcuna intenzione di pagare i diritti agli editori per la diffusione dei cosiddetti snippet dei loro articoli (sintetiche anteprime con titolo, foto e poche righe di sommario)[2]. In altri termini, il modo in cui le news verranno proposte nei risultati di ricerca (sia nelle pagine generali del motore che sugli aggregatori dedicati come Google News) si ridurrà al minimo indispensabile per rimanere entro i limiti di ciò che la legislazione Ue consente di ripubblicare senza incorrere nella violazione del diritto d’autore. Il cambiamento riguarda essenzialmente la Francia (ma non si può escludere una successiva estensione ad altri Paesi). La posizione ufficiale di Google è stata diffusa tramite un post del vicepresidente Richard Gingras, il quale sostiene di fare già tanto per il settore dell’informazione[3].
In Francia, la disputa fra Google e gli editori francesi ha per oggetto i diritti connessi (“droits voisins”) creati dalla legge francese di recepimento della direttiva europea sulla riforma del copyright, entrata in vigore il 24.10.2019[4]. In sostanza, Google ha approntato dei cambiamenti relativi al modo in cui i risultati di attualità appariranno in Francia sul motore di ricerca, decidendo unilateralmente di imporre le proprie condizioni agli editori francesi, consentendo la scelta fra la rinuncia ai propri diritti o essere relegati nella indicizzazione “minimale” scelta da Google di lasciare apparire solo i titoli degli articoli non protetti dai nuovi diritti connessi.
La posizione di rifiuto di Google apparentemente è legittima, perché la Direttiva 2019/790 prevede, fra l’altro, che i diritti connessi non si applicano all’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico (cfr. art. 15 paragrafo 1, quarto comma). Tuttavia, per valutare approfonditamente la legittimità del rifiuto opposto da Google è necessario considerare altresì quanto segue:
- il Considerando (58) della Direttiva 2019/790 prevede espressamente: “Tenuto conto della forte aggregazione e dell’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione, è importante che l’esclusione degli estratti molto brevi sia interpretata in modo da non pregiudicare l’efficacia dei diritti previsti dalla presente direttiva”;
- la posizione dominante di Google sul mercato digitale di riferimento;
- il carattere unilaterale del rifiuto di pagare i diritti connessi e l’eventuale giustificazione dello stesso (v. infra più approfonditamente).
La risposta di Google è stata accolta dagli editori francesi come una vera e propria dichiarazione di guerra (si parla di “choix mortifère” con riferimento alla rinuncia obbligata ai propri diritti), alla quale ha fatto seguito la presentazione dinanzi alla Autorité de la concurrence francese di un ricorso per abuso di posizione dominante contro Google.
La possibilità di qualificare il rifiuto di Google come abuso di posizione dominante
In effetti, il rifiuto opposto da Google di pagare i diritti agli editori francesi sarebbe meno risoluto se nel mercato europeo ci fosse più concorrenza nel mercato di riferimento. Infatti, Google LLC è una società multinazionale che offre un’ampia gamma di prodotti e servizi connessi a internet, i quali comprendono tecnologie per la pubblicità online, strumenti di ricerca, cloud computing, software e hardware. Google è interamente posseduta e controllata da Alphabet Inc. Nel 2018, Alphabet Inc. ha realizzato un fatturato di 136,8 miliardi di dollari, pari a circa 116 miliardi di euro.
In Ue, detenere una posizione dominante non è di per sé illegale ai sensi delle norme antitrust. Tuttavia, le imprese dominanti – come Google – hanno la particolare responsabilità di non abusare di tale potere limitando la concorrenza nel mercato in cui sono dominanti o in mercati distinti. In sintesi, la normativa antitrust UE mira a preservare il regime concorrenziale nel mercato interno, reprimendo pratiche anticoncorrenziali – cartelli, abuso di posizione dominante e concentrazioni – che pregiudicano il commercio fra gli Stati membri (artt. 101-109 TFUE). La Commissione europea vigila affinché siano applicati e rispettati i principi fissati negli artt. 101 e 102 TFUE. Per quanto di interesse, l’art. 102 TFUE vieta, fra l’altro, qualsiasi sfruttamento abusivo di una posizione dominante nel mercato interno, nella misura in cui possa essere pregiudizievole per il commercio fra Stati membri. La norma non definisce il concetto di abuso di posizione dominante. La prassi della Commissione europea e la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE hanno chiarito che la posizione dominante consiste in una situazione di potere economico grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva nei mercati rilevanti e di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti, ai suoi clienti e, in ultima analisi, ai consumatori.
Il mercato rilevante delimita, sotto il profilo merceologico e geografico, l’ambito nel quale si svolge la concorrenza tra le imprese. Nelle ipotesi di abuso di posizione dominante la definizione dei mercati rilevanti è funzionale alla valutazione del potere di mercato dell’impresa in posizione dominante e della portata anticoncorrenziale della condotta di quest’ultima.
A livello mondiale Google controlla circa il 75% delle ricerche online, seguita solo dalla cinese Baidu intorno al 9%, più o meno come Bing di Microsoft. In Europa, la quota di Google sale al 90%. Il mercato è inoltre caratterizzato da notevoli ostacoli all’accesso, tra cui gli ingenti investimenti iniziali e continui necessari per sviluppare e mantenere una tecnologia di ricerca. Google rappresenta, pertanto, un interlocutore di fatto irrinunciabile per tutti coloro che vogliano offrire i propri servizi agli utenti online.
La condotta di Google consistente nel rifiuto di pagare agli editori i diritti connessi previsti dalla legislazione UE (e dei singoli Stati membri) è suscettibile di restringere in maniera sostanziale la concorrenza, in quanto l’utilizzo del motore di ricerca appare necessario per poter competere in maniera effettiva nell’offerta ai clienti finali dei servizi; siffatta restrizione determina, in ultima analisi, un danno ai consumatori finali.
Conclusioni
I principi stabiliti dalla Direttiva 2019/790 sono di per sé ragionevoli ma la riforma non ha risolto la controversia fra Google e il modo dell’informazione.
Peraltro, la posizione assunta in Francia da Google era prevedibile anche in considerazione di quanto già accaduto in passato in Germania e in Spagna (dove Google News è stato chiuso nel 2014). Nel 2013, la Repubblica federale di Germania ha introdotto un diritto connesso al diritto di autore per gli editori della stampa (ai sensi degli artt. 87 f e 87 h del Urheberrechtsgesetz, ovvero la legge tedesca sul diritto di autore). Google si è rifiutata di pagare gli editori tedeschi, i quali hanno attivato un contenzioso contro la Società americana. Nel 2019, la Corte di Giustizia Ue ha deciso per l’inapplicabilità della regola tecnica nazionale (per difetto di previa notifica alla Commissione), dando sostanzialmente ragione a Google[5].
Dagli scenari del terzo millennio emerge dunque un nuovo ordine giuridico, irriconoscibile agli occhi del giurista[6]. Internet ha offuscato le tipiche nozioni di spazio e di tempo e con esse le vecchie categorie giuridiche appaiono strumenti inadeguati, in quanto modellati in un tempo passato in cui la fisicità sembrava garantire certezza del quadro giuridico. Annullando tempi e distanze, la new economy teoricamente mette tutti in condizione di competere sullo stesso mercato globale.
In effetti, però, l’accesso alle nuove tecnologie non è alla portata di tutti, perché richiede notevoli risorse finanziarie. In realtà, quindi, la new economy non accorcia le distanze esistenti fra le classi sociali ma, anzi ne accresce le disuguaglianze, mascherando le differenze.
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- Sulla Direttiva 2019/790 è già stato scritto molto. In questa sede, si ricordano i più recenti commenti, ai quali si rinvia per un esame più approfondito del testo normativo: A.A. Grilli, Direttiva copyright, impatto sul business dei contenuti: pro e contro, 22.10.2019 in www.agendadigitale.eu; G. Facchin, Regolare i big del web? Sì ma con una visione di lungo periodo, 6.9.2019 in www.agendadigitale.eu; F. Minio, Direttiva sul copyright e libertà di espressione, tanto rumore per nulla?, 5.6.2019 in www.agendadigitale.eu; G. Boschetti, Copyright, così la direttiva impatta sui diversi attori dell’economia digitale, 12.4.2019, in www.agendadigitale.eu; I. Genna, Copyright, tutti i modi della direttiva per il recepimento in Italia e gli impatti prevedibili, 1°.4.2019, in www.agendadigitale.eu; M. Petrucci-A. Polimeni, Copyright, verso nuovi equilibri tra gli attori economici di internet: le conseguenze, 29.3.2019, in www.agendadigitale.eu; G. Scorza, Direttiva copyright, Scorza: “Abbiamo perso tutti, ecco perché”, 26.3.2019 in www.agendadigitale.eu. ↑
- In tal senso, v. G. Scorza, Direttiva copyright, Scorza: “Abbiamo perso tutti, ecco perché”, 26.3.2019, in www.agendadigitale.eu; S. Cosimi, Il copyright in Europa, se di Google ce ne fosse almeno un altro, 29.9.2019, in www.wired.it. ↑
- Il post del 25.9.2019 di R. Gingras, Nouvelles régles de droit d’auteur en France: notre mise en conformité avec la loi, si può leggere, in francese e in inglese, al link che segue: https://france.googleblog.com. In poche parole, Google sostiene di aiutare e, in qualche modo, di “remunerare” già di fatto gli editori, offrendo loro dei servizi gratuiti: “Nous avons conçu Google de manière à assurer à chacun les mêmes conditions d’accès à l’information, ce qui suppose notamment d’aider l’internaute à trouver les contenus d’actualités les plus pertinents. Dans le secteur de la presse écrite, les éditeurs paient pour que leurs journaux, quotidiens ou magazines, soient proposés à une clientèle qui ne les connaît peut-être pas. Ce service, Google l’offre aux éditeurs gratuitement. Cette approche est créatrice d’une valeur tangible pour les éditeurs. Rien qu’en Europe, Google est à l’origine de plus de 8 milliards de visites par mois sur les sites des éditeurs de presse, ce qui représente plus de 3 000 visites chaque seconde. Les éditeurs peuvent ainsi attirer un nouveau public et augmenter leur chiffre d’affaires au moyen de la publicité et des abonnements. Le cabinet d’études Deloitte a estimé que chaque clic renvoyé par Google vers les grands éditeurs de presse représentait un potentiel de revenus supplémentaires compris entre 4 et 6 centimes d’euro. En plus d’orienter les internautes vers les sites d’information, qui en tirent un revenu supplémentaire, Google continue de contribuer à l’essor du journalisme en ligne. Nous cherchons constamment de nouveaux moyens de valoriser des contenus de haute qualité sur nos produits. Nous investissons 300 millions de dollars sur trois ans dans la Google News Initiative. Ce programme aide les éditeurs à développer de nouvelles sources de revenus et à explorer de nouvelles manières innovantes de présenter l’information. Cela englobe notamment des centaines de projets destinés à favoriser la vérification des informations, à mieux décrypter les médias et à délivrer près de 300 000 formations à des journalistes en Europe. Avec le développement d’internet, le comportement des consommateurs a changé. Nous sommes nombreux à nous connecter pour obtenir des informations et des services à partir de sites spécialisés et de places de marché en ligne. Le vaste choix d’informations sur internet induit une concurrence qui représente un véritable défi pour les éditeurs de presse, qui par conséquent doivent adapter leurs modèles économiques. Nous prenons très au sérieux notre collaboration actuelle avec les organes et éditeurs de presse, quelle que soit leur taille et quelle que soit leur ancienneté, pour les aider à s’adapter à l’ère du numérique. C’est en travaillant main dans la main que nous pourrons avancer.” ↑
- Si tratta della Loi n. 2019-775 du 24 juillet 2019 tendant à créer un droit voisin au profit des agences de presse et des éditeurs de presse, la quale ha modificato il Code de la propriété intellectuelle francese, introducendo, fra l’altro, un nuovo Chapitre VIII: Droits des éditeurs de presse et des agences de presse. ↑
- V. Corte di Giustizia UE, 12.9.2019, causa C-299/17, VG Media contro Google, in www.curia.europa.eu. ↑
- Cfr. I. Ferranti, Etica del diritto privato commerciale, in A. Palazzo – I. Ferranti, Etica del diritto privato, vol. II, Padova, 2002, p. 199 ss. ↑
- V. altresì la legge approvata in Australia il 2.4.2019 sull’onda emotiva dell’attacco terroristico di Christchurch e il white paper pubblicato dal Governo UK, su cui cit. G. Facchin, Regolare i big del web? Sì ma con una visione di lungo periodo, 6.9.2019 in www.agendadigitale.eu. ↑