Oltre 51 miliardi di investimenti venture capital nel mondo (nel 2021, fonte AgFunder). Dieci miliardi in Europa (nel 2021, fonte DigitalFoodLab). Oltre 156 milioni in Italia, tra venture capital e privati.
A seconda che si guardi il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, è un quadro che può apparire desolante o altamente stimolante per il nostro paese quello che emerge dal report “Investimenti nell’agrifood-tech in Italia 2022”, pubblicato dalla società di consulenza per l’agroalimentare TheFoodCons[1].
L’agrifood-tech decolla, ma non in Italia: cosa serve per il salto di qualità
I dati
Le startup e i relativi investimenti sono stati classificati in sei categorie (tra parentesi rispettivamente, totale investito e incidenza sul totale)
- Digital Food (64,99m – 41,6%)
- Agritech (60,79m – 38,9%)
- Restaurant-Tech (18,35m – 11,8%)
- Innovative Food (4,195m – 2,7%)
- Food retail (5,06m – 3,2%)
- Miscellaneous (2,77 – 1,8%)
È stata inoltre effettuata un’ulteriore categorizzazione in funzione dell’entità delle operazioni (tra parentesi rispettivamente, totale investito e incidenza sul totale)
- Series C (42m – 26,9%)
- Series B (29,8m – 19,1%)
- Series A (58,08m – 37,2%)
- Seed (10,9m – 7,0%)
- Pre-Seed (3,155m – 2,0%)
- Crowdfunding (12,2m – 7,8%)
I round
L’analisi dei singoli round arride indubbiamente al nostro paese. Nel 2022 si sono registrati infatti il più grande series A del settore a livello europeo (i 30 milioni di Planet Farms) e uno dei round più importanti di sempre nel campo dell’agricoltura digitale (il Series B di xFarm Technologies) che mostrano un’Italia decisamente attiva sul fronte dell’innovazione agricola. Belpaese che va forte anche nei nuovi modelli di consumo, come testimoniano i Round C di Everli (22 milioni) e Cortilia (20 milioni). 4 operazioni, su un totale di 54, le quali, a onor del vero, hanno concentrato oltre la metà (57%) del totale degli investimenti. Dietro di loro avanzano comunque a passo deciso startup come 3bee (5,25 milioni raccolti), Elaisian (800’000), Babaco Market (6,3 milioni) e Deliveristo (7 milioni).
Agroalimentare, l’innovazione in Italia sia fa sul processo, meno sul prodotto
È sempre oltremodo frustrante, per non dire alienante, dover porre due concetti in antitesi, ma abbiamo un comparto agroalimentare che da un lato si conferma sempre più forza trainante del paese, con 575 miliardi di valore, il 25% del Pil e 60 miliardi di export (fonte: Coldiretti), e dall’altro fatica a tenere il passo di altri paesi nel campo dell’innovazione. Qualche esempio? Germania, 2,7 miliardi investiti nel 2021, Regno Unito, 1,1 miliardi, Francia 860 milioni.
Anche se su scala ridotta, il report può darci delle indicazioni importanti sul cammino intrapreso dall’agrifood-tech italiano. La predominanza di investimenti nell’agritech e nel digital food, e la quasi totale assenza di grandi investimenti in proteine alternative, sono specchio di un’Italia decisamente più orientata ad innovare nei processi, più che nei prodotti. Le grandi aziende si stanno dimostrando sempre più interessate alla raccolta dati, sia di filiera che dei consumatori, più che al lancio di nuovi prodotti che seguano i trend globali, eccezion fatta per il salutistico. Un esempio su tutti potrebbe essere quello della carne vegetale. Ma c’è ovviamente un perché.
Divide et impera
“In Italia si mangia troppo bene”. Affermazione scontata, decisamente iperinflazionata, ma specchio del ritardo generale dell’Italia nell’agrifood-tech. La proverbiale diffidenza, oltre che l’ignoranza, del popolo italico è infatti nel cibo che trova forse la sua massima espressione. Basti pensare alla dialettica creatasi in questi giorni a proposito della polvere di insetti. O quella ormai nella carne coltivata, che può forse definirsi storica, allorché non ne sia stato ancora approvato il consumo in Europa. Una violenza verbale, a volte anche dall’area istituzionale, specchio di un approccio alla “Divide et Impera”, che forse stride col concetto stesso di modernità.
AAA…VC cercasi
Ma ridurre il gap nell’innovazione agroalimentare a mere questioni culturali e politiche sarebbe riduttivo allorché fuorviante. E in questo caso è difficile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto ma certamente il Belpaese in questo campo sconta una debolezza strutturale del proprio ecosistema di venture capital. Debolezza sia “orizzontale” con la carenza di fondi capaci di intervenire in fase seed, come evidenziato peraltro nell’analisi del report per entità dei round, sia “verticale”, data l’assenza di fondi tematici, e qui gli altri paesi sono decisamente avanti anni luce anche se già nei prossimi mesi, fortunatamente, sono attesa importanti novità.
Note
- L’iniziativa ha visto il supporto dell’associazione Agrifood-Tech Italia, delle startup xFarm Technologies, 3Bee e Elaisian, oltre che la collaborazione di altre tre società di consulenza: Forward Fooding, specializzata in foodtech, Over Ventures, specializzata in crowdfunding e Edible Planet Ventures, piattaforma olistica per l’innovazione in campo agroalimentare. ↑