l'analisi

Crisi dei chip: la centralità di Taiwan nel braccio di ferro Usa-Cina

Dato il ruolo che Taiwan gioca nella produzione di semiconduttori sul mercato globale non è un caso che l’isola sia al centro di una crisi internazionale tra Cina e Stati Uniti. Il conflitto militare potrebbe divenire l’unica opzione per assicurarsene l’approvvigionamento, ma le conseguenze sarebbero catastrofiche

Pubblicato il 15 Set 2022

Antonio Cisternino

Università di Pisa

chip stm

Dopo decenni di silenzioso servizio, i microchip sono sempre più sotto i riflettori: la domanda crescente e la crisi mondiale stanno contribuendo a ridefinire l’assetto mondiale della produzione di questi piccoli elementi centrali per sempre più settori industriali.

La loro carenza ha infatti colpito il settore della produzione auto, e continua a rallentare la produzione e quindi la consegna di molti altri manufatti. Basti pensare che dispositivi a basso costo come i Raspberry Pi Zero che da listino dovrebbero costare circa 30 euro si trovano online a oltre quattro volte il costo e sempre in quantità esigue. I distributori danno la disponibilità di questi piccoli computer a quasi un anno, e si tratta solo di un esempio.

Le reazioni a catena della crisi Ucraina

La crisi Ucraina ha avviato una serie di reazioni a catena che hanno mostrato come l’interconnessione globale possa creare effetti indiretti a fronte di una crisi: l’approvvigionamento alimentare e l’esplosione dei costi energetici dovuti al conflitto con la Russia hanno mostrato come sia sempre più difficile essere indipendenti non solo come nazione ma come interi continenti.

Dato il ruolo che Taiwan gioca nella produzione di semiconduttori sul mercato globale non è un caso che l’isola sia al centro di una crisi internazionale tra Cina e Stati Uniti. Se la posizione geografica dell’isola fosse sufficientemente distante dall’Europa per non destare preoccupazioni per un possibile conflitto bellico, gli effetti sul mercato dei chip mondiali sarebbero devastanti.

La crescente richiesta di chip dalle economie mondiali rende Taiwan un centro nevralgico e il vantaggio economico legato a una maggiore disponibilità un aspetto sufficientemente rilevante da alimentare il dialogo con gli Stati Uniti e di conseguenza le frizioni con la Cina che ritiene l’isola come parte del proprio territorio e quindi la politica sui settori industriali locali. La volontà di Taiwan di mantenere la propria indipendenza e delle compagnie locali di evitare di rimanere paralizzate da un eventuale conflitto ha spinto compagnie locali come TSMC e MediaTek ad aprire sedi produttive negli Stati Uniti e in Giappone e avviare ricerche congiunte sul design di microchip con università americane come la Purdue University.

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La centralità di Taiwan

La dipendenza di Pechino dei microchip taiwanesi non è solo motivo di interesse strategico, ma anche un deterrente per azioni militari nei confronti di Taiwan per evitare contraccolpi nel sistema produttivo nazionale. Il rafforzarsi delle relazioni con l’America può però sbilanciare le valutazioni, soprattutto se Pechino volesse evitare che le tecnologie fossero cedute agli Stati Uniti.

Per capire l’importanza strategica nel settore basti pensare che la Cina nel 2021 ha importato semiconduttori per 430 miliardi di dollari, più dell’import di petrolio, di cui il 36% proveniente da Taiwan. È quindi poco probabile che l’isola possa rendersi completamente indipendente da Pechino e qualora i toni dello scontro dovessero ulteriormente inasprirsi il conflitto militare potrebbe divenire l’unica opzione per assicurarsi l’approvvigionamento di questi piccoli pezzi di silicio da cui ormai dipendono tutti i settori industriali.

Per ragioni analoghe gli Stati Uniti stanno intensificando le relazioni e sostenendo anche economicamente  compagnie come TSMC, a patto di non espandere le proprie installazioni in territorio cinese. Il governo taiwanese si è anche dimostrato aperto a una potenziale alleanza a quattro per armonizzare le catene produttive di chip di America, Taiwan, Sud Corea, e Giappone.

Nell’attesa che gli effetti del Chips Act europeo e americano si facciano sentire c’è da aspettarsi che i problemi di approvvigionamento di chip continueranno a farsi sentire. I responsabili decisionali dovranno quindi provvedere a effettuare pianificazioni che tengano conto dei ritardi, di volumi ridotti nelle disponibilità e negli inevitabili ritardi nelle consegne. È notizia di questi giorni la decisione di stampare Tessere Sanitarie nazionali (CNS) senza chip a causa della difficoltà nel loro reperimento. Si tratta di un cambiamento con un impatto limitato se non in alcuni settori grazie alla disponibilità di SPID e CIE come meccanismi di identificazione digitale alternativi.

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Conclusioni

Non resta quindi che attendere gli sviluppi della crisi, essendo consapevoli che le notizie relativamente a visite di importanti esponenti del governo americano a Taiwan non sono solo legate alla necessità degli Stati Uniti di mantenere un’influenza sull’area ma anche alla necessità di sostenere un’economia mondiale basata sui semiconduttori. Sicuramente la crescita dell’inflazione unita alla scarsità nel mercato avrà impatto in settori come quello dell’IoT dove la convenienza è anche legata al basso costo dei microchip che rende possibile la loro installazione in grandi volumi. L’uso di tecnologie passive, come ad esempio i codici QR, per la realizzazione di ponti tra mondo reale e universo digitale potranno costituire una valida alternativa quantomeno fino a quando la situazione non si normalizzerà nuovamente.

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