politiche industriali

Crisi dei chip, le sfide dopo la guerra di Ucraina

La crisi ucraina ostacola l’esportazione di gas, come il neon, fondamentali per la catena dei chip. Diversificare è difficile e in generale è irrisolto il nodo dei numerosi colli di bottiglia. I chips act statali sono una risposta insufficiente e forse anche un boomerang

Pubblicato il 31 Mar 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

crimini di guerra russia ucraina

Il timore degli analisti è che l’aggressione della Russia contro l’Ucraina possa produrre, sulla catena dei chip, un effetto peggiore di quello determinatosi nel 2014 quando l’annessione della Crimea da parte del tiranno russo, provocò un aumento del prezzo del gas neon del 600%[1].

Ucraina e la crisi dei chip a causa del gas neon

Il gas è utilizzato, con altri gas nobili (ossia chimicamente stabili) come xenon e krypton, nella produzione dei chip e viene ricavato dalle acciaierie russe come prodotto congiunto per essere depurato e confezionato in Ucraina prima della vendita sul mercato mondiale. Dall’Ucraina gli Stati Uniti importano il 90% del neon, che per tre quarti è destinato alla produzione di semiconduttori[2]. I due maggiori produttori ucraini, Ingas (basata a Mariupol al centro attualmente dell’attacco russo) e Cryoin (basata ad Odessa, obiettivo di attacchi via mare e via terra da parte dell’aggressore Putin), hanno bloccato la produzione. Questo fermo farà mancare un contributo pari a circa la metà del consumo mondiale stimato a 540 tonnellate.

Chip e altre dipendenze strategiche dell’Ue: come possiamo affrancarci

Cryoin ha fermato la produzione per consentire ai dipendenti di mettersi in sicurezza, e, dopo la chiusura del 24 febbraio, non riesce a fornire i 13.000 metri cubi di produzione del mese di marzo e troverà difficoltà nell’approvvigionamento futuro delle materie prime, oltre a dover affrontare il possibile fermo degli impianti per danni o per rischi a cui sono esposti i dipendenti. Il krypton, di cui l’Ucraina fornisce il 40% dell’offerta mondiale, ha visto il prezzo salire di quasi 4 volte nel mese di gennaio del 2022. Secondo osservatori cinesi, da ottobre dell’anno scorso a fine febbraio il prezzo del neon (99,9% di purezza) aveva subito un aumento del 400% dei prezzi in yuan per metro cubo, prevalentemente per effetto della pandemia,[3].

Il ministro dell’economia di Taiwan, sede delle maggiori fabbriche di wafer del colosso mondiale TSMC, tranquillizza gli operatori garantendo che le imprese del paese hanno scorte di emergenza che assicurano la produzione nel breve termine. Ma, come alcuni osservatori temono osservando i contraddittori segnali della propaganda putiniana, il tiranno russo potrebbe avere intenzione o necessità di incancrenire la guerra, essendo stato contrastato molto efficacemente il suo tentativo di fare un rapido blitz militare con annesso altrettanto rapido colpo di stato.

Diversificare è necessario, ma come?

E’ possibile, allora, investire in fonti diverse di approvvigionamento? Secondo gli esperti, i tempi di realizzazione di impianti di produzione del neon sono compresi tra 9 mesi e due anni e quindi possono essere disponibili solo in tempi medi, sempre che vi siano rapide decisioni di investire da parte di nuovi operatori, nel caso che ritengano definitivo il blocco delle attuali produzioni.

La dichiarazione della associazione dell’industria dei semiconduttori (SIA), effettuata a caldo all’avvio della guerra da parte russa, era rassicurante: “La Russia non è un consumatore diretto di semiconduttori, poiché acquista solo lo 0,1% del totale mondiale…Inoltre l’industria dei semiconduttori ha diversi paesi che offrono consumi intermedi chiave come materie prime e gas, cosicché non crediamo che vi siano immediate interruzioni della catena dell’offerta connesse alla Russia e all’Ucraina[4]. La dichiarazione riflette la necessità di sostenere la linea politica dell’Amministrazione americana, ma il punto critico della dichiarazione è annidato nell’espressione “immediate interruzioni”, che è il punto di incertezza massima di tutte le analisi che abbiamo consultato.

Le conseguenze negative

A breve, sempre che le scorte dei grandi produttori siano effettivamente in grado di assicurare la produzione corrente, sicuramente i piccoli produttori incontreranno difficoltà da subito, sia per la scarsità, sia per l’aumento dei prezzi.

Semmai la dichiarazione della SIA getta luce su un altro aspetto che l’aggressione russa all’Ucraina sta rilevando: al di là della propaganda e delle file di mezzi ammassati nelle retrovie russe, l’esigua domanda di semiconduttori da parte di quel paese dimostra ancora una volta la sua arretratezza tecnologica e quindi le difficoltà che essa dovrà affrontare nel medio-lungo termine, anche qualora nel breve periodo potesse ampiamente attingere per far fronte alle sanzioni finanziarie alle colossali riserve accumulate con l’export degli idrocarburi.

Questa debolezza strategica è probabilmente il punto decisivo della tattica estorsiva putiniana: forzare la mano in un momento di confusione post-pandemico degli occidentali, prima che la stagnazione economica e tecnologica della Russia produca uno svantaggio, in termini di consenso interno e di “confronto” con gli occidentali, tale da rendere improponibili gli azzardi del tragico, grottesco autocrate.

La crisi dei chip è maturata ben prima dell’aggressione della Russia all’Ucraina, che la ha soltanto aggravata. Essa è stata innescata da avvenimenti contingenti e sostenuta da una divaricazione tra domanda e offerta, le cui cause sono riconducibili all’ irrigidimento dell’offerta dovuto alla frantumazione della catena della componentistica e delle materie prime, da un lato e dall’altro al rapido cambiamento nella dimensione e composizione della domanda. L’aggiustamento della capacità di offerta era previsto in tempi non brevi: verso la fine dell’anno scorso si prevedeva un periodo di aggiustamento che sarebbe durato almeno fino al 2023, stante il tempo necessario a completare un ciclo di investimenti di dimensioni ragguardevoli. Ora, con la crisi Ucraina, i tempi si allungheranno certamente.

Le sfide per adeguarsi

Tra le aree di maggiore criticità per l’adeguamento della capacità produttiva, quelle delle macchine per l’incisione o stampa dei chip è tra quelle più altamente specializzate dove più lento può essere il processo di adeguamento della capacità produttiva.

Il leader mondiale del settore, la ASML, originata da una costola della Philips, ha un fatturato di 19 miliardi di dollari nel 2021 (più che triplicato nel decennio), con un margine lordo del 53% e spese per ricerca e sviluppo pari a 2,5 miliardi di dollari (più che quadruplicato nel decennio). Gli investimenti necessari sono particolarmente elevati, con una capacità “che per star dietro alla crescita della domanda dovrebbe aumentare oltre il 50%. E questo richiede tempo” dice l’amministratore delegato della ASML Peter Wennink, aggiungendo che “Riceviamo un sacco di messaggi dai fornitori che dicono ‘ehi saremo in ritardo nelle forniture dei nostri moduli per voi perché non troviamo i chip.’ E noi diciamo ‘se non riceviamo i chip non possiamo fare macchine per produrre più chip’”[5].

Le risposte delle aziende e i Chips Acts

A giudizio di Forbes, la debolezza degli Stati Uniti è limitata alla fase delle foundries, saldamente in mano agli alleati taiwanesi, mentre il presumibile ritardo della Cina potrebbe essere ancora superiore ai dieci anni, rispetto alle più avanzate frontiere dell’hardware, come si vede dalla figura seguente, tratta dal saggio dell’autore[6].

Figura 1. Standard di produzione industriale dei semiconduttori (dimensione dei nodi in nanometri-nm)

Anche IDC ritiene che la Cina sia 3 o 4 generazioni ( di chip) indietro rispetto agli Stati Uniti[7].

Questo argomento va pesato alla luce dei rischi che la postura della Repubblica Popolare cinese ha verso Taiwan, che essa considera provincia della madre patria continentale. Nè bisogna dimenticare che le Big Tech cinesi (Huawei, Alibaba, Meituan, Tendent) stanno investendo per ridurre la dipendenza della Cina, in questo fortemente sospinte dal governo che ha di fatto prosciugato i possibili sviluppi in altri campi.

Ma questi argomenti vanno a rafforzare non tanto la linea di politica industriale del Chips for America Act o del suo omologo europeo, ma spingono semmai verso controlli sugli scambi internazionali e sul trasferimento tecnologico e a favore di finanziamenti all’educazione ed alla ricerca.

Per quanto riguarda il sostegno finanziario pubblico agli investimenti delle aziende produttrici, i dati sollevano alcune perplessità. In particolare negli Stati Uniti, dopo la riforma di Trump del 2017, il livello di imposizione sui profitti delle imprese, già tra i più bassi del mondo, è ulteriormente sceso dall’1,9% del 2017 all’1% del 2019, come percentuale del prodotto interno lordo[8]. I profitti del settore sono saliti, nel gennaio 2022 del 22%su base annuale. Le figura che seguono offrono l’indicazione sull’ammontare delle spese di investimento in ricerca e sviluppo[9]. La prima le esprime in percentuale dei ricavi.

Figura 2. Investimenti in ricerca e sviluppo in percentuale dei ricavi.

Tale percentuale, nonostante i lamenti contro i sussidi del governo cinese alle proprie industrie,risulta assai superiore negli Stati Uniti ed in Europa, con quote doppie rispetto alla Cina. In valore assoluto, nella figura 3 tra Stati Uniti e Cina la differenza è di quasi 20 volte.

Figura 3. Investimenti in ricerca e sviluppo in miliardi (Bn) di dollari.

Per rendere più celere il processo di aggiustamento e più conveniente la localizzazione degli investimenti nei paesi occidentali, che hanno perduto nei decenni recenti parte della loro capacità di produzione dei chip, il governo degli Stati Uniti e la Commissione europea hanno deliberato regimi analoghi di aiuti alla ricerca e incentivi agli investimenti localizzati nelle rispettive giurisdizioni, venendo incontro alle pressioni della lobby dei produttori. Queste politiche industriali sono nate per rispondere alla crisi dei chip e sono state disegnate prima dell’aggressione russa all’Ucraina. Gli impegni messi in campo dai Chips Acts sono in fase di approvazione sulle due sponde dell’Atlantico, ma dispiegheranno i propri strumenti operativi soltanto nei prossimi anni. La lentezza decisionale e procedurale insita in ogni processo democratico, che già rappresentava una forte remora all’efficacia dei Chips Acts prima della crisi Ucraina, diviene, ora, un freno che rende quelle politiche inutili, se non dannose nelle nuove circostanze. Vi è, infatti, il concreto rischio che, al fine di poter beneficiare degli incentivi, le aziende temporeggino per poter rientrare a pieno titolo nei provvedimenti di sussidio.

Inoltre, in ragione del ciclo estremamente favorevole dei profitti che le aziende del settore stanno attraversando, nonostante l’imponente sforzo finanziario, i contributi dei Chips Acts appaiono modesti, con circa 12 miliardi di dollari l’anno nel periodo 2022-2026 per gli Stati Uniti e 6 circa per il periodo 2022-2030 per l’Unione europea.

Ma gli annunci di investimenti che le aziende stanno facendo, riportati nella figura che segue, fanno impallidire il contributo pubblico, poiché si tratta di oltre 800 miliardi di dollari, come si vede dalla figura seguente, dove vengono raffrontati al contributo complessivo del Chips for America Act e dei contributi del governo cinese [10].

Figura 4. Investimenti privati (IP), contributi del Chips for America Act (CAA) e del governo cinese (RPC). Miliardi di dollari

Dubbi su chips act

Abbiamo anticipato in questa rivista (8 febbraio 2022) alcuni dubbi sull’efficacia di interventi per la parte che afferisce ai sussidi agli investimenti. Le ragioni di questi dubbi sono riconducibili ad una serie di fatti che sono diventati ancor più evidenti con l’aggressione russa all’Ucraina:

  • le multinazionali che investiranno in impianti di produzione hanno la necessità di investire e le risorse proprie per farlo, non hanno bisogno di altri incentivi di quelli assai potenti del mercato globale;
  • la possibilità di scegliere dove investire approfittando dei regimi di aiuti che, sui due lati dell’Atlantico, si fanno concorrenza tra loro, produrrà il risultato di creare una rendita o, come dicono gli economisti un guadagno inatteso (windfall effect) che può comportare effetti negativi sulla qualità degli investimenti;
  • la lunghezza della procedura e le inevitabili complicazioni burocratiche che accompagneranno il regime degli aiuti (sia negli Stati Uniti sia nell’Europa), possono provocare più ritardi che accelerazioni degli investimenti;
  • l’aumento delle spese militari e l’impatto della pandemia sui bilanci pubblici pone limiti alla capacità di indebitamento ulteriore delle pubbliche amministrazioni. Il sussidio a favore dei produttori di semiconduttori potrebbe essere pagato caro e richiedere un contenimento della spesa per il welfare, l’istruzione e la ricerca, con ricadute negative sulla domanda aggregata.

Per questi motivi riteniamo che i Chips Acts transatlantici forniranno risorse pubbliche ad aziende che non ne hanno bisogno, sottraendoli all’unico investimento che avrebbe agevolato la crescita delle capacità produttive dei paesi occidentali, quello in ricerca e formazione.

L’argomento dei sostenitori dei Chips Acts, come la lobby dei produttori ed in particolare di INTEL per bocca del suo amministratore delegato, che gli occidentali dovevano rimediare con un potente regime di aiuti alle distorsioni introdotte dal governo di Pechino si presta a sensate obiezioni.

L’attuale confronto drammatico tra Occidente e Russia e quello teso tra Cina e Occidente consentirebbero ai governi democratici di regolare i flussi in ingresso e uscita nei mercati dei semiconduttori con provvedimenti di tipo amministrativo assai più efficaci, come abbiamo visto con il caso Huawei, nel limitare l’import dalla Cina.

Questi sono forse gli aspetti più importanti su cui lavorare nell’attuazione dei Chips Acts nei nuovi gravi scenari aperti dalla guerra russa contro l’Ucraina e dal suo impatto sul mercato globale dei semiconduttori.

Bibliografia

  1. Antoni Slodkoski, Eri Sugiura, Song Jung-a, Edward White, Russia’s invasion of Ukraine adds to pressure on chip supply chain, Financial Times, March 4, 2022.
  2. Terry Francis, Lita Shon-Roy, Neon and Xenon. High Purity Neon and Xenon for Semiconductor Applications. A Techcet Critical Materials Report 2018-2019. https://techcet.com/wp-content/uploads/2016/02/Neon-Xenon-Report-TOC-080118TT.pdf
  3. Alexandra Alper, Exclusive: Russia’s attack on Ukraine halts half of world’s neon output for chips, Reuters, March 11, 2022.
  4. SIA, Statement on sanctions on Russia, February 24, 2022.
  5. Peter Hollinger , Richard Waters, Chipmakers face two-year shortagne of critical equipment, Financial Times, March 21, 2022.
  6. George Calhoun, Semiconductors: The CHIPS Act – Is It Really Necessary? (Part 3), Forbes, November 29, 2021.
  7. Saheli Roy Chaudhury, China is still ‘three or four generations’ away from developing latest semiconductor tech, IDC says, CNBC, January 19, 2022.
  8. Amy Hanaure, Corporate Tax reform in the Wake of the Pandemia, Institute of Taxation and Economic Policy, Report, April 2021.
  9. Calhoun, cit.
  10. Calhoun, cit.

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