Il temporaneo fermo dei principali impianti produttivi di semiconduttori nel 2020, causato dalla pandemia da Covid-19, e l’imprevista crescita nella richiesta di prodotti elettronici sono i principali elementi che hanno comportato l’insorgere di una situazione unica nel panorama economico mondiale dei chip.
Con riflessi geopolitici importanti, come si vede dal nuovo piano di supply chain chip- affiorato questa settimana – del presidente americano John Biden che cerca di stringersi sugli alleati per aumentare l’indipendenza dalla Cina.
Anche l’Europa sta lavorando una soluzione simile.
La sproporzione tra domanda e offerta di semiconduttori e l’impossibilità, da parte delle case produttrici di far fronte all’enorme richiesta, ha avuto un impatto devastante sulle catene di produzione di molti settori, tra cui, in particolar modo, l’automotive (che ne fa uso per componenti fondamentali come servosterzo e sensori, oltre che per le componenti di intrattenimento), il manifatturiero e il settore dei dispositivi medicali, che utilizzano chip a minor valore aggiunto e/o maggiormente obsoleti.
Una situazione che può avere impatti importanti su un’economia globale già provata dalla pandemia, causando ulteriore perdita di produttività (per i fermi della produzione), disoccupazione.
La filiera del chip è molto complessa e ampia, con una importante componente umana del lavoro: le ricadute a cascata possono essere devastanti.
Crisi del chip, le cause
Sono molteplici le cause che hanno portato all’insorgenza dell’attuale crisi dei semiconduttori:
- Lo stop alla produzione dovuto all’attuazione del primo lockdown su scala mondiale a inizio 2020;
- L’enorme aumento della richiesta di dispositivi elettronici (computer, smartphone e tablet) nuovi per far fronte alle necessità dello smartworking e della didattica a distanza;
- L’incremento della richiesta di dispositivi elettronici di intrattenimento, sia sotto il profilo delle consolle di nuova generazione Microsoft e Sony, le cui scorte sono esaurite nell’arco di pochi giorni, che sotto il profilo della componentistica hardware per computer di fascia alta (schede video, processori, e altro, ad oggi quasi introvabili sul mercato);
- L’aumento della richiesta di componentistica dalla elevata capacità computazionale per le attività di mining di criptovalute, anche se in minore quantità rispetto ai fattori sinora esposti;
- L’obsolescenza dei chip maggiormente utilizzate dalle case automobilistiche e la conseguente destinazione delle odierne capacità produttive dell’industria dei chip verso settori a maggior valore aggiunto. Ad oggi, per venire incontro alle richieste delle case automobilistiche, gli impianti di produzione dovrebbero aumentare la produzione di chip molto obsoleti e difficilmente riutilizzabili, oltre che dallo scarso valore aggiunto, a discapito dei ricavi; in un momento di tensione produttiva come quello attuale, si preferisce convogliare la capacità produttiva verso settori più innovativi, come quello dell’elettronica di consumo, ma anche maggiormente redditizi (per fare un paragone, si tratta di componenti dal valore aggiunto anche di centinaia di dollari, a fronte dei chip necessari per le automobili, dal valore di pochi centesimi);
- L’assenza di scorte sufficienti nella filiera di produzione, in particolare nel settore automotive, che lavora su richiesta, senza fare scorte (fatta eccezione per alcune case automobilistiche, come Toyota o Kia). Nel corso del primo lockdown, inoltre, il settore automobilistico aveva ridotto la produzione ed evitato di acquistare altri chip, portandosi in forte svantaggio rispetto a settori maggiormente innovativi, che hanno poi assorbito la quasi totalità delle produzioni di semiconduttori, anche in ragione della citata crescita di domanda da parte del mercato per smartphone, computer e consolle;
- La particolare complessità della produzione dei semiconduttori, con tempi di consegna che possono arrivare anche a 26 settimane (tempi di produzione, questi, incompatibili con l’oscillazione delle richieste propria del settore automobilistico, che ha risentito fortemente dei tempi di rallentamento delle consegne);
- La destinazione della maggior parte delle scorte verso prodotti dal maggior profitto, come le auto elettriche o le auto di fascia alta;
- Gli elevatissimi costi connessi all’implementazione di sistemi verticali di produzione di semiconduttori, sia in termini di macchinari e materia prima, sia sotto il profilo dei costanti costi di ricerca e sviluppo richiesti dal settore. Costi che raddoppiano ogni quattro anni, ai sensi della Legge di Moore, e che non accennano a diminuire, come dimostra l’incremento delle richieste del mercato, in termini qualitativi e quantitativi. Una possibile soluzione a tale problematica potrebbe consistere nell’implementazione di economie di scala, sinora garantite esclusivamente dalle aziende taiwanesi, che detengono, da sole, il 67% dei volumi globali di microprocessori (anche Qualcomm, ad esempio, azienda leader nel settore della connettività e delle telecomunicazioni, investe esclusivamente in ricerca e sviluppo, e non è dotata di alcun impianto produttivo che le possa consentire di supplire al temporaneo fermo degli impianti in Asia);
- Scarsa diversificazione, sul territorio mondiale, della produzione, che, come detto, è situata prevalentemente in Cina (TSMC) e Corea del Sud (Samsung);
- La trade war fra USA e Cina: l’imposizione da parte dell’amministrazione Trump di aspre restrizioni nei confronti della principale fonderia cinese, Semiconductor Manifacturing International, impedendole di accedere ad una serie di prodotti contenenti chip, ha portato la Cina ad aumentare esponenzialmente le importazioni di circuiti integrati; allo stesso modo, al fine di non risentire delle limitazioni commerciali imposte sui chip, grandi case produttrici di prodotti tecnologici, come Huawei, hanno comprato massivamente scorte di semiconduttori, sottraendo gran parte delle scorte preesistenti agli altri settori;
- L’insorgere di problemi di natura logistica: gli spedizionieri globali non accettano, infatti, di far partire le navi senza la certezza di avere il carico pieno, anche in ragione dell’aumento dei costi dei noli marittimi. Tale circostanza ha comportato ulteriori ritardi nelle consegne, già gravate dai ritardi di produzione;
- La scarsità della materia prima acciaio e delle materie plastiche, con conseguente aumento dei costi di produzione: solo l’acciaio ha subito un aumento di prezzo di oltre 300 euro a tonnellata, anche a causa della crisi nel settore di produzione dell’acciaio.
In sintesi, la pandemia da Covid-19 ha reso dolorosamente evidenti tutte le principali criticità connesse alla produzione dei chip, mostrando tutte le conseguenze derivanti dalla forte dipendenza dell’intero mercato globale dalla produzione di pochissime grandi aziende. D’altro canto, la pandemia ha colto tutti impreparati, creando fenomeni di mercato del tutto alterati e imprevedibili, che necessitano di strategie, di investimenti e di economie di scala i cui risultati sono visibili prevalentemente sul lungo periodo.
Le strategie di risoluzione della crisi del chip
Dinanzi all’inasprirsi della crisi nel settore dei semiconduttori e dell’ingigantirsi delle conseguenze economiche di tale crisi, USA ed UE hanno iniziato a progettare possibili soluzioni strategiche su più livelli che possano supplire, quantomeno parzialmente, all’odierna carenza di componentistica.
La situazione in USA
Come detto, e stando a quanto sinora reso noto dai giornali americani (tra cui il Financial Times), il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden firmerà, nei prossimi giorni, un ordine esecutivo per accelerare lo sviluppo di catene di approvvigionamento strategiche di chip e altri prodotti particolarmente significativi (batterie dei veicoli, metalli rari, dispositivi medici), la cui produzione è prevalentemente localizzata in Cina.
All’interno del documento saranno delineate anche una serie di raccomandazioni per la costruzione di reti di approvvigionamenti che siano meno vulnerabili a fenomeni esterni, come pandemie o sanzioni da parte di paesi terzi.
A latere di tali raccomandazioni, l’amministrazione Biden punterebbe a concludere una partnership con Taiwan, Giappone, Corea del Sud (per la produzione) e Australia (per le materie prime, le “terre rare” di cui abbonda la Cina) per implementare le attuali filiere produttive, allo scopo di creare una “linea emergenziale” per la consegna di componentistica nel caso in cui vi sia una carenza particolarmente forte come quella che stiamo attualmente vivendo.
Una delle maggiori produttrici, la taiwanese TSMC, sta costruendo a Taiwan una delle più grandi fabbriche della storia, per 20 miliardi di dollari. E a questo proposito, come parte della loro stretta sull’industria tecnologica cinese, gli Stati Uniti hanno fatto pressione su TSMC per fermare la fornitura di Huawei, precedentemente uno dei suoi maggiori clienti.
TSMC sta anche costruendo una fabbrica in Arizona (ne ha già una negli USA, due in Cina).
Dal canto suo Cina, che spende più per importare chip per computer che petrolio, sta sviluppando un’industria di semiconduttori per ridurre la dipendenza dai fornitori d’oltremare.
A tutela della stabilità dei mercati, saranno previste anche specifiche strategie di approvvigionamento “emergenziale”, ossia di rapida condivisione dei chip e degli altri articoli ad essi correlati, funzionali a non bloccare del tutto la produzione nei settori strategici. Anche la gestione delle scorte sarà affrontata all’interno del documento U.S.
Alla previsione di specifici accordi commerciali, maggiormente legati all’attuale momento emergenziale, gli esperti ritengono sia necessario affiancare delle misure economiche, che prevedano lo stanziamento di fondi governativi, incentivi e sgravi fiscali che possano permettere, sul lungo periodo, la costruzione di fabbriche di chip locali in grado di sostenere l’elevatissima domanda. Come anticipato, gli attuali costi di produzione dei chip, infatti, sono talmente elevati da rendere molto difficoltoso entrare nel mercato ed inserirsi al fianco degli attuali “big” dei semiconduttori.
I piani dell’UE
Anche l’Unione Europea, altrettanto coinvolta dalla crisi dei chip, da dicembre sta pianificando delle strategie che possano ridurre le conseguenze derivanti dalla carenza di semiconduttorim unendo le forze di tutti i Paesi membri.
Tra le varie soluzioni prese in considerazione, vi sarebbe, anche in questo caso, la costituzione di fondi e di incentivi per la costruzione di fabbriche locali che possano produrre semiconduttori e riportare l’Europa in una condizione di sovranità digitale e di autonomia produttiva rispetto ai colossi asiatici del settore, con enorme beneficio anche per la competitività del mercato.
Al fianco degli incentivi e dei fondi, si mira a siglare importanti accordi con i maggiori produttori di chip e fornitori di materie prime. L’attuazione di una strategia “doppia”, che preveda, da un lato, la conclusione di accordi commerciali e, dall’altro lato, la costruzione di nuove strutture produttive anche in USA e in UE, permetterebbe, sul lungo periodo, di rafforzare la filiera produttiva, rendendola meno vulnerabile a fenomeni macroeconomici e geopolitici o a disastri naturali.