Restano aperti ancora alcuni punti dell’iter amministrativo in capo al nuovo governo e poi i portali italiani di equity e lending crowdfunding potranno avviare l’iter di richiesta della nuova licenza ai sensi del Regolamento Europeo (Ecsp).
La licenza sarà utile ad operare, a partire dall’11 novembre 2023 (nuova data ufficiale di avvio effettivo della nuova regolamentazione europea), nell’attività di raccolta capitali secondo la normativa comunitaria, all’interno di tutti i paesi e a favore di gran parte delle imprese di capitali europee.
Crowdfunding, il nuovo Regolamento Ue: posta in gioco e opportunità
La svolta operativa è arrivata lo scorso 21 ottobre, grazie alla nota ufficiale di Consob che ha dichiarato che tutti i soggetti che intendano gestire piattaforme di crowdfunding, sia equity-based che lending-based, dovranno richiedere un’apposita autorizzazione – alla Consob o a Banca d’Italia – e saranno assoggettati a regole uniformi, definite a livello europeo, nonché alla vigilanza delle autorità designate dagli Stati membri dell’Unione Europea.
Nel frattempo, mentre si attende l’adozione del decreto legislativo di attuazione (da parte del nuovo esecutivo) che darà avvio alla fase ufficiale di richiesta della licenza, le autorità di vigilanza (Consob e Banca d’Italia) si sono rese disponibili a intrattenere dialoghi informali di orientamento per tutti gli operatori interessati alla futura presentazione delle domande di autorizzazione (sia quelli già in possesso di una licenza che nuovi richiedenti).
Passaggi cruciali dell’iter amministrativo di adozione in Italia
Il Regolamento Europeo 2020/1053 (Ecsp) è volto a normare le attività dei fornitori di servizi di crowdfunding per le imprese. Una delle principali novità del regolamento pubblicato da ESMA – Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati – a ottobre 2020, è data dall’accomunamento dei portali di equity crowdfunding con quelli di lending crowdfunding. Come noto tali disposizioni sarebbero dovute entrare in vigore per tutti gli operatori dei paesi comunitari, a partire da novembre 2022, ma a seguito dei ritardi di alcune nazioni (tra cui anche l’Italia) nella designazione dell’organo di vigilanza nazionale (che ricordiamo, si occuperà di rilasciare le licenze agli operatori che ne faranno richiesta, verificando il rispetto delle caratteristiche e dei processi necessari) lo scorso 12 luglio la Commissione Europea ha deciso di estendere il periodo di transizione di un anno, portando appunto il lancio ufficiale all’11 novembre 2023.
La nota di Consob del 21 ottobre arriva dopo che il 26 agosto passato era apparsa sulla Gazzetta Ufficiale la legge di delegazione europea per il 2021, che delega appunto il governo a recepire le direttive europee per adeguare l’ordinamento nazionale al Regolamento Ecsp.
Dati questi presupposti logicamente ad oggi non è stata rilasciata alcuna autorizzazione in Italia, mentre in altri stati europei già da qualche tempo sono state autorizzate le prime piattaforme. Su tutti è nota la prima autorizzazione ufficiale ad operare con il nuovo regolamento, emessa dall’autorità di vigilanza spagnola, già ad aprile 2022, a favore di Crowdcube Europe SL, che quindi risulta essere a tutti gli effetti il primo portale ad aver ottenuto la licenza europea.
Oltre a Crowdcube Europe, stando al registro pubblicato sul sito dell’ESMA, sono 5 le altre piattaforme ad oggi già autorizzate: Crowdedhero Latvia (Riga, Lettonia), Hands-on B.V. (Rotterdam, Paesi Bassi), Villyz (Parigi, Francia), Oneplanetcrowd International B.V. (Amsterdam, Paesi Bassi) e Spreds (Bruxelles, Belgio).
Invece l’altra piattaforma leader di mercato in UK insieme a Crowdcube, Seedrs, ha annunciato tramite l’intervista del suo CEO a fine agosto di essere in pieno iter autorizzativo tramite l’autorità di vigilanza irlandese, anche se al momento sembra non abbia ancora ottenuto la licenza.
Nuovi scenari di mercato e campagne europee
Cosa cambia effettivamente con il nuovo regolamento europeo rispetto a quello attualmente in vigore in Italia? In primis, con il regolamento europeo, i portali di equity crowdfunding potranno svolgere anche l’attività di raccolta in modalità lending-based (prestito) e viceversa ovviamente. Questo fattore è alquanto rivoluzionario perché i portali, in questo modo, potranno ampliare la loro gamma di offerta alle imprese, incrementando di fatto anche il bacino di potenziali aziende clienti. Allo stesso tempo sarà possibile offrire agli investitori retail un’offerta di investimenti differenziata e con svariati livelli di rischio.
Il nuovo regolamento, dal punto di vista dell’attività dei portali, prevede che essi rispettino requisiti prudenziali e si dotino di assetti organizzativi idonei ad assicurare l’adeguata gestione dei rischi e la continuità dell’operatività, introducendo di fatto anche norme a tutela degli investitori ispirate a quelle della Direttiva MiFID2.
Ai portali italiani sarà concesso raccogliere capitali per aziende europee (questo era già possibile anche prima), peró con la possibilità di svolgere attività di comunicazione verso una platea di investitori internazionali più ampia di quella attuale, cosa che fino ad oggi non era mai stata possibile.
Per mezzo di questa possibilità, anche ai portali europei sarà ovviamente concesso di raccogliere capitali per aziende italiane, offrendo ai propri utenti la possibilità di investire in esse. Quindi, leggendo le specifiche contenute nelle richieste di licenza pervenute ad ESMA, ci si aspetta che i principali operatori europei possano sempre più raccogliere capitali per imprese italiane. Questo nel recente passato era avvenuto, ma di rado: solo in UK, prevalentemente su Seedrs, e in Romania su Seedblink. Sempre con modalità al di fuori del quadro normativo Escp.
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Un’opportunità interessante per le startup e le imprese innovative italiane
Dunque, un’opportunità interessante per le startup e le imprese innovative italiane, che dà loro modo di accedere a capitali esteri e farsi conoscere da un ampio numero di investitori retail e non solo, ma anche di svolgere azioni di marketing mirate anche in occasione di processi espansivi internazionali. L’effetto a livello comunicativo del crowdfunding, infatti, non è da sottovalutare: permette non solo di accedere a capitali di rischio alternativi a quelli provenienti da fondi VC e altri investitori professionali, ma anche di eseguire piani di comunicazione capillari e creazione di community. Con la piattaforma europea, oltre a poter fare queste attività a livello locale, si apre la possibilità di operare a un livello ben più esteso.
I primi esempi li abbiamo visti a partire da aprile scorso. Con la nuova licenza sono state fatte le prime raccolte comunitarie in Europa: quasi tutte delle raccolte importanti di community funding. La francese Qonto ha raccolto circa 5 milioni di euro dalla sua community di clienti, la spagnola Heura Foods ne ha raccolti 4,4 dalla sua community di “good rebels” e la belga Cowboy invece ha raccolto 2,7 milioni da oltre 2000 investitori retail.
Nell’attesa che anche i portali del Bel paese possano finalmente operare in questa nuova modalità, alcune startup italiane hanno già annunciato di voler sfruttare le possibilità offerte dal nuovo quadro regolatorio per raccogliere capitali in crowdfunding, sfruttando il bacino di utenti europeo attraverso le campagne su portali internazionali; pertanto, non ci resta che pazientare ancora qualche mese per assistere e valutare gli effetti reali e tangibili di questo nuovo assetto e i potenziali numerosi benefici che esso potrà apportare, direttamente e indirettamente all’ecosistema italiano dell’innovazione.
Rimane aperta la questione, per ora tutta da esplorare, della possibilità di introdurre meccanismi e magari veri e propri mercati del secondario per questi investimenti. Uno dei limiti, che sembra infatti ridurre in modo tangibile l’appetibilità degli investimenti proposti dal crowdfunding, è il fatto di non essere facilmente liquidabili anche in presenza di ottimi risultati. Considerato che i tempi medi per una exit di una startup possono essere lunghi, e che l’Italia fino ad oggi è stata penalizzata da una considerevole rarità di questi eventi, sarebbe opportuno cominciare a pensarci a livello istituzionale.
Conclusioni
Introdurre la novità da noi potrebbe aiutare a sviluppare ulteriormente una cultura per gli investimenti in capitale di rischio dal basso che ha dimostrato di essere assai promettente.
Vale la pena ricordare che negli anni ‘90 negli Stati Uniti era quasi più probabile trovare una startup di successo quotata sul Nasdaq che dentro un fondo di Venture Capital.
Starbucks, Qualcomm, Genentech, tanto per fare tre nomi: erano “penny stocks” che si potevano acquistare su quello che oggi è il principale listino dei titoli tecnologici. A quei tempi era il far west descritto, e preso un po’ in giro, nel film “The Wolf of Wall Street”. Rivisto con criteri adeguati potrebbe far crescere molto la raccolta di capitali coraggiosi, dando almeno la possibilitá di dare un valore e scambiare i migliori progetti senza dover aspettare magari anni.