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Super Bowl, Sanremo: perché sono ancora centrali per il marketing



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Nonostante la frammentazione digitale, eventi come Sanremo e Super Bowl rimangono centrali nelle strategie di marketing. Il marketing plurale combina linguaggi innovativi e tradizionali per generare conversazioni rilevanti tra pubblici diversi

Pubblicato il 7 mar 2025

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager



ai e percezione del brand

C’è qualcosa di sorprendente nel futuro del marketing. Qualcosa che, a prima vista, può sembrare un paradosso. Nel tempo della personalizzazione spinta, della segmentazione estrema e delle piattaforme verticali dedicate a nicchie sempre più definite, le aziende e i loro brand continuano a investire sul mezzo televisivo. Non solo: lo fanno con ancora più forza nei grandi eventi mediatici, quelli capaci di catalizzare l’attenzione di milioni di spettatori.

Il paradosso del marketing contemporaneo tra personalizzazione e mezzi generalisti

In Italia, il Festival di Sanremo. Negli Stati Uniti, il Super Bowl. Due occasioni di consumo televisivo massivo, in cui gli investimenti pubblicitari non conoscono crisi.

“Le aziende indistinte si rivolgono ad una platea generalista, quelle d’eccellenza guidano tribù” una delle tesi del guru del marketing Seth Godin sembra essere messa in discussione dalle strategie di marketing più attuali che guardano ai grandi eventi ed all’essere generalisti.

Grandi eventi a parte il mezzo televisivo gode di un buon momento di salute, per quanto riguarda la pubblicità, la televisione, infatti, nel 2024 ha raccolto in Italia 4,3 miliardi di euro di pubblicità con una crescita del 6%.

L’appeal della televisione generalista nell’era della frammentazione mediatica

Non è sorpresa Anna Bisogno, docente di televisione a Universitas Mercatorum, “La televisione lineare in primis ancora oggi rappresenta un mezzo di comunicazione rassicurante. In un panorama mediatico frammentato, la tv propone un mix unico di portata e impatto che la rende ancora uno strumento prezioso per raggiungere e coinvolgere i consumatori targettizzati”.

Sanremo e il Super Bowl sono molto più di semplici eventi. Sono riti collettivi, momenti che uniscono e creano conversazioni, dentro e fuori dallo schermo.

Dal punto di vista del marketing e della comunicazione, questi riti collettivi, generano un’emozione comune, un senso di appartenenza che va oltre l’intrattenimento.

Per gli inserzionisti, invece, sono occasioni uniche per intercettare pubblici trasversali, dall’adolescente all’over 60, dall’appassionato di musica o sport fino a chi guarda solo per commentare con gli amici. La capacità della TV generalista di creare comunità temporanee, ma straordinariamente coinvolgenti, è un asset ancora imprescindibile per le aziende e i loro brand. In un panorama in cui il pubblico è sempre più disperso tra piattaforme digitali, la forza centripeta di questi eventi rappresenta un’opportunità di visibilità irripetibile.

Sanremo e Super Bowl come modelli di comunicazione integrata e opportunità per i brand

Lo scenario attuale dell’advertising vede un ritorno alla funzionalità, nonostante le tante possibilità offerte dall’innovazione tecnologica. La sfida per le aziende e i loro brand è quella di offrire valore reale, qualcosa che possa rappresentare un valore aggiunto rispetto ad un messaggio pubblicitario.

“Il Festival di Sanremo è l’evento mediato a più alto impatto e ingaggio non solo televisivo in Italia. Dal punto di vista del marketing, il Festival costituisce un modello virtuoso di comunicazione integrata all’interno del quale la convergenza tra televisione, social media e attività esperienziali permette ai brand di amplificare il proprio messaggio. Il più antico rito della televisione italiana è in grado di innescare una combinazione di sponsorizzazioni tradizionali, product placement e digital engagement con formati commerciali che vanno dagli spot televisivi agli influencer che raccontano il Festival in tempo reale sulle piattaforme social. Tutti ma proprio tutti i brand cercano Sanremo dentro e fuori la tv” spiega Bisogno.

Oltre oceano invece “Il Superbowl offre una visibilità mediatica senza eguali. Parliamo di un evento trasmesso in 180 Paesi e tradotto in più di 25 lingue seguito da 137 milioni di persone nel mondo. FOX, in canale ufficiale, ha generato 800 milioni di dollari da ricavi pubblicitari” spiega Luca Pelati, appassionato di sport e comunicazione USA e CEO dell’agenzia di comunicazione Ventie30.

Il marketing del futuro: tra nicchie e mainstream

“Se parliamo di advertising diventa importante oggi più che mai lavorare su grandi gruppi di pubblici, pubblici molto liquidi, in modo che sia il sistema, basato sull’intelligenza artificiale, a raggiungere le persone giuste. Mentre prima si parlava di targeting ultra specifici negli anni passati oggi è assolutamente il contrario.

È importante dare al sistema i segnali giusti in modo che lui vada a raggiungere le persone giuste specialmente usando della creatività molto mirata. Il mantra di Meta è ‘Creative is the new targeting’ la creatività che permette di mostrare il contenuto giusto alla persona giusta” spiega Veronica Gentili uno dei volti più conosciuti del Digital Marketing in Italia e tra i 50 esperti al mondo più influenti al mondo nell’Ad Tech.

Le nicchie, pur rappresentando una scelta strategica interessante, offrono visioni alternative rispetto alla cultura mainstream, sempre più interessante per le aziende e i loro brand perché permette loro di inserirsi nelle conversazioni del momento (i trend topics) e di restare connessi alla cultura pop.

Il marketing di domani non sarà una scelta tra targeting ultra-segmentato e grandi platee generaliste. Sarà un mix, un equilibrio costante tra micro e macro, tra personalizzazione e diffusione. Se da un lato le piattaforme digitali consentono di dialogare con nicchie specifiche in modo diretto e mirato, dall’altro i grandi eventi offrono una risonanza che nessun altro mezzo può garantire. La chiave sarà nella complementarità: usare il mainstream per amplificare la narrazione e le nicchie per personalizzarla e renderla più rilevante.

“Se pensiamo al Super Bowl, l’half-time show ha 10 spot da 30 secondi ciascuno venduti a 8 milioni di dollari per singolo spot” spiega Luca Pelati che aggiunge “I grandi eventi possono essere sfruttati dalle aziende e i loro brand pur non potendo essere presenti come sponsor o con uno spot. Quello che i content creator fanno è il cosiddetto reaction video, si guarda insieme – on line su piattaforme come Twitch o Discord – e li si commenta, live o in differita”.

Attenzione però, una strategia di questo tipo richiede uno studio approfondito delle policy di ognuna di queste piattaforme che ospita il reaction video, ma per le aziende e i loro brand impostare una comunicazione di questo tipo consente di sfruttare l’hype ma va a capitalizzare, anche e soprattutto, il contenuto prodotto.

Le narrative che funzionano sono quelle adeguate, tempestive e pertinenti. “Le storie sono la materia prima più potente di cui dispone un’azienda” ha raccontato Marco Bardazzi, tra i più noti esperti di comunicazione digitale, e quale migliore platea di un grande evento per raccontare una storia?

I nuovi linguaggi del video marketing e l’evoluzione dei contenuti per i brand

Tra i formati più utilizzati oggi ci sono, senza dubbi, i formati video. Per Nicola Bigi, CEO di TIWI Studio casa di produzione video il cui motto è ‘Raccontare per immagini’ “Capire quale può essere il linguaggio migliore rispetto ai video per i brand è la vera domanda che tutti provano ad approfondire. Sicuramente la risposta cambia se prendiamo in esame il funnel del percorso d’acquisto, cioè a momenti diversi del funnel corrispondono anche linguaggi diversi: l’emozione per catturare l’attenzione, la razionalità per completare l’acquisto”.

Quale può essere il linguaggio per coinvolgere le persone? Qual è il linguaggio migliore per far parlare davvero il brand? E soprattutto, in un contesto in cui i social sono una vetrina importante, che però obbliga a costruire contenuti in modo continuo come si fa ad essere rilevanti ed interessanti?

Se per Seth Godin, guru del marketing, il tempo degli influencer è finito e sono in molti a pensarla come lui, Nicola Bigi vede un fenomeno interessante. “Sempre più brand utilizzano artisti di fama per costruire serie di contenuti memorabili che rispecchiano i valori del brand, ma che utilizzano linguaggi visivi estremamente innovativi. Per cui è davvero un momento in cui il video si sta contaminando di tecnologie produttive molto diverse, spesso poco viste in ambito pubblicitario”.

Un marketing plurale e collaborativo

Le aziende e i brand del futuro dovranno sviluppare un approccio di marketing più aperto, capace di superare i silos e le logiche di compartimentazione. Il segreto sarà giocare in squadra, creare ecosistemi narrativi in grado di connettere il grande pubblico e le community più specifiche. Non si tratterà più solo di fare advertising, ma di generare conversazioni e coinvolgimento diffuso, combinando i linguaggi tradizionali con quelli emergenti.

In questo scenario, il marketing diventa un orizzonte espanso, capace di adattarsi e amplificarsi, con l’obiettivo di essere al tempo stesso di nicchia e universale. Un marketing plurale, che sappia dialogare con tutti senza perdere di vista nessuno (anche chi difficilmente potrà essere catalogato come cliente). E che, proprio per questo, sarà più efficace che mai.

“Tanto più le imprese si trovano in uno scenario competitivo condizionato da un numero crescente di fattori su cui non riescono a esercitare un controllo, tanto più riconoscono i limiti nell’operare da sole e sentono la necessità di stringere alleanze. In questa fase storica non c’è quindi da sorprendersi che le alleanze siano in crescita” ha raccontato a ilSole24Ore Stefania Romenti, professoressa ordinaria in comunicazione strategica all’Università IULM.

Le alleanze strategiche nel marketing del futuro

Per le aziende e i loro brand più che tattiche di vendita sono alleanze strategiche di posizionamento che veicolano valori e stili di vita in diversi mercati senza esaurirsi con la promozione di meri prodotti o servizi.

“Naturalmente la partnership tra aziende e brand non è controproducente se è fatta in modo strategico. Se la scelta, per quanto riguarda la partnership, vede coinvolte realtà le cui community sono reciprocamente rilevanti. Parliamo di scelte strategiche ben precise, che coinvolgono anche i valori aziendali, se invece sono fatte senza una strategia chiara rischiano di essere controproducenti”.

Le alleanze tra aziende, che provengano da diverse parti del mondo o da diverse estremità della catena di fornitura, sono un fatto nel mondo degli affari odierno. Alcune alleanze non sono altro che incontri fugaci, che durano solo il tempo necessario a un partner per stabilire una testa di ponte in un nuovo mercato. Altre sono il preludio a una fusione completa delle tecnologie e delle capacità di due o più aziende. Qualunque sia la durata e gli obiettivi delle alleanze aziendali, essere un buon partner è diventato un asset aziendale fondamentale.

Lo chiamo vantaggio collaborativo di un’azienda. Nell’economia globale, una capacità ben sviluppata di creare e sostenere collaborazioni fruttuose offre alle aziende un significativo vantaggio competitivo si legge in “La nobile arte delle alleanze” pubblicato sull’ Harvard Business Review il magazine dell’Harvard Business School, la più diffusa e autorevole rivista di management del mondo.

Il co-branding è una tendenza che piace, ma solo quando il consumatore percepisce che l’alleanza va oltre la strategia per massimizzare le vendite.

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