diritto comunitario

Decreto piattaforme: l’Italia rischia lo stop Ue su Uber e app taxi



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L’Italia notifica alla Commissione europea il decreto piattaforme che introduce nuovi obblighi per le app come Uber. Bruxelles chiede chiarimenti preliminari evidenziando potenziali incompatibilità con il diritto comunitario, dal principio del Paese d’origine alla libera circolazione dei servizi digitali

Pubblicato il 22 apr 2025

Valerio Natale

Senior Associate, Hogan Lovells



uber - decreto piattaforme

Mentre prosegue il dibattito sulla cosiddetta “mini-riforma” del settore taxi e NCC, è passata quasi del tutto inosservata la notifica alla Commissione europea, da parte del Governo, di una bozza di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri volto a disciplinare l’attività delle piattaforme tecnologiche di intermediazione tra domanda e offerta di servizi taxi e NCC, come Uber e Free Now.

Si tratta di un provvedimento che, nella sua formulazione attuale, imporrebbe a tali piattaforme obblighi capaci di incidere significativamente non solo sull’operatività del servizio, rendendolo scarsamente attrattivo, ma persino sulla possibilità degli stessi di accedere al mercato.

Agendadigitale.eu è in grado di anticipare che la Commissione, pur non avendo ancora adottato un parere circostanziato, ha già manifestato una particolare attenzione per le misure notificate dall’Italia.

Prima di entrare nel merito del provvedimento notificato a Bruxelles, tuttavia, è utile fornire alcune premesse di contesto necessarie a comprendere la vicenda e, soprattutto, il rapporto tra tale decreto piattaforme e il diritto unionale.

Procedura TRIS: come l’UE verifica il decreto piattaforme

La notifica della bozza del decreto piattaforme alla Commissione si inserisce nell’ambito della cosiddetta procedura TRISprevista dalla Direttiva 2015/1535. Tale Direttiva prevede che gli Stati membri siano tenuti ad effettuare una notifica alla Commissione ogniqualvolta intendano adottare una “regola tecnica” relativa ai servizi della società dell’informazione, al fine di garantire che le misure nazionali non si traducano in ostacoli indebiti alla libera circolazione dei servizi nel mercato interno.

Per “servizi della società dell’informazione” si intendono, secondo il diritto unionale, tutti quei servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e su richiesta individuale di un destinatario. Le piattaforme digitali di intermediazione come Uber e Free Now che non offrono servizi di trasporto ma si limitano a intermediare l’offerta di chi come NCC e taxi, dunque, rientrano a pieno titolo in tale categoria.

La procedura TRIS si articola in un meccanismo di notifica preventiva che impone allo Stato membro, prima dell’adozione formale del provvedimento, un periodo di sospensione (cd. periodo di standstill) della durata di tre mesi. Durante tale finestra temporale, la Commissione e gli altri Stati membri possono formulare osservazioni, commenti o – nei casi più rilevanti – pareri circostanziati che obbligano lo Stato proponente a riconsiderare o sospendere l’adozione del testo, e richiedere anche un ulteriore periodo di fermo. Peraltro, al fine di evitare atteggiamenti “elusivi” da parte degli Stati membri, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha da tempo affermato che l’omessa notifica determina l’inapplicabilità delle misure adottate dallo Stato membro (causa C-194/94, CIA Security International).

Perché l’Italia ha notificato la bozza di decreto piattaforme alla Commissione

In questo contesto, la notifica da parte dell’Italia del “decreto piattaforme” alla Commissione –   avvenuta formalmente con avvio della notifica TRIS 2025/0085/I –  rappresentava un atto dovuto, in quanto la bozza contiene evidentemente disposizioni che incidono direttamente sull’attività di intermediazione svolta da piattaforme digitali, introducendo requisiti di registrazione, vincoli operativi, obblighi di verifica, conservazione dei dati e limitazioni all’informazione precontrattuale, tutti elementi che configurano una disciplina specifica dei servizi della società dell’informazione.

Cosa prevede il decreto piattaforme

Il decreto piattaforme si applica a tutte le piattaforme digitali che svolgono attività di intermediazione tra utenti e vettori taxi o NCC, stabilendo un sistema di requisiti e obblighi a carico dei gestori.

In sintesi, il decreto prevede:

  • Registrazione obbligatoria presso una sezione del Centro Elaborazione Dati del MIT, previa dichiarazione sostitutiva e impegno al rispetto del decreto.
  • Verifica dei titoli abilitativi: le piattaforme devono verificare, eventualmente anche mediante dichiarazione sostitutiva resa dai vettori aderenti alla piattaforma, la validità delle licenze taxi e autorizzazioni NCC e conservarne gli estremi.
  • Obbligo informativo verso l’utente: devono comunicare estremi del titolo abilitativo del vettore, il Comune di rilascio e la targa del veicolo, con dati consultabili fino a 72 ore dopo la corsa.
  • Assegnazione nel rispetto dei turni taxi: per i taxi, le corse devono essere assegnate solo durante i turni ufficiali del vettore; la destinazione e il prezzo stimato non possono essere comunicati in anticipo al vettore.
  • Obblighi per gli NCC: è richiesto di assicurare il rispetto della disciplina del decreto sul foglio di servizio (su cui pende, come detto, un giudizio della Corte costituzionale) da parte dei vettori, fatta salva l’applicabilità delle eccezioni previste; pertanto, i vettori presenti su piattaforma dovrebbero rientrare in rimessa dopo ogni corsa o attendere almeno 20 minuti prima di accettare la corsa successiva.
  • Divieto di mostrare la disponibilità veicoli in tempo reale in app prima della selezione tra taxi e NCC, e prima dell’assegnazione del vettore.
  • Vincolo tariffario: è vietato applicare tariffe diverse da quelle previste dalla regolamentazione locale per i taxi e non sono ammessi sconti o prezzi personalizzati; per il servizio NCC, naturalmente, rimane la libera determinazione della tariffa, trattandosi di servizio privato.
  • Conservazione dei dati: le piattaforme devono conservare i contratti di ogni servizio intermediato per un anno.
  • Canale di comunicazione con il conducente: è previsto l’obbligo di consentire il contatto diretto con il vettore prima della corsa.
  • Pagamenti elettronici: devono essere sempre disponibili per l’utente.

Il decreto piattaforme prevede espressamente l’applicabilità delle sue disposizioni anche alle piattaforme stabilite in altri Stati membri dell’Unione Europea.

Profili di incompatibilità del decreto piattaforme con il diritto dell’Unione europea

Il contenuto del decreto notificato solleva diversi profili critici rispetto alla compatibilità con il diritto unionale, in particolare in relazione alla disciplina dei servizi digitali, alla libera prestazione dei servizi, alla protezione dei dati personali e alla tutela dei consumatori.

  • Violazione del principio del Paese d’origine (Direttiva 2000/31/CE)
    Il decreto si applica anche a piattaforme stabilite in altri Stati membri, imponendo obblighi generalizzati (registrazione, verifica delle licenze, limiti operativi) in violazione del principio del Paese d’origine, secondo cui tali piattaforme sono soggette esclusivamente alla normativa dello Stato membro in cui hanno la loro sede legale. Deroghe a tale principio sono ammesse solo in casi eccezionali, riguardanti un servizio specifico e non categorie generali (come ad esempio le piattaforme di intermediazione quale categoria generale); inoltre, le misure devono essere necessarie, proporzionate e motivate da esigenze specifiche (es. ordine pubblico, tutela dei minori, sicurezza) e lo Stato dovrebbe in ogni caso richiedere prima l’intervento dello Stato membro d’origine del fornitore, oltre a  notificare l’intenzione di applicare una deroga alla Commissione.
  • Contrasto con il Digital Services Act (Regolamento 2022/2065)
    L’art. 8 del DSA vieta l’imposizione di obblighi generali di sorveglianza. Ciò nonostante, il decreto impone di fatto alle piattaforme di vigilare sul rispetto di obblighi dei vettori (es. rientro in rimessa, attesa minima), trasformandole illegittimamente in soggetti tenuti all’enforcement. Si tratta, a parere di chi scrive, di un obbligo sproporzionato e incompatibile con il principio di neutralità dei fornitori di intermediazione.
  • Restrizione alla libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE)
    Le misure introdotte rappresentano certamente una barriera all’accesso al mercato italiano, richiedendo ad esempio una registrazione, e non sembrano peraltro neppure giustificate da reali motivi di interesse generale. Secondo la Corte di Giustizia (C-50/21, Prestige and Limousine), restrizioni simili sono legittime solo se proporzionate e coerenti, condizioni che non sembrano ricorrere nel caso del decreto notificato.
  • Violazione dei diritti dei consumatori (Direttiva 2011/83/UE)
    Limitare l’accesso a informazioni essenziali (ad esempio, quelle relative alla disponibilità dei veicoli, ai tempi di arrivo e al prezzo) prima della selezione del servizio, tra taxi e NCC, ostacola la trasparenza e impedisce all’utente di effettuare scelte consapevoli, costringendo di fatto le piattaforme ad agire con pratiche in violazione degli obblighi informativi previsti per i contratti a distanza.
  • Problemi di compatibilità con il GDPR
    L’obbligo di conservare i dati per almeno un anno, unito ad un piuttosto esteso diritto di accesso da parte delle autorità, appare sproporzionato rispetto alle finalità perseguite, in violazione dei principi di minimizzazione, limitazione della conservazione e necessità (art. 5 GDPR; artt. 7-8 Carta UE).

I primi rilievi sollevati dalla Commissione europea

La Commissione, come detto, ha già manifestato una particolare attenzione per le misure notificate dall’Italia. Risulta infatti che la Commissione abbia trasmesso al nostro paese una serie articolata di quesiti preliminari che manifestano un giudizio critico rispetto all’impostazione del decreto. In particolare, la Commissione ha richiesto all’Italia di fornire immediati chiarimenti sulla compatibilità del testo con il principio del paese d’origine sancito dalla Direttiva E-Commerce, sulla compatibilità con il Digital Services Act (in particolare per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio e le modalità di enforcement), e infine sul coordinamento con il Regolamento 2019/1150 sulle piattaforme digitali che intermediano tra professionisti e consumatori (cd. Regolamento P2B).

Possibili scenari e impasse per il decreto piattaforme

Alla luce di tali rilievi, difficilmente l’Italia potrà ottenere un via libera incondizionato da parte di Bruxelles, il cui parere circostanziato è atteso nelle prossime settimane. Peraltro, anche soltanto da un punto di vista del diritto interno, la bozza di decreto piattaforme notificata ripropone di fatto – seppure indirettamente – un obbligo di rientro in rimessa già dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 56/2020, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. In questo senso, neppure il regime di deroga dei cd. 20 minuti – che è mutuato dal già citato decreto sul foglio di servizio – sembra poter risolvere tali profili di dubbia legittimità.

Prova ne è, peraltro, la pendenza del giudizio di legittimità costituzionale su cui i giudici delle leggi si pronunceranno entro la fine dell’anno. Il decreto si pone, infine, in potenziale conflitto con il riparto di competenze tra Stato e regioni e col principio di leale collaborazione, atteso che la materia del trasporto pubblico locale non di linea ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nell’ambito della competenza legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117 Cost.

In definitiva, tra tensioni con il diritto europeo e fragilità costituzionali interne, il decreto piattaforme si presenta come un provvedimento ad alto rischio di impasse, che rischia di naufragare prima ancora di vedere la luce.

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