DMA e DSA

Digital Services Package: impatti ed opportunità per i mercati



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L’adozione del DMA e DSA ha effetti nei mercati della pubblicità, del commercio elettronico e della diffusione di contenuti online. Ecco quali

Pubblicato il 12 giu 2023

Ilaria Gargiulo

Studio Legale DGRS

Giorgio Mennella

Advertising Director Ciaopeople e Consigliere IAB Italia

Giulia Sala

Studio Legale DGRS



dsa agcom piattaforme

Il Digital Services Package è composto dai regolamenti DMA (Digital Market Act) e DSA (Digital Services Act). Ed è stato ufficialmente adottato nel corso nel 2022, dopo un lungo lavoro del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea iniziato nel 2020. Questi regolamenti si pongono tre obiettivi: garantire la competitività e l’equità del settore digitale, in particolar modo nel settore della pubblicità; rafforzare la tutela online degli operatori e dei consumatori rendendo illecito online tutte quelle condotte che sono illecite offline; infine passare all’esame le nuove responsabilità e gli impegni in materia di trasparenza e accountability per i prestatori di servizi online. Ecco quali sono gli impatti e le opportunità del pacchetto nei mercati della pubblicità, del commercio elettronico e della diffusione di contenuti online.

Digital Services Act: What Can the US Learn from the EU?

Digital Services Package: i nodi cruciali

Poiché le norme previste dal DMA sono già in vigore (dal 2 maggio 2023), mentre quelle del DSA si applicheranno dal 17 febbraio 2024 (ad eccezione di alcune specifiche disposizioni che si applicano dal 16 novembre 2022), è importante comprendere quali sono le proposte per raggiungere gli obiettivi ora indicati e
quali potrebbero essere le conseguenze dell’entrata in vigore dei due testi in oggetto.
Inoltre bisogna capire a chi si applicheranno le disposizioni dei due regolamenti. L’attenzione generale generata dal Digital Services Package deriva dal fatto che tali testi avranno una portata molto ampia ed impatteranno direttamente le
grandi piattaforme online (i cosiddetti gatekeeper, ai sensi del DMA), i prestatori di servizi intermediari, nonché inserzionisti, agenzie, tecnologie e editori, eCommerce e – in generale – qualsiasi operatore che usa il web
.
Sarà infine necessario fare luce su quali sono queste conseguenze possibili o già in essere da tenere in considerazione, soprattutto nel settore della pubblicità, agli eCommerce e alla diffusione di contenuti illeciti online.

Digital Market Act

La vera portata innovativa del DMA coincide con l’obiettivo che tale norma si prefigge: garantire che il mercato del digitale rimanga equo e contendibile. Si tratta di quella che molti hanno definito “una normativa antitrust preventiva”. Infatti, una delle principali critiche che vengono mosse all’attuale normativa in materia di concorrenza (sia essa quella europea, sia quella recepita negli stati membri dell’UE) è proprio il fatto di intervenire quando è “troppo tardi”.

L’intervento delle autorità può essere tardivo se i mercati di riferimento sono irrimediabilmente danneggiati e compromessi, quando ormai l’accesso a nuovi operatori è stato impedito oppure tali soggetti sono stati assorbiti da grandi imprese che hanno acquisito un considerevole potere economico grazie alla loro posizione
all’ingresso del mercato, dove creano una sorta di “sbarramento”.

I gatekeeper

Queste imprese sono gatekeeper, i soggetti destinatari del DMA. I gatekeeper non sono ancora stati ufficialmente designati dalla Commissione europea, ma nelle altissime soglie previste dal DMA – per fatturati e numeri di utenti – sicuramente vi rientreranno le Big Tech o GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) e pochi altri soggetti.

Istruttoria su Apple

Il recente annuncio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, Agcm) dell’avvio di un’istruttoria nei confronti di Apple per presunto abuso di posizione dominante nel mercato delle app è proprio un esempio dell’intervento “ex post” in ambito concorrenziale. Senza entrare nel dettaglio di tale vicenda, ai fini delle presenti riflessioni, è importante evidenziare i comportamenti che per l’AGCM costituiscono
una presunta condotta discriminatoria di Apple nei confronti del mercato delle app e degli altri operatori:

  • il fatto che, a partire da aprile 2021 all’interno del proprio store – per i soli sviluppatori terzi di app – Apple abbia “adottato una politica sulla privacy, più restrittiva rispetto a quella che la società applica a sé stessa”, la App Tracking Transparency policy (di seguito, “ATT policy”);
  • il fatto che abbia limitato la disponibilità dei dati relativi sia alla profilazione degli utenti sia alla misurazione dell’efficacia delle campagne pubblicitarie.

Se nel 2021 fosse stato in vigore il DMA, probabilmente Apple non avrebbe potuto implementare l’ATT policy oggi all’esame dell’AGCM. Il DMA, infatti, tra i nuovi vari obblighi, prevede espressamente che i gatekeeper (tra i quali Apple dovrebbe rientrare):

  • non possano più classificare i propri servizi in modo più vantaggioso rispetto a quelli di altri operatori del mercato;
  • debbano fornire, agli operatori commerciali che utilizzano i loro servizi, la possibilità di raccogliere i dati o di misurare l’utilizzo degli spazi e l’erogazione degli annunci pubblicitari.

Pari opportunità ai vari operatori

Ancora l’articolo 6, comma 10 del DMA prevede un aspetto ancor più innovativo in relazione ai dati personali degli utenti finali. Il gatekeeper è obbligato a garantire l’accesso e l’uso dei dati personali all’operatore commerciale, in relazione ai prodotti o servizi offerti da tale operatore commerciale all’interno degli ambienti del gatekeeper (sempre nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali). Quindi, per esempio, all’interno di uno store di app mobile sarà necessario garantire pari opportunità ai vari operatori, anche con riguardo alla raccolta dei dati personali a fini di profilazione a scopi pubblicitari.

A fronte di questi cambiamenti, si aprono anche nuove interessanti possibilità per i fornitori di tecnologia e servizi: le aziende avranno bisogno di supporto tecnico per poter esportare e raccogliere tali dati in nuovi ambienti, oltre che servizi di consulenza su come gestire e massimizzare questi nuovi flussi di informazioni.

Le stesse strategie commerciali che oggi su certi aspetti sono cieche – per la mancanza di dati sui risultati delle proprie performance – dovranno essere riviste in un’ottica di inclusione di questi ambienti, creando nuove opportunità per agenzie e consulenti.

Novità a livello pratico e operativo

Si tratta innegabilmente di importanti novità per tutte le aziende che operano sul mercato del digitale. È vero, infatti, che il DMA ha come principali destinatari i gatekeeper, quei soggetti che hanno un impatto significativo sul mercato interno, forniscono un servizio di piattaforma che costituisce un punto di accesso (cosiddetto gateway o servizio di base) importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali e che detengono una posizione consolidata e duratura, nell’ambito delle proprie attività (o è prevedibile che acquisiscano siffatta posizione nel prossimo futuro). Tuttavia il nuovo regolamento comporterà modifiche epocali al “come” si pongono tali soggetti, ai loro servizi e alla struttura dei loro rapporti con gli operatori.

Vantaggio competitivo

Il DMA mira ad arginare le mole di dati personali raccolti e trattati dai gatekeeper. A differenza della maggioranza degli altri operatori, infatti, spesso i gatekeeper – tramite i loro prodotti – hanno la possibilità di raccogliere direttamente i dati personali degli utenti finali per fornire servizi pubblicitari online, anche quando gli utenti finali stanno utilizzando applicazioni o stanno visitando siti web di terzi.

Un esempio calzante di questa dinamica è costituito dalle piatteforme di interscambio che regolano il mercato del programmatic advertising, quali Supply Side Platform (di seguito, “SSP”), cioè le tecnologie utilizzate da editori e concessionarie per vendere annunci digitali in tempo reale attraverso l’acquisto in programmatic e, specularmente, le Demand Side Platform (di seguito, “DSP”), tecnologie utilizzate dagli inserzionisti e dalle agenzie per acquistare annunci digitali messi a disposizione tramite (anche) le
SSP. Si tratta di piattaforme che i gatekeeper forniscono anche gratuitamente, in cambio della possibilità di utilizzare i dati personali raccolti tramite cookie o altri strumenti di tracciamento. Hanno così la possibilità di profilare gli utenti anche in ambienti che non sono di loro titolarità.

Programmatic advertising

Occorre ricordare che l’ecosistema del programmatic advertising è enormemente complesso. Vi sono infatti tante altre tecnologie o fornitori, quali Ad Exchange (o Marketplace), Ad Network/Affiliation Network eccetera). Ma se un gatekeeper è presente in più punti della catena, probabilmente con dei dati personali proprietari e “più performanti”, avrà di conseguenza il potere di influenzare gli equilibri del mercato e le sue dinamiche.

Lo scopo del programmatic advertising è infatti erogare in tempo reale messaggi pubblicitari pertinenti al pubblico che può essere più interessato, e tale scopo è perseguibile con attività di profilazione tramite cookie e altri strumenti di tracciamento. Ad utenti che navigano su pagine di informazione sportiva proporrò annunci di articoli sportivi, all’interessato al mondo della moda mostrerò un annuncio di un nuovo prodotto di un brand di lusso, e così via.

Se il gatekeeper ha la possibilità di profilare “meglio” gli utenti finali, perché fornisce loro una gamma di servizi diversi – dalla query sul motore di ricerca, agli spostamenti con il navigatore, fino ad arrivare alla fruizione di contenuti video – oppure perché è un leader nel settore dei social network, senz’altro avrà la possibilità di erogare annunci pubblicitari sempre più precisi e performanti rispetto agli altri operatori: il risultato sarà che tutti gli operatori dovranno avvalersi dei suoi servizi pubblicitari online. Non utilizzare le piattaforme pubblicitarie del gatekeeper, sia lato domanda che lato offerta, vuol dire semplicemente essere esclusi dal mercato e dalla possibilità di crescere nel mondo del digitale.

Come limitare queste dinamiche

Il DMA all’articolo 5, comma 2 prevede che – salvo espresso consenso dell’utente – il gatekeeper, ai fini della fornitura di servizi pubblicitari online non può trattare “i dati personali degli utenti finali che utilizzano servizi di terzi che si avvalgono di servizi di piattaforma di base del gatekeeper”. Quindi, per esempio, se sul proprio marketplace, il gatekeeper raccoglie i cookie relativi agli utenti che hanno acquistato prodotti da un brand di scarpe, il gatekeeper non potrà usare questi dati personali per l’erogazione di campagne pubblicitarie mirate, sia a proprio vantaggio, sia a vantaggio di terzi.

Con l’avvento del DMA, inoltre i gatekeeper non potranno più combinare i dati personali degli utenti finali tra i loro diversi servizi, per esempio tra un servizio di messaggistica istantanea e un social per la condivisione di video e foto. E neppure con dati personali provenienti da servizi di terzi. Inoltre, non potranno forzare la registrazione degli utenti finali a propri servizi, al fine di combinare dati personali: si pensi a quanti servizi richiedono l’accesso col proprio profilo personale per poterne usufruire (senza che vi sia reale necessità, anche dal punto di vista legale, di effettuare un login).

Misurazione pubblicitaria: il crollo dei Walled garden

Sempre nell’ambito della pubblicità digitale, un’altra vera rivoluzione portata dal DMA è il fatto che i gatekeeper dovranno garantire l’accesso ai propri strumenti di misurazione degli annunci, nonché fornire ad inserzionisti e editori i dati necessari per effettuare verifiche indipendenti dei corrispettivi relativi alle erogazioni di tali annunci (compresi dati aggregati e non aggregati). Inizia quindi una nuova era della trasparenza, in quanto i gatekeeper – con riferimento ai propri servizi pubblicitari online – su base giornaliera e a titolo gratuito, dovranno:

  • fornire agli inserzionisti il prezzo e le commissioni da loro pagate, incluse eventuali trattenute e sovrapprezzi;
  • fornire agli editori dettagli sulla remunerazione da loro percepita, nonché le commissioni da loro pagate, incluse eventuali trattenute e sovrapprezzi;
  • infine, ad entrambe le categorie di soggetti, dovranno esporre i parametri di calcolo di ogni prezzo, commissione e remunerazione.

I prossimi passaggi per il DMA

Entro il 3 luglio 2023, i potenziali gatekeeper dovranno comunicare alla Commissione europea i propri servizi di base e dichiarare se rientrano nelle soglie stabilite dal DMA; a quel punto, ricevute le comunicazioni, la Commissione avrà 45 giorni lavorativi per valutare se l’impresa in questione soddisfa le soglie per essere designata quale gatekeeper (entro il 6 settembre 2023). Una volta designati, i gatekeeper avranno sei mesi di tempo per conformarsi ai requisiti del DMA, al più tardi entro il 6 marzo 2024.

La Commissione ha già organizzato (e organizzerà) una serie di workshop tecnici con le parti interessate per analizzare il rispetto del DMA da parte dei gatekeeper.

Il primo di questi workshop si è tenuto il 5 dicembre 2022 e si è concentrato sul concetto di “self-preferencing provision” (il fatto che i gatekeeper privilegino i loro
prodotti e servizi rispetto a quelli degli altri operatori), un altro, tenuto lo scorso 27 febbraio, si è occupato dell’interoperabilità tra i sistemi di messaggistica. Lo scopo di tali momenti di incontro è declinare nella pratica, nella realtà commerciale degli operatori, i concetti della normativa che posso sembrare astratti (come la “prevalenza dei propri servizi”) ma che hanno degli impatti operativi e tecnici dirompenti. Per esempio, analizzando “come” il presentare un prodotto proprietario in una certa posizione del proprio sito, preferendolo – a livello visivo e di posizionamento – rispetto ai prodotti degli altri operatori, è considerato “self-preferencing” (banner più in alto, più in basso, scritte con caratteri o colori diversi, eccetera).

Digital Services Act

Il DSA punta a rendere illegale online ciò che è già illegale offline. A tal fine, da un lato, vengono riviste le regole sulla responsabilità degli intermediari di servizi online e, dall’altro, vengono introdotti ulteriori obblighi per determinate categorie di intermediari di servizi online (per esempio le piattaforme online i motori di ricerca di grandi dimensioni, sulle quali non ci si soffermerà in questa sede).

Tra le principali novità del DSA è necessario ricordare, per una migliore comprensione di quanto segue, l’introduzione di una nuova figura di hosting: le “piattaforme online” (definite come “servizio di memorizzazione di informazioni che, su richiesta di un destinatario del servizio, memorizza e diffonde informazioni al pubblico […]”) che sono soggette alla normativa dettata per gli hosting e in relazione alle quali sono state altresì dettate alcune disposizioni ad hoc.

Le disposizioni più impattanti per la pubblicità

Le disposizioni specifiche previste dal DSA in materia di trasparenza della pubblicità erogata sulle piattaforme online riguardano sia quando la piattaforma online presenta direttamente tale pubblicità (“i fornitori di piattaforme online che presentano pubblicità sulle loro interfacce online provvedono affinché per ogni singola pubblicità a ogni singolo destinatario, i destinatari del servizio siano in grado di identificare in modo chiaro, conciso, inequivocabile e in tempo reale […] che:

  • l’informazione costituisce una pubblicità, anche attraverso contrassegni visibili;
  • la persona fisica o giuridica per conto della quale viene presentata la pubblicità;
  • la persona fisica o giuridica che paga per la pubblicità, se detta persona è diversa dalla persona fisica o giuridica di cui al secondo punto;
  • informazioni rilevanti direttamente e facilmente accessibili dalla pubblicità relative ai parametri utilizzati per determinare il destinatario a cui viene presentata la pubblicità e, laddove applicabile, alle modalità di modifica di detti parametri”), sia quando la pubblicità viene erogata dai destinatari del servizio (“I fornitori di piattaforme online mettono a disposizione dei destinatari del servizio una funzionalità che consente di dichiarare sei contenuti che forniscono siano o contengano comunicazioni commerciali” e in tali casi è altresì previsto che il fornitore di piattaforme online provveda a far sì che le comunicazioni realizzate dai destinatari dei servizi possano essere rilevate come tale dagli altri destinatari del servizio “in modo chiaro, inequivocabile e in tempo reale”).

Se la necessità di riconoscere la finalità pubblicitaria di una comunicazione commerciale era già prevista all’interno dell’ordinamento (europeo e italiano), la necessità di identificare con precisione il soggetto che eroga la pubblicità introduce – sia per gli operatori del settore che per i destinatari del servizio – una novità potenzialmente rilevante.

La necessità di regolamentare

Per gli operatori del settore l’obbligo introdotto dal DSA potrebbe comportare la necessità di regolamentare – anche contrattualmente – “come” e “da chi” dovranno essere fornite le informazioni relative al soggetto per conto del quale viene fornita la pubblicità oltre che le informazioni relative alle modalità di erogazione della
pubblicità stessa
.
Quando più soggetti compongono la catena dei rapporti, sarà dunque necessario che il veicolo delle informazioni da un soggetto all’altro permetta di arrivare al fornitore della piattaforma online in cui avviene l’erogazione della pubblicità.
Questo meccanismo, che potrebbe sembrare banale, potrebbe porre alcune complicazioni quando il coinvolgimento riguarda più soggetti. Per maggiore chiarezza segue un esempio di come potrebbe realizzarsi la dinamica.

Un esempio

L’azienda Bianchi vuole pubblicizzare la propria attività e per farlo incarica l’agenzia pubblicitaria Rossi di acquistare alcuni spazi media sulla piattaforma online Verdi. Verdi dovrà quindi rivolgersi a Rossi per ottenere le informazioni, il quale a sua volta le dovrà richiedere a Bianchi. Ove, poi, Bianchi richieda l’indirizzamento della propria pubblicità verso un determinato target di soggetti e – pertanto – la configurazione dell’erogazione della pubblicità avvenga in tal senso, Bianchi dovrà essere consapevole che tale informazione (che può anche essere parte di una precisa strategia commerciale dell’azienda), sarà accessibile ai destinatari dei servizi e quindi anche a terzi (ossia anche ai concorrenti di Bianchi).
Ciò comporta la necessità di disciplinare la condivisione di tali informazioni, inserendo, per esempio, delle specifiche clausole all’interno dei relativi contratti. Questo anche per evitare che tali condivisioni possano qualificarsi, per esempio, come divulgazioni non autorizzate di informazioni riservate.
Pur essendo una questione facilmente gestibile da un punto di vista pratico, quindi, sarà importante che gli operatori del settore siano a conoscenza delle novità del DSA e che agiscano di conseguenza sin da ora per evitare di arrivare impreparati all’entrata in vigore della normativa.

La prospettiva dei destinatari dei servizi

Analizzando la normativa dalla prospettiva dei destinatari dei servizi, la necessità di identificare il soggetto, per conto del quale avviene l’erogazione della pubblicità, costituisce una novità importante per il contrasto alla presenza online e alla pubblicizzazione di prodotti o servizi truffaldini, consentendo agli utenti – in caso di attività illecite – di agire direttamente nei confronti di tali soggetti (senza dover, quindi, chiedere ai fornitori della piattaforma online di fornire i dati). Una previsione, questa, del tutto in linea con lo scopo del DSA di creare un ambiente online sicuro.

Considerazioni simili riguardano la necessità di identificare le comunicazioni
commerciali anche quando queste vengano erogate direttamente dai destinatari dei servizi
, previsione in linea con quanto già disposto in materia di trasparenza delle comunicazioni commerciali dalla normativa in materia.

La portata di quanto disposto in materia di pubblicità dal DSA dovrà essere valutata poi in base:

  • agli effettivi interventi da parte del coordinatore dei servizi digitali (figura prevista dal regolamento ma ad oggi non ancora nominato dall’Italia);
  • alle sanzioni che verranno previste in caso di violazione. Infatti, benché siano fissati all’interno del DSA dei parametri [1] relativi alle sanzioni applicabili, gli Stati Membri sono incaricati di stabilire le sanzioni (che dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive).

In assenza di una sanzione che funga da effettivo deterrente alle attività illecite e di un controllo stringente da parte dell’autorità (una volta identificata) infatti, è possibile che il processo di implementazione della richiesta delle informazioni previste dal DSA proceda piuttosto lentamente.

I codici di condotta per il settore

Sempre in materia di pubblicità online è rilevante anche l’indicazione relativa
all’elaborazione di codici di condotta per il settore che – ai sensi dell’articolo 46 del DSA – sarebbero previsti entro il 18 febbraio 2025, per entrare in vigore entro il 18 agosto 2025.

Il legislatore europeo, nel considerando 107, auspica il coinvolgimento di un’ampia gamma di portatori di interessi per garantire il conseguimento degli obblighi di trasparenza.
Secondo chi scrive, l’elaborazione di codici di condotta per la pubblicità online costituisce sicuramente un’opportunità per gli operatori del settore di darsi, da un lato, delle regole in relazione ai nuovi obblighi previsti dal DSA e, dall’altro, per ragionare sugli obblighi già esistenti ma per i quali potrebbe essere utile fissare dei principi rispetto a casistiche frequenti e di interesse per gli operatori. Per rispettare le scadenze previste dal regolamento, bisognerebbe iniziare a ragionare su questi codici di condotta, su una loro eventuale differenziazione in base ai soggetti coinvolti dagli stessi (per esempio, piattaforme online e piattaforme online di grandi dimensioni), ma anche sul necessario coordinamento tra i testi affinché gli stessi non perdano di efficacia sia per gli operatori che per i destinatari (ossia i soggetti che si dovrebbe tutelare con i codici).

Digital Services Package: le disposizioni più impattanti per gli eCommerce

Tra le disposizioni del DSA, volte a creare un ambiente online sicuro, ve ne sono alcune di particolare interesse relative alla tracciabilità degli operatori commerciali (del tutto in linea con quanto sopra ricordato in materia di pubblicità). In particolare, per le piattaforme online che consentono la possibilità ai consumatori di concludere contratti a distanza con gli operatori commerciali, osserviamo – in estrema sintesi – l’introduzione dell’obbligo di:

  • raccogliere determinate informazioni sugli operatori commerciali [3] prima di consentire l’uso dei propri servizi;
  • di avere un’interfaccia che consenta agli operatori commerciali di fornire le informazioni necessarie per identificare i prodotti/servizi offerti e il commerciante nonché tutte le informazioni relative all’etichettatura e alla marcatura in conformità alla normativa in materia;
  • ove venga a conoscenza della vendita di un prodotto/servizio illegale da un operatore commerciale che opera sulla propria piattaforma, di informare i consumatori che abbiano acquistato quel prodotto/servizio nei sei mesi antecedenti la scoperta del fatto che il prodotto/servizio è illegale, dell’identità dell’operatore commerciale nonché dei ricorsi possibili.

Le previsioni relative agli eCommerce prevedono quindi una procedura di due diligence, Know your Business Customer, necessaria ad assicurare la conoscibilità degli operatori commerciali che operano online e la conseguente trasparenza nei confronti dei consumatori.

Tuttavia, l’impegno richiesto alle piattaforme online è “solo” quello di compiere il “massimo sforzo possibile” per valutare se le informazioni fornite sono attendibili e
complete, ricadendo unicamente sull’operatore commerciale la responsabilità circa la correttezza delle informazioni fornite.

Il limite alle piattaforme online

Pur condividendo la necessità di contemperare gli interessi in gioco (ossia la libertà di impresa da un lato e la tutela dei consumatori dall’altro) e comprendendo altresì la ragione per cui non è possibile prevedere a carico degli intermediari un controllo più stringente di quello previsto, la previsione rischia di tradursi in pratica in un nulla di fatto. Questo a maggior ragione se si considera che gli obblighi in questione sono limitati alle piattaforme online che consentono ai consumatori di concludere i contratti, rimanendo esclusi da tali oneri altre categorie di intermediari non di poco conto. Tra questi, ad esempio, troviamo piattaforme quali Instagram o TikTok all’interno delle quali non vengono venduti direttamente i prodotti (e infatti per gli acquisti dei prodotti
sponsorizzati o comunque pubblicizzati si viene reindirizzati direttamente al sito del venditore), ma che fungono da vetrina per moltissimi soggetti per la vendita di prodotti e servizi.

In tali casi si pone un problema. La piattaforma non è tenuta al controllo dei soggetti che utilizzano i propri canali social come vetrina dei propri prodotti (senza sponsorizzare i contenuti pubblicati, rimanendo quindi esclusa la procedura prevista dal DSA in materia di pubblicità). Ma – di fatto – l’acquisto viene effettuato grazie a tali social network, che permettono al consumatore di venire a conoscenza dei prodotti in questione.

Per gestire tale casistica occorre realizzare un controllo preventivo a priori di tutti gli utenti che aprono un profilo social senza violare diversi diritti fondamentali. Se non è possibile effettuare il controllo preventivo, ci si domanda come potrebbe essere effettuata la due diligence nei confronti di tali soggetti. Sono solo alcune delle domande per le quali sarà interessante monitorare il tema nei prossimi anni e capire se dei correttivi possono essere implementati e come.

Cosa cambia in materia di diffusione illecita di contenuti online

Le norme previste dal regolamento sono state oggetto di critica da parte dei soggetti più interessati, ossia i titolari dei diritti sui contenuti nonché dei diritti di diffusione degli stessi perché ci si aspettava forse un intervento più decisivo a tutela dei predetti titolari dei diritti.

Però non è possibile non citare la Raccomandazione della Commissione del 4 maggio 2023 in relazione al contrasto alla trasmissione online non autorizzata di eventi sportivi (nonché di altri eventi live come concerti, spettacoli teatrali, musical eccetera) che sembra un primo segnale positivo in relazione a quanto precede.
La raccomandazione – in linea con quanto previsto dal DSA in relazione alla necessità di contrastare le attività illegali perpetrate online – mira a tutelare maggiormente i titolari dei diritti sui citati eventi. Dunque è necessario che, a fronte di diffusione illecita, l’intervento sia tempestivo al fine di limitare la potenziale lesività della stessa.

Conclusioni

La Commissione ha manifestato la necessità di implementare soluzioni tecniche di
cooperazione per poter bloccare la trasmissione non autorizzata durante dell’evento stesso. Per questo motivo, ove un hosting riceva una segnalazione relativa alla trasmissione non autorizzata di eventi sportivi (o di altri eventi live), deve trattare tale notifica ed intervenire prima della fine dell’evento in questione.
Resta, tuttavia, ancora aperto un punto: la rimozione rapida di un contenuto non è sufficiente a garantire la minimizzazione dei danni derivanti dalla trasmissione non autorizzata (si precisa: non solo in relazione agli eventi, ma – in generale – in relazione a tutti i contenuti spesso oggetto di pirateria informatica), andrebbe infatti garantita una rimozione permanente di tali contenuti. Ed invero la semplice rimozione, anche se tempestiva, non impedisce a chi pubblica contenuti pirata di ripubblicare il medesimo contenuto in un altro spazio, come di fatto accade sistematicamente. Pertanto, la soluzione presentata dalla Commissione è corretta. Ma, sino a che non sarà possibile bloccare definitivamente gli autori di tali condivisioni ed eliminare in modo permanente i contenuti pirata, non si potrà parlare di una effettiva e completa protezione dei titolari/licenziatari dei diritti sugli eventi e più in generale su contenuti diffusi anche online. La Raccomandazione fornisce, tuttavia, una prima necessità per
gli hosting provider che è quella di implementare un sistema per trattare le segnalazioni in modo “tempestivo, diligente, non arbitrario e obiettivo” e quindi di procedere alla rimozione in un tempo tale che porti benefici al titolare dei diritti lesi dai contenuti in questione o quanto meno ne limiti i danni.

Note

[1] Cfr. Art. 52 co. 3 e 4 Regolamento 2022/2065:
[2] Gli Stati membri provvedono affinché l’importo massimo delle sanzioni pecuniarie che possono essere irrogate in caso di inosservanza di un obbligo stabilito dal
presente regolamento sia pari al 6 % del fatturato annuo mondiale del fornitore di servizi intermediari interessato nell’esercizio finanziario precedente. Gli Stati
membri provvedono affinché l’importo massimo della sanzione pecuniarie che può essere irrogata in caso di comunicazione di informazioni inesatte, incomplete o
fuorvianti, di mancata risposta o rettifica di informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti e di inosservanza dell’obbligo di sottoporsi a un’ispezione sia pari all’1
% del reddito annuo o del fatturato mondiale del fornitore dei servizi intermediari o della persona interessati nell’esercizio finanziario precedente.

[3] Gli Stati membri provvedono affinché l’importo massimo giornaliero delle penalità di mora sia pari al 5 % del fatturato giornaliero medio mondiale o del reddito del fornitore di servizi intermediari interessato nell’esercizio finanziario precedente, calcolato a decorrere dalla data specificata nella decisione in questione.

3 Cfr. Art. 30 DSA: “[…] a) il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e l’indirizzo di posta elettronica dell’operatore commerciale; b) una copia del documento di identificazione dell’operatore commerciale o qualsiasi altra identificazione elettronica quale definita all’articolo 3 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio; c) i dati relativi al conto di pagamento dell’operatore commerciale; d) qualora l’operatore commerciale sia iscritto in un registro delle imprese o analogo registro pubblico, il registro presso il quale è iscritto e il relativo numero di iscrizione o mezzo equivalente di identificazione contemplato in detto registro; e) un’autocertificazione da parte dell’operatore commerciale con cui quest’ultimo si impegna a offrire solo prodotti o servizi conformi alle norme applicabili del diritto dell’Unione.”

@RIPRODUZIONE RISERVATA

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