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Direttiva Copyright, il diritto connesso degli editori di giornali: punto sui lavori

Le Commissioni di Camera e Senato al lavoro sullo Schema di decreto di recepimento della direttiva europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi, che mira a remunerare gli editori di giornali per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni. Le posizioni degli editori associati alla FIEG

Pubblicato il 28 Set 2021

Isabella Splendore

Responsabile Area giuridica e internazionale FIEG

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Con la ripresa, dopo la pausa estiva, dei lavori parlamentari, le competenti Commissioni di Camera (Cultura e Trasporti, Politiche dell’Unione europea e Bilancio) e Senato (Giustizia e Lavori pubblici, Industria, Politiche dell’Unione europea e Bilancio) hanno avviato l’esame dell’atto del Governo n. 295 “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE”.

Lo Schema di decreto, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri del 5 agosto e poi trasmesso alle Camere per l’acquisizione dei pareri da parte delle suddette Commissioni, recepisce – come noto – la direttiva europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi e introduce norme che riconoscono agli editori, sia in forma singola che associata, un diritto connesso per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi delle società di informazione e delle società di monitoraggio media e rassegne stampa.

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I termini per l’espressione dei pareri – 40 giorni decorrenti dall’assegnazione – sarebbero scaduti lo scorso 16 settembre ma sono stati prorogati al 15 ottobre 2021, in considerazione della “complessità degli atti” rilevata da alcuni parlamentari e della conseguente ritenuta opportunità di procedere a un ciclo di audizioni con le Parti interessate.

Il presente articolo riporta le posizioni degli editori associati alla FIEG, come illustrate nel corso delle audizioni, che sono di sostanziale condivisione dell’impianto generale della normativa di recepimento, teso a rendere effettivo l’esercizio del diritto riconosciuto dalla direttiva europea, la quale demanda ai singoli Stati membri il compito di assicurarne in concreto l’applicazione (“Members States shall provide (…)”); normativa che tiene anche conto delle esperienze europee e internazionali e dello spirito originario della legislazione comunitaria che è quello di favorire il dialogo e la negoziazione tra le Parti, per giungere a un accordo di effettiva valorizzazione del prodotto editoriale.

Il caso della Francia

Proprio guardando alle esperienze maturate in altri Stati membri, non si può che partire dal caso emblematico della Francia, dove ci sono voluti quasi due anni dalla legge di recepimento per superare lo stallo determinato dalle lacune della normativa di base e giungere a una disposizione operativa che rendesse effettivamente esercitabile, dai titolari nei confronti degli OTT, il diritto connesso in favore degli editori di giornali.

La Francia è stato il primo Paese UE a recepire, nel luglio 2019, l’articolo 15 della direttiva Copyright, sul diritto connesso, limitandosi a trasporre i criteri generali nella normativa di attuazione, senza prevedere elementi che ne garantissero in concreto l’esercizio e che, soprattutto, tutelassero adeguatamente la parte più debole del processo di negoziazione, ossia gli editori.

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Il punto debole della normativa francese di recepimento

Alla luce degli sviluppi successivi, si può dire che il punto debole della normativa francese di recepimento è risultato essere proprio la mancata previsione di criteri temporali e operativi certi per la procedura di negoziazione, nel caso in cui le Parti non si fossero accordate sul pagamento del diritto connesso: circostanza che si è, di fatto, verificata con il rifiuto delle piattaforme a negoziare e la modifica unilaterale delle condizioni per l’utilizzo dei contenuti sui motori di ricerca. Solo a seguito di un reclamo formale da parte degli editori francesi, l’Autorità garante per la concorrenza ha stabilito, con decisione del 9 aprile 2020, successivamente confermata dalla Corte d’appello di Parigi, l’obbligo per gli aggregatori e i motori di ricerca di avviare entro tre mesi dalla richiesta dell’editore i negoziati per il riconoscimento del diritto connesso. L’istruttoria dell’Antitrust francese è poi proseguita con riferimento ad ulteriori profili (tra cui il rifiuto delle piattaforme di negoziare con editori non appartenenti a determinate categorie e la mancata condivisione dei dati necessari alla misurazione di una equa remunerazione), rispetto ai quali la decisione, intervenuta lo scorso luglio, è stata quella di una sanzione pecuniaria esemplare, la più alta mai comminata in Francia dall’Antitrust, e la previsione dell’obbligo di concludere un accordo con tutti gli editori di giornali entro fine anno.

Lo Schema di decreto legislativo italiano

In tal senso, lo Schema di decreto legislativo attualmente all’esame del Parlamento italiano appronta un sistema che tiene opportunamente conto delle esperienze europee, superando gli ostacoli già noti e indicando una procedura di negoziazione “assistita”, vale a dire chiara in tutti i suoi passaggi e dai tempi certi: in quest’ottica, i tentativi in atto di muovere rilievi al testo di recepimento sotto il profilo di un suo presunto eccesso di delega o di un abuso della regolamentazione paiono obiettivamente ingiustificati.

Secondo i principi di base del diritto comunitario, gli Stati membri svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione della legislazione dell’UE soprattutto nel caso del recepimento delle direttive, che sono vincolanti per quanto attiene al risultato da conseguire ma che lasciano alle autorità nazionali la scelta della forma e dei metodi di attuazione, nonché la decisione — in linea con il diritto dell’UE — di migliorare le norme minime quando ciò sia ritenuto utile. Il legislatore europeo ha deliberatamente lasciato agli Stati membri un certo margine di manovra nell’attuare le norme minime in conformità con i principi del trattato UE, pur e soprattutto nel rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, le direttive prevedono che, nel processo di attuazione, gli Stati membri tengano conto degli standard più elevati eventualmente presenti nei loro ordinamenti interni e soprattutto che ogni qual volta essi decidano di optare per livelli di tutela più ambiziosi o più avanzati, si possa tener conto, tra le altre considerazioni, dei principi del c.d. miglioramento normativo (previsti dal programma UE denominato «Legiferare meglio»).

Può, inoltre, essere utile ricordare che la Corte costituzionale ha precisato che il divieto di gold plating (cioè il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, largamente evocato nel dibattito di questi ultimi giorni) non è un principio di diritto comunitario. Il termine gold plating compare nella comunicazione della Commissione europea dell’8 ottobre 2010 «Smart regulation in the European Union», adottata con lo scopo di promuovere una legiferazione “intelligente”, sia a livello europeo che degli Stati membri, in grado di ridurre gli oneri amministrativi a carico di cittadini e imprese. Il divieto in esame va, infatti, interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari” e non di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri principi o valori, quali nel caso di specie l’effettivo esercizio di un diritto o la tutela della parte negoziale più debole.

Le specificazioni introdotte dal nostro legislatore delegato appaiono, pertanto, riconducibili all’esercizio dei normali margini di discrezionalità ad esso spettanti nell’attuazione del criterio di delega, ne rispettano la ratio e sono coerenti con il quadro normativo di riferimento.

Date queste premesse, risulta difficile ravvisare nel testo dello Schema in esame previsioni che restringano ingiustificatamente la concorrenza, introducendo fattispecie soggettive e oggettive non previste dalla disciplina europea o meccanismi negoziali limitativi della libertà contrattuale degli operatori economici, come si legge in alcuni rilievi critici delle ultime ore.

Il nodo della equa remunerazione a tutti gli editori di giornali

Le nozioni soggettive e oggettive contenute nello Schema di decreto legislativo all’esame del Parlamento sono ben lungi dal restringere ingiustificatamente la concorrenza, dando al contrario piena e coerente attuazione alla ratio della Direttiva, che è quella di garantire una equa remunerazione a tutti gli editori di giornali che editano pubblicazioni di carattere giornalistico, senza distinzioni arbitrarie o trattamenti preferenziali (come invece avvenuto in Francia e recentemente sanzionato dall’Antitrust francese).

Per la definizione dei “prestatori di servizi della società dell’informazione”, è fatto un richiamo specifico all’art. 1, par. 1, lett. b), della direttiva sulla procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e sulle regole relative a servizi della società dell’informazione, direttiva (UE) 2015/1535: vi rientrano, per interpretazione consolidata, i motori di ricerca e i social media, oltre che, per espressa citazione del Considerando 54 della direttiva, gli aggregatori di notizie e i servizi di monitoraggio dei media, questi ultimi già tenuti al riconoscimento dei diritti d’autore previsti dalla normativa generale per l’utilizzo in rassegne stampa di articoli di giornale sottoposti a riproduzione riservata. Non vi è dunque scostamento alcuno dalla previsione comunitaria.

Anche la nozione di editori di giornali non crea particolari problemi di interpretazione, stante la immediatezza di raccordo della nozione soggettiva con quella oggettiva di pubblicazione di carattere giornalistico, costituita “da un insieme composto principalmente da opere letterarie di carattere giornalistico, ma che può includere anche altre opere o altri materiali”, come (aggiunge il Considerando 56) fotografie o videogrammi. Dal combinato disposto delle Definizioni di cui al n. 4 dell’art. 2 della direttiva e del Considerando 56, si desume che nella nozione rilevante ai fini della presente disciplina sono ricomprese le pubblicazioni che compaiono su qualsiasi mezzo di comunicazione, su supporto cartaceo ma anche online, come ad esempio, i quotidiani, le riviste settimanali o mensili di interesse generale o specifico, incluse le riviste acquistate in abbonamento. Mentre, per espressa previsione, sono escluse le pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici, quali le riviste scientifiche.

Gli editori, riconosciuti come titolari dei diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione rispetto all’utilizzo online delle loro pubblicazioni, possono decidere di esercitare o meno questo diritto, potendo eventualmente optare per accordi di natura diversa (alcuni di essi sono già in essere anche nel nostro Paese).

I meccanismi procedurali previsti sono finalizzati a rendere effettivamente esercitabile il diritto connesso, tutelando la parte più debole del rapporto, ossia le imprese editoriali, e in particolare quelle che incontrano maggiori difficoltà ad intavolare una negoziazione equa con i prestatori di servizi della società dell’informazione, tipicamente i piccoli e i medi editori, che formano il tessuto dell’informazione locale e di prossimità su cui si incardina il principio del pluralismo informativo.

È previsto, in particolare, che le negoziazioni si svolgano in maniera trasparente e nel rispetto dell’obbligo di buona fede, nel solco di criteri per la determinazione dell’equo compenso che andranno definiti dall’Autorità di settore con apposito Regolamento. La stessa Autorità potrebbe essere chiamata a stabilire la misura dell’equo compenso, in caso di mancato accordo fra le Parti, ma è fatta salva in ogni momento e per ciascuna delle Parti la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria.

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I parametri per la definizione dell’equo compenso

Anche i parametri per la definizione dell’equo compenso – nello Schema di decreto indicati esemplificativamente e suscettibili di integrazione nel corso della emanazione del Regolamento ad opera dell’Autorità di settore – perseguono il condivisibile obiettivo di valorizzare quelle pubblicazioni che si caratterizzano per la diffusione di una informazione qualificata e attendibile, garantita anche da una presenza adeguata di giornalisti impiegati, e da investimenti e risorse specificamente destinati all’esercizio professionale dell’attività di informazione. A tal proposito, nel sancire che entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni adotta un regolamento per l’individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso, lo Schema di decreto dovrebbe essere integrato dalla previsione esplicita del coinvolgimento delle parti interessate, sotto forma di consultazione pubblica o analoga forma di partecipazione.

Gli editori di giornali svolgono un ruolo centrale nel finanziamento, la creazione e la distribuzione di una pluralità di contenuti giornalistici e informativi di qualità. Per continuare a garantire anche nell’era digitale questa fondamentale precondizione di ogni società democratica e libera, essi devono poter contare su una effettiva tutela del prodotto informativo. Libertà di stampa e pluralismo sono possibili solo con imprese editrici autonome ed economicamente sane, che operino in un contesto di regole di mercato.

Peraltro, la ratio della previsione, come detto, è di incentivare la concessione delle licenze e la valorizzazione economica delle pubblicazioni di carattere giornalistico nell’ambiente digitale, assicurando ai titolari dei diritti la remunerazione degli investimenti effettuati, al fine di sanare l’enorme squilibrio – rilevato tra gli altri anche dall’Agcom sin dal 2014 nel Rapporto sui servizi di Internet e la pubblicità online – tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di Internet e i ricavi percepiti dai produttori degli stessi: uno squilibrio che, a detta dell’Autorità di Garanzia, provoca “danni incalcolabili al finanziamento dell’intero sistema dell’informazione e rischia di comprometterne il funzionamento”.

Il tema, tuttavia, non ha solo un rilievo economico e non concerne solo la redditività delle pubblicazioni giornalistiche, come precisato dai Considerando 54 e 58 della direttiva, già approfonditi in precedenti interventi su questo argomento.

In merito alla definizione di un compenso ai giornalisti, è stato osservato come il recepimento delle direttive europee debba avvenire tenendo conto dei contesti normativi e contrattuali propri di ciascun ordinamento: nel nostro, sono già riconosciuti alle aziende editoriali i diritti di utilizzazione economica per l’attività lavorativa prestata da giornalisti dipendenti e nel contratto è prevista una specifica disciplina per la cessione a terzi degli articoli. Si è proposto, pertanto, di esplicitare che la previsione relativa alla definizione di un compenso ai giornalisti debba applicarsi esclusivamente ai giornalisti prestatori di lavoro autonomo.

Infine, sulla nozione di estratti molto brevi, punto cruciale della nuova disciplina, occorre rilevare come l’esperienza di altri Stati membri, in particolare Spagna e Germania – che avevano già adottato in passato normative nazionali dirette a disciplinare i brevi estratti – abbia portato all’attenzione condotte potenzialmente lesive dei diritti degli editori di giornali; nel caso spagnolo, con la chiusura unilaterale di taluni servizi e, in Germania (così come di recente in Francia), rimettendo all’editore la scelta relativa alla pubblicazione delle anteprime degli articoli, senza il riconoscimento di nessun compenso.

Anche sulla scorta di queste esperienze, si pone la necessità di stabilire quanto “brevi” possano essere i “brevi estratti”, affinché non costituiscano violazione del diritto connesso e possano rilevare ai fini della operatività del collegamento ipertestuale che di regola sono soliti accompagnare.

Bisogna pertanto muovere dalla ratio della norma europea e dalla finalità della direttiva, secondo cui la suddetta nozione deve essere individuata “in modo da non pregiudicare la libera circolazione delle informazioni né l’efficacia dei diritti previsti dalla direttiva”, come garantito dal Considerando 58, nella convinzione che se l’uso dell’estratto molto breve ha una funzione sostitutiva della pubblicazione o comunque dispensa il lettore dal far riferimento ad essa rappresenta una evidente violazione del diritto connesso.

Conclusioni

La direttiva, come noto, mira a remunerare gli editori di giornali per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni, ossia mira a renderli partecipi dei profitti generati da tale utilizzo: appare, in tal senso, coerente la citata esclusione del diritto connesso agli utilizzi privati o non commerciali posti in essere da singoli utilizzatori (“individual users” secondo il testo della Direttiva), restando ovviamente impregiudicati i diritti anche economici degli editori nei confronti delle successive  riproduzioni e diffusioni del prodotto editoriale da parte di soggetti diversi dalle persone fisiche o  da parte di quest’ultime non per il proprio personale utilizzo: tale precisazione andrebbe auspicabilmente inserita in sede di parere delle competenti Commissioni.

Analogamente a questa impostazione, gli estratti molto brevi dovrebbero essere considerati tali solo nei casi in cui esercitino la loro funzione di richiamo al testo originario dell’articolo senza dispensare il lettore dalla necessità di consultarlo integralmente per essere adeguatamente informato e, quindi, senza pregiudicare i diritti economici degli editori.

Tutti i tentativi di ricondurre a parametri certi e definiti la suddetta nozione – ad esempio individuando un certo numero di caratteri/battute dell’estratto – devono tener conto del fatto che nessuna porzione di pubblicazione potrà mai essere qualificata come estratto molto breve laddove sia tendenzialmente idonea a comunicare, seppur sinteticamente, il contenuto dell’articolo in questione.

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