Licenze estese

Diritti esclusivi e informazione: le prospettive dopo la Direttiva DSM

L’uso commerciale di brani o di brevi estratti di opere d’ingegno presenta non poche difficoltà, che il legislatore Ue ha cercato di risolvere, in ultimo con la Direttiva DSM e il concetto delle “licenze collettive estese”. Vediamo le difficoltà del l’introduzione di tale meccanismo nel nostro Paese

Pubblicato il 30 Set 2020

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale

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Nell’attuale contesto digitale, l’uso di brani o di parti di opere i cui diritti appartengono a terzi per lo sfruttamento all’interno di produzioni che non assumono finalità squisitamente informative e di attualità costituisce un tema di fondamentale importanza per le imprese di produzione di contenuti multimediali.

Pensiamo alle molteplici opere audiovisive che basano la propria trama su fatti storici o su persone che hanno segnato lunghi periodi della storia di una nazione o la cui notorietà si estende all’intero universo. Chi voglia raccontare attraverso i media queste vicende, deve fare necessariamente ricorso, per la completezza e l’accuratezza della narrazione, a immagini appartenenti al repertorio di altri soggetti, ovvero ancora all’impiego di brani di filmati o di documentari indispensabili per corredare e illustrare un determinato fatto, evento o sequenza di quella storia.

La regola attualmente in vigore, sulla scorta dei trattati internazionali e delle norme interne che da essi derivano[1], è quella secondo cui il soggetto che intenda utilizzare estratti o brani di opere altrui debba negoziare i relativi diritti con i rispettivi titolari, salve le eccezioni tassative previste per legge. Si tratta talvolta di trattative complicate dal fatto che non solo risulta difficile stabilire chi sia il titolare dei diritti sui contenuti cercati, ma anche dalla necessità di addivenire a un accordo in tempi brevi, per non tardare oltre il ragionevole il completamento dell’opera in cui questi contributi confluiranno.

La normativa nel nostro Paese (del 1941)

Nel nostro Paese la norma invocata al fine di superare l’obbligo di una complessa e non breve trattativa sui diritti d’autore è rappresentata dall’art. 70 della Legge Autore il quale stabilisce che: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. (…omissis…). Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore, e se si tratta di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta”.

La norma in questione è stata inserita nel contesto della disciplina italiana del diritto d’autore nel lontano 1941, quando la trasmissione a distanza non esisteva e l’oggetto delle utilizzazioni libere non poteva prevedere l’utilizzazione delle opere protetti in contesti audiovisivi o multimediali. Dall’esame del testo della disposizione notiamo che la deroga ai diritti esclusivi che competono all’autore (Art. 13-18 L.D.A.) può essere giustificata solo ed esclusivamente da fini di critica, di insegnamento o di discussione, ma in nessun caso l’impiego di brani o di parti dell’opera stessa si potrà porre in concorrenza con i diritti spettanti al titolare dell’opera (in tal senso si è pronunciata più volte la giurisprudenza cfr. Cass. Civ. Sent. 412/1992 e Cass. Civ. Sent. 2089/1997). In altre parole, se il titolare dei diritti su una determinata opera subisce una diminuzione nel valore della sua creazione per effetto dell’uso di quel brano, egli potrà opporsi al suo sfruttamento anche nel limitato contesto dell’eccezione prevista dall’art. 70 Legge Autore.

Le disposizioni comunitarie

Di conseguenza, le difficoltà poste dalle norme vigenti alla reale possibilità di fare uso commerciale di brani o di brevi estratti di opere dell’ingegno sono ben presenti al legislatore comunitario che, nel corso degli anni, ha stabilito regole volte ad ampliare il diritto di accesso ai contenuti audiovisivi ogniqualvolta l’interesse pubblico alla loro conoscenza travalicasse i limiti imposti dai diritti di privativa. L’utilizzazione libera di “brevi estratti a fini di cronaca” è stata infatti prevista dalla Direttiva 2010/13/CE del 10 marzo 2010 (c.d. Direttiva AVMS – Audio Video Media Services), il cui art. 15 regola il diritto di cronaca attraverso i media audiovisivi in maniera uniforme per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, consentendo ai titolari delle piattaforme televisive, ai fini della realizzazione dei loro notiziari, di utilizzare brevi estratti accedendo al segnale dell’emittente detentrice dei diritti esclusivi che provveda alla diffusione di eventi di grande interesse pubblico. Tali disposizioni sono entrate a fare parte del nostro ordinamento attraverso il D. Lgsl. 44/2010 che ha dato attuazione alla Direttiva 2007/65/CE (ora 2010/13/CE) relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività dei servizi media audiovisivi.

Seppure le norme sopra ricordate abbiano avuto un’applicazione estensiva nel tempo da parte delle autorità deputate ad implementarle (in Italia l’AGCOM che ha emesso apposite delibere in materia), l’ostacolo più evidente all’utilizzazione di brevi estratti delle opere protette è rappresentato dalla necessità di ottenere di volta in volta il consenso dei titolari dei diritti nei casi in cui lo scopo di chi intenda avvalersene sia precipuamente commerciale e, quindi non limitato alla cronaca o a utilizzazioni didattiche o scientifiche.

La disciplina delle licenze estese

Nel tentativo di superare alcuni dei vincoli sopra evidenziati è stata di recente introdotta, a livello comunitario europeo, la disciplina delle cosiddette “licenze estese” aventi ad oggetto il trasferimento dei diritti su talune opere amministrate dagli organismi di gestione collettiva deputati a tale fine. La materia è stata quindi affrontata, seppure in maniera non proprio esaustiva e organica, dalla Direttiva 2019/790/UE, nota come Direttiva DSM o Digital Single Market. Le vicende che hanno toccato nella sua interezza l’approvazione di questo provvedimento dell’Unione Europea sono note e hanno comprensibilmente segnato il tenore di molte delle sue disposizioni, stanti le forti pressioni lobbistiche che hanno contraddistinto la discussione del testo e l’inerente tormentata votazione finale.

Di tal guisa, sono stati inseriti nel testo approvato dal Consiglio e dal Parlamento dell’Unione, gli artt. 8 e 12 i quali, dando per la prima volta accoglienza in seno all’ordinamento comunitario europeo al concetto giuridico delle “licenze collettive estese”, prevedono, da una parte, (l’art. 8) un ampliamento delle utilizzazioni delle opere fuori commercio e di altri materiali protetti da parte degli istituti di tutela del patrimonio culturale e, dall’altro, (l’art. 12) – di nostro precipuo interesse in questa sede -, la concessione di licenze collettive con effetto esteso di certe opere di cui gli organismi di gestione collettiva dei diritti possono disporre a favore di terzi concessionari.

In particolare – e qui sta la portata innovativa della norma – tali licenze vanno a includere anche diritti di cui i relativi titolari non hanno concesso il mandato al trasferimento a terzi alle collecting societies che ne dispongono. In sostanza, viene concessa, agli organismi di gestione collettiva dei diritti contemplati dalla Direttiva 2014/26/UE, la facoltà di disporre anche di taluni diritti di cui il titolare non ha inteso concedere la rappresentanza alla mandataria.

Va peraltro precisato che il secondo comma dell’art. 12 della Direttiva DSM prevede che il meccanismo di licenza sia limitato a settori prestabiliti di sfruttamento e che tale sistema entri in gioco quando l’ottenimento delle autorizzazioni su base individuale risulti oneroso o poco pratico per i licenziatari, fermo restando il dovuto rispetto dei diritti spettanti ai rispettivi titolari.

La ratio dell’introduzione delle “licenze estese” che – come poc’anzi detto – si pongono al di fuori dell’ambito ristretto del mandato ricevuto dalle collecting societies si desume dai recital della Direttiva DSM (consideranda da 45 a 50), il cui tenore letterale assume come probabile la capacità degli organismi di gestione di offrire schemi flessibili per le licenze in ambito digitale, garantendo ai titolari dei diritti, che concedono tali licenze su “base volontaria”, quindi senza che si configurino per essi vincoli obbligatori, la facoltà di opporsi a eventuali licenze ad essi non gradite, con il diritto di percepire una remunerazione non discriminatoria a fronte dei diritti effettivamente concessi in licenza estesa.

Circa l’obbligo degli Stati Membri della UE di dare implementazione alla norma di cui all’art. 12 della Direttiva DSM, va osservato che, seppure esso apparentemente non risulti loro direttamente imposto in base al provvedimento comunitario, sulla scorta dei principi generali dell’ordinamento invece si desume che tale disposizione dovrà essere interpretata in maniera uniforme all’interno di tutti gli Stati dell’Unione Europea, tanto che il considerando n. 46) della Direttiva DSM stabilisce che i meccanismi di licenza estesa debbano essere introdotti conformemente alle “tradizioni, prassi o consuetudini nazionali” e che gli stessi dovranno essere attuati da ciascuno Stato Membro nel rispetto degli obblighi derivanti dai trattati internazionali e delle norme vigenti nell’ambito comunitario. In base a tali linee direttrici possiamo desumere che le licenze estese debbano conformarsi al three-step-test il cui precetto, mutuato dall’art. 9.2 della Convenzione dell’Unione di Berna, riappare, alleggerito, al secondo comma dell’art. 12, ove si fa esplicito riferimento al fatto che i meccanismi di cessione dei diritti debbano tutelare i legittimi interessi dei loro titolari.

Conclusioni

Le riflessioni cui ci conduce questa novella riguardano in primo luogo la tempistica e le condizioni per l’introduzione di meccanismi di licenza estesa nel nostro Paese. Per quanto riguarda il settore audiovisivo, non esistendo al momento organismi di gestione collettiva che abbiano la rappresentanza dei diritti detenuti dalle imprese produttrici e distributrici di contenuti audiovisivi, quantomeno a livello sovranazionale, sarà necessario per il nostro Parlamento ripensare e sviluppare tale ambito, attraverso un intenso lavoro di studio delle realtà di altre nazioni che già utilizzano meccanismi assimilabili a quelli contemplati dall’art. 12. In secondo luogo, sarà imprescindibile identificare le tipologie di contenuti suscettibili di licenze che risultino utili e in nessun caso arbitrarie o dannose ai soggetti che hanno investito per la creazione delle opere dell’ingegno che saranno incluse nell’ambito delle norme interne di implementazione di queste disposizioni della Direttiva DSM.

Da ultimo, per l’applicazione delle licenze, si dovrà fare affidamento su gestori dei diritti che possano effettivamente e flessibilmente attuare, con il consenso degli aventi diritto, meccanismi di trasferimento dei diritti rapidi e remunerativi per tutti i soggetti della filiera. E non sarà un compito facile.

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  1. Art. 10.2 della Convenzione dell’Unione di Berna e Art. 5 della Direttiva 2001/29/CE

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