La potente tecnologia Content ID è stata creata da Google per aiutare i legittimi proprietari dei diritti di autore a monetizzare correttamente i contenuti diffusi su YouTube, ma sono molti i dubbi e i paradossi di questo sistema, che non sembra proprio improntato alla massima equità.
Proviamo a capire perché.
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Contenuti online e diritti d’autore
La quantità di contenuti immessi in rete ogni giorno è impressionante, soprattutto sui social e sulle piattaforme di streaming ad accesso libero e gratuito. Se questo è vero per tutti i social lo è ancora di più sulle piattaforme che accettano e distribuiscono contenuti audio e video. Stime recenti dicono che ogni minuto su YouTube vengono caricati dagli utenti 500 ore di contenuti video, bastano pochi minuti per trovarsi inondati da una serie infinita di musiche, audio, video e tutto ciò che può essere soggetto a copyright.
Tutto libero e gratuito per gli utenti che sono ben felici di ascoltare gratis ed in ogni istante i propri brani musicali o video preferiti, soprattutto le hit del momento e parti di film usciti da poco nelle sale. Se gli utenti finali sono felici lo sono molto meno i proprietari dei diritti d’autore, i content creator, che vedono sfumare la possibilità di monetizzare la propria opera intellettuale e, con essi, le maggiori case produttrici che vivono di diritti di autore.
Certo inseguire su internet i propri diritti d’autore diffusi su piattaforme libere è praticamente impossibile, sia per la moltitudine di esse, sia per l’imprevedibilità della diffusione e pubblicazione di contenuti audio-video, sia per la forma con cui il contenuto viene diffuso, ad esempio di un brano possiamo diffondere la traccia audio ma anche la ripresa fatta dal telefonino durante un concerto. La traccia audio-video è più facile proteggerla con le tecnologie digitali, la diffusione di una registrazione è molto più difficile da intercettare e da proteggere.
Cos’è ContentID
Per questo YouTube ha creato una potente tecnologia, Content ID, che aiuta i legittimi proprietari dei diritti di autore a monetizzare correttamente. Content ID in pratica fa la scansione di tutti i contenuti audio e video caricati e aggiunge ad essi un “fingerprint” digitale attribuendo ai legittimi content creator il brano audio-video e di conseguenza i potenziali ricavi. Come tutte le tecnologie, non è infallibile ed è pur sempre controllata Google-YouTube e, soprattutto, commette degli errori che vanno a discapito spesso di chi pubblicizza il proprio lavoro e non commette abusi.
È il caso di Rob Jones, owner del canale YouTube Guitar Manifesto, che costruisce e ripara chitarre, ha 20.000 iscritti al suo canale e quando ne ha provata una con un giro di basso di una famosa canzone dei Nirvana della durata di meno di 10 secondi ha visto crollare a picco i ricavi di alcuni suoi video poiché Content ID ha dirottato tutto sui più famosi musicisti. Ora è chiaro che il vero contenuto del canale di Rob Jones sono le sue chitarre e non le canzoni, è anche chiaro che Jones non è riuscito in alcun modo a ribaltare la situazione a suo favore e, come lui, ci sono tanti altri content creator insoddisfatti di come Content ID lavora citandoli per copyright infringments.
Nel 2021 Content ID ha processato oltre 1,5 miliardi di istanze di copyright infringments ridistribuendo 2 miliardi di dollari, generando sicuramente una nuova fonte di ricavi per i content creator, ma anche generando opportunità di business per società che si sono specializzate nel recuperare i diritti di autore su internet in particolare sfruttando la tecnologia Content ID.
Gli errori di ContentID
E quando ci sono somme in gioco così importanti l’interesse delle major musicali e dei grandi marchi o autori più importanti diventa prioritario rispetto ai piccoli autori presenti in rete.
Il caso di Maria Schneider
Inoltre, recentemente, Content ID ha fatto una serie di errori che hanno fatto scattare le reazioni di due gruppi distinti di content creator: quelli come Rob Jones che di fatto creano contenuti diversi ma che vedono ridursi le attribuzioni e quelli come Maria Schneider che ha suonato con i migliori musicisti, ha vinto 7 Grammy Award, che ha chiesto 2 volte di entrare nel programma del Content ID ma non è mai stata accettata.
Questo perché Content ID accetta al massimo 9.000 content creators e, ovviamente, dà priorità a quelli più famosi, importanti e facoltosi, quindi una piccola musicista come Maria Schneider per quanto famosa e talentuosa, ma di nicchia, non solo vede sfumare i suoi ricavi dall’uso improprio dei suoi diritti d’autore, ma non riesce neanche a vendere un solo brano a pagamento su web perché i suoi pezzi si trovano gratis su YouTube e altre piattaforme di streaming, e come lei tanti altri più o meno famosi.
Il paradosso della NASA
YouTube si difende dicendo che Content ID segue soprattutto le canzoni, i video e i film di più successo dell’ultimo periodo essendo impossibile fare la scansione di tutti i contenuti e dando per scontato che le hits del momento siano quelle dove si concentrano le principali violazioni dei diritti di autore. Una posizione non sempre condivisibile perché, appunto, crea discriminazione tra autore ed autore e non garantisce in maniera equa tutti gli autori soprattutto quando riduce i ricavi di uno meno famoso per darli a quelli più famosi o, addirittura chiede alla NASA di pagare ad un famoso canale di news i diritti di autore per un video diffuso dalla NASA stessa di una missione della NASA che il canale di news aveva caricato su YouTube prima della NASA stessa, un paradosso che ha fatto clamore per l’ente coinvolto – la NASA – ma che fa emergere tanti altri paradossi simili avvenuti ad autori minori.
Follow the money
Per questi motivi Maria Schneider si è fatta promotrice di una class action contro YouTube e Content ID, affinché venga dato libero accesso alla tecnologia soprattutto agli autori minori che già faticano a vendere i propri contenuti e che vedono in tecnologie come Content ID uno strumento per ottenere il giusto riconoscimento del proprio lavoro e valore. La Schneider in realtà con questa azione vuole evidenziare anche le difficoltà in cui il settore dei diritti di autore si trova con l’avvento delle tecnologie digitali e del tutto gratis per tutti, difficoltà che vivono soprattutto gli autori di arti più tradizionali e contenuti che diventano digitali ma che danno il massimo della loro espressione dal vivo, come un concerto di musica jazz, e dove l’estro dell’autore fa la differenza di volta in volta.
Analizzando il fenomeno si capisce che il vero driver sono i miliardi di dollari che girano su piattaforme come YouTube, non i 2 miliardi ridistribuiti che sono una piccola parte, ma le decine di miliardi che vengono pagati per la pubblicità. Chi paga tanto vuole avere il massimo della visibilità durante la visione e l’ascolto dell’hit del momento, vuole milioni di click e milioni di secondi di visualizzazione, vuole essere abbinato ad autori di successo ed all’hit del momento che è sempre trendy muovendo masse di ascoltatori ben superiore alla musica di nicchia di Maria Schneider.
Conclusioni
Content ID sembra più creato per assicurare ai grandi contribuenti di click la fetta più grossa delle distribuzioni di danaro che arriva dai flussi pubblicitari che per dare equità alla community di autori anche se bisogna riconoscere a Google e YouTube il merito di aver creato una tecnologia che, opportunamente adattata, può diventare un vero game changer nella gestione dei diritti di autore oggi, così come in futuro nel metaverso dove i contenuti saranno moltiplicati all’infinito rispetto ad oggi e dove, dovendo rappresentare la realtà in un mondo virtuale, necessariamente partiranno da opere reali che un content creator ha realizzato.