Le nuove misure approntate negli ultimi tempi dal Governo per affiancare le imprese nel percorso di brevettabilità e valorizzazione dei loro investimenti tecnologici, sono un primo importante passo nella direzione giusta. Finora, infatti, poco si era fatto per affrontare il complesso tema delle opere protette e della proprietà industriale nell’era della trasformazione digitale.
Voucher 3I del Mise
La prima novità riguarda lo stanziamento di risorse finanziarie pari a 6,5 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2019-2021 col decreto attuativo sul “Voucher 3I – Investire In Innovazione“, previsto nel Decreto Crescita.
Pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta ufficiale, il decreto fissa i servizi che potranno essere assimilati dalle realtà interessate e gli importi concessi tramite il Voucher 3I:
- 6.000 euro per i servizi di consulenza relativi al deposito all’estero della domanda nazionale di brevetto.
- Il Voucher 3I può essere fornito esclusivamente per l’acquisizione di servizi prestati dai consulenti in proprietà industriale, iscritti all’Ordine dei consulenti in proprietà industriale, e da avvocati iscritti al Consiglio nazionale forense.
- 4.000 euro per i servizi di consulenza relativi alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’UIBM;
- 2.000 euro per i servizi di consulenza relativi alle ricerche di anteriorità preventive e alla verifica della brevettabilità dell’invenzione;
Le adesioni al decreto verranno amministrate da Invitalia mentre le scadenze, e le modalità operative, per la presentazione delle stesse saranno definite con un prossimo provvedimento ministeriale.
Decreto attuativo del Crescita su brevetti
Reso pubblico in Gazzetta Ufficiale anche un altro decreto attuativo del Decreto Crescita che apre le porte ad un nuovo strumento nel percorso di brevettabilità, permettendo a chi abbia avanzato una richiesta internazionale di brevetto di servirsi della procedura di esame e concessione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi.
Queste misure si sono rese necessarie anche alla luce del fatto che non sempre è facile per l’autore di un software, il creatore di una banca dati e di conseguenza per un’impresa, grande o piccola che sia, trovare una giusta tutela relativa alla proprietà intellettuale derivante dalla propria opera dell’ingegno e quindi dalla creazione di un nuovo algoritmo, il core di un software, o dalla creazione dei giacimenti di dati.
E questo anche perché nel tempo la proprietà intellettuale e la sua disciplina hanno subito un notevole cambiamento: la società odierna deve far fronte ai servizi che hanno un contenuto tecnologico elevatissimo e tali servizi incidono in maniera tangibile sulla realtà di tutti i giorni, imprenditoriale o dell’industria.
Le aziende, pertanto, dovranno essere pronte a fronteggiare nuove problematiche come le computer implementary inventions, così come gli autori di opere dell’ingegno, si pensi a musicisti o cinematografici, dovranno fronteggiare le nuove violazioni derivanti dal campo dello Iot e recanti nuovi diritti in capo a questi ultimi. Già da diversi anni nasce l’esigenza di una maggiore tutela su quelli che sono i diritti tech.
In Italia, per fare un esempio, la tutela giuridica del software è ancorata alla legge sul diritto d’autore piuttosto che al codice della proprietà industriale.
Il software ad esempio più che un diritto in sé è un bene giuridico su cui insiste un diritto che è qualificato come diritto d’autore in base alla legge 633 del 1941.
Dalla creazione alla protezione della banca dati
Per proprietà intellettuale si intendono tutti i beni che possono essere oggetto di diritti, in base alla legge sul diritto d’autore, al codice della proprietà industriale, ed alle leggi speciali che lo hanno modificato nel tempo, così come l’implementazione della direttiva “Trade secrets”, la quale ha comportato una modifica rilevante all’art. 98 del codice della proprietà industriale, proponendo per la prima volta una definizione dal punto di vista normativo di segreto commerciale, industriale o know how, e le relative estensioni ai campi internazionali.
È bene precisare che nessun istituto della disciplina della proprietà intellettuale protegge i dati in quanto tali.
Nell’innovazione e nell’industria computazionale ci sono attività di raccolta, studio, analisi e computazione dei dati che producono un risultato di dati, che bisogna proteggere in una banca dati.
Il primo step, al fine della creazione di una banca dati, consta nel raccogliere dati, nell’avere un giacimento che poi sarà oggetto di studio, analisi e protezione in una fase successiva delle proprie attività computazionali.
La raccolta dei dati è un’attività estranea alla disciplina della proprietà intellettuale, salvo che questo non possa generare e far nascere una banca dati.
Immaginiamo Facebook, o un altro service provider, che raccoglie i dati sulle abitudini e i consumi della propria utenza.
Questo soggetto crea una banca dati, un luogo fisico in cui raccoglie una serie di informazioni omogenee o dette omogenee, che può essere protetta da un istituto della proprietà intellettuale, in particolare modo dall’istituto del diritto d’autore, ma ci sono dei limiti.
Diritto d’autore: limiti e possibili soluzioni
Quindi il primo istituto da considerare, al fine di tutelare le banche dati, è il diritto d’autore classico, che ha anche una durata molto ampia, perdura durante tutta la vita dell’autore ed altri settant’anni dopo la sua morte.
Il diritto d’autore presuppone un requisito affinché questa protezione avvenga a 360 gradi, che impedisce qualunque uso della risorsa protetta, ovvero che l’opera abbia carattere creativo.
Applicato alle banche dati significa scegliere un livello sufficientemente elevato di creatività nella scelta o nell’organizzazione dei dati.
Spesso le raccolte dati difettano dei requisiti di creatività e, non effettuando una selezione di scelta, tutti i dati possibili vengono raccolti, lasciando al diritto d’autore una tutela difficilmente applicabile.
Gli investimenti del costitutore
Con la Direttiva 96/9/CE, il legislatore europeo nell’ambito della tutela giuridica delle banche dati, ha introdotto un diritto connesso, sui generis, che tutela gli investimenti sostenuti dal costitutore della banca dati per realizzarla.
Definisce la banca dati nel seguente modo:
“una raccolta di opere dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a metodi elettronici o altro modo”
Viene attribuito a questo soggetto, cioè a chi investe, un diritto esclusivo di impedire l’estrazione e l’utilizzo della totalità o di una parte sostanziale della banca dati, presentando una tutela di durata di quindici anni.
Nel 2011 la Corte di Giustizia introduce un altro principio, una sorta di distinzione tra investimento per la creazione del dato, ed investimento per la raccolta e la creazione di una banca dati, ritenendo irrilevante, non meritevole di tutela, l’investimento che viene sostenuto per la creazione di banche dati. Da qui la non proteggibilità di tutte quelle raccolte realizzate da soggetti che sostengono investimenti solo nella creazione del dato, e non nella creazione di una banca autonoma.
Una banca dati viene protetta se ha alle spalle un investimento per la creazione di una banca dati autonoma, che per essere definita tale, deve essere affiancata da software analitici che studiano e analizzano i dati al suo interno.
Software e diritto d’autore
Deputati a queste attività di analisi, e protagonisti della banca dati, sono perciò dei software ad hoc, detti software computazionali o di data analytics.
Sono quei programmi che, grazie agli algoritmi efficienti, riescono a dare risultati accurati sulle info contenute in una banca dati, ad individuare la correlazione tra i vari dati, ed a rispondere agli interrogativi ed ai requisiti degli autori che utilizzano questi giacimenti per studiare determinati fenomeni.
Il software a sua volta è uno strumento non noto alla disciplina della proprietà intellettuale che può ricevere un duplice livello di tutela.
Il primo livello è la tutela del diritto d’autore, una tutela utile però limitata alla copia pedissequa del software.
Quando esiste una copia di un software destinata all’analisi computazionale dei dati ci sarà una contraffazione del diritto d’autore.
Il core del software è il suo algoritmo (es quello che ha consentito a Google di essere uno dei motori di ricerca più utilizzato), ciò che lo rende efficiente è il suo algoritmo, ed a questo “secondo” livello interviene la tutela del brevetto.
Il software può quindi avere una duplice tutela, viene protetto dal diritto d’autore, il quale difende la forma espressiva, il modo in cui il software viene scritto, e dal brevetto che protegge il suo algoritmo.
Tutela del software iter storico tra Europa e United states: le computer implementary invention
In Europa c’è sempre stata una forte ostilità alla brevettazione dei programmi.
Difatti con la convenzione di Monaco, stilata il 5 Ottobre 1973 ed andata in vigore nel 1977, meglio conosciuta come Convention in the Grant Of European Patents, si stabilisce un principio secondo cui vi sono una serie di entità non brevettabili:
“gli schemi, le regole, i metodi per svolgere attività mentali, per fare giochi commerciali, e programmi per computer”.
Da questa convenzione sono derivate tutte le discipline nazionali che, negli anni 80, hanno recepito lo stesso principio, e che non discutono sulla brevettabilità del software.
Dagli anni Novanta in poi lo scenario inizia ad aprirsi con la nascita di svariati programmi, con la conclusione che il software può essere brevettato, in particolare può essere brevettato l’algoritmo se viene rivendicata una utilità tecnica dell’algoritmo.
La brevettazione dei software e dei business method è sempre stata guardata con grande favore, anche dalla giurisprudenza statunitense.
Nel 2010, e nel 2016 dopo, sono intervenute due decisioni, su cui ha insistito anche l’Europa, le quali affermano che il software, per essere tutelabile, deve necessariamente rispettare quelli che sono i requisiti richiesti per qualsiasi invenzione:
- Deve possedere carattere tecnico
- Deve possedere la novità
Perciò l’algoritmo in quanto tale non viene brevettato, ma se lo stesso serve a far funzionare meglio un apparato industriale allora può essere brevettato.
Sono quindi possibili i brevetti sulle invenzioni basate su un software, le computer implementary inventions
Il software risulta proteggibile laddove contribuisca alla soluzione di un problema tecnico. (caso Alice Corp.).
La tutela del segreto: lo strumento più adatto
Resta da analizzare la disciplina del segreto, la quale è stata oggetto di un intervento recente del legislatore comunitario.
Recepita nel nostro paese nel 2018, ben nota nel diritto italiano, codificata prima nella disciplina della concorrenza sleale, poi nella legge delle invenzioni, poi nel codice della proprietà industriale.
Sia i giacimenti computazionali che i software, che vengono utilizzati per lo studio di questi dati, siano i risultati degli studi dei dati ben si prestano ad essere protetti dal segreto.
I requisiti affinché un giacimento computazionale, relativo ad un software di data analytics o risultati degli studi, siano protetti sono:
- siano difficilmente accessibili;
- abbiano un valore economico nella loro segretezza;
- siano sottoposte a misura di tutela del segreto;
A differenza del brevetto la tutela del segreto tutela tutto ciò che è relativamente non noto.
Lo stesso algoritmo che sta alla base del software si presta ad essere tutelato dal segreto, anche laddove non possa esser protetto dal brevetto, così come gli stressi risultati dati dalla combinazione dei dati di più software si prestano ad essere tutelati dalla disciplina del segreto.
La tutela del segreto è molto forte perché il titolare del segreto può agire nei confronti di chiunque parlando di proprietà intellettuale.
Con la direttiva “Trade secrets”, Ue 2016/943 si è cercato di “armonizzazione le legislazioni nazionali applicabili alle informazioni riservate, a fronte della precedente frammentazione dovuta alla presenza nei singoli stati membri di modelli di protezione del segreto difformi tra loro”. Il legislatore europeo ha dunque ritenuto necessario ridurre le distanze tra i diversi modelli nazionali, marcando una definizione comune di segreto commerciale e degli standard minimi di tutela condivisi a livello europeo.
Diritto d’autore: nuove forme di diritti esclusivi, nuove forme di violazioni e di responsabilità
Il diritto d’autore come abbiamo visto muta notevolmente in questi anni, cambiano i diritti, cambiano le forme di remunerazione dei titolari legate alle nuove forme di tutela, così come nascono nuove forme di diritti esclusivi, nuove forme di violazioni e di responsabilità.
I profondi cambiamenti hanno interessato tutto fuorché le opere protette.
Con la digitalizzazione ciò che si è davvero trasformato sono i diritti, ovvero si è assistito a una forte dematerializzazione dei principali canali di sfruttamento delle opere dall’interno, e ad una perdita di importanza di alcuni canali distributivi.
L’esempio classico è quello delle opere cinematografiche o del settore musicale: le revenues dei discografici fino a qualche anno fa erano basate sullo sfruttamento di elementi materiali, come cd, ma dalla nascita dei nuovi fornitori online, i discografici guadagnano solo da loro.
Diventa quindi lo sfruttamento immateriale l’istituto su cui poi si concentrano tutte le principali forme di violazioni, e di interesse della tutela della dottrina.
In particolare, c’è interesse su due tipologie di diritto:
- Il diritto alla riproduzione;
- il diritto di comunicazione al pubblico.
Il diritto di riproduzione si è evoluto nel tempo, e da un diritto di riproduzione inteso come diritto strumentale, con lo sfruttamento e circolazione del bene fisico, come il disco, è diventato oggi un diritto che consente al titolare di controllare ogni possibile fruizione del bene.
Ad esempio, se si acquista da YouTube il servizio a pagamento, si può fruire di quell’opera, si può acquistare un film disponibile nelle 48 ore successive dal primo download, e quindi vi è controllo della fruizione dell’opera, una riproduzione controllata e dimezzata, dopodiché interferisce il diritto di riproduzione e blocca ogni visione del film.
La comunicazione al pubblico è fortemente cresciuta ed evoluta.
Era intesa originariamente come comunicazione al pubblico presente, evoluta poi nella comunicazione al pubblico distante, con le radio e le tv, per poi sfociare nella comunicazione al pubblico interattiva, dove è l’utente che sceglie i contenuti.
La distribuzione ha per oggetto un supporto materiale, fisico, mentre la comunicazione al pubblico ha per oggetto la comunicazione della forma immateriale dell’opera.
Alcune di queste forme immateriali si sono avvicinate alla fruizione di forme materiali, di sfruttamento dell’opera, che lascia un divario accesso tra il diritto di vendita e di riproduzione.
Divario di impatto importante se si fa riferimento al principio dell’esaurimento, il quale cerca di mediare tra due interessi tutelati nella Comunità europea e in genere contrapposti:
- L’esclusività dei diritti di proprietà industriale e intellettuale;
- la libera circolazione dei beni e dei servizi
Si è sentita la necessità di coniugare gli equilibri di alcuni soggetti, gli autori e gli artisti da un lato, e le imprese culturali dall’altro.
Per equilibrare le posizioni, in Italia abbiamo un istituto particolare che prevede ad esempio che, per le opere cinematografiche, sia l’autore che l’artista debbano essere remunerati per ogni sfruttamento della propria opera da parte di chi la utilizza.
La direttiva copyright in Europa si occupa per la prima volta di questo tema creando delle regole minime di armonizzazione:
- quando l’autore o l’artista cede i propri diritti ad un terzo, gli Stati membri devono garantire che questo soggetto ottenga una remunerazione adeguata e proporzionata;
- deve esistere un flusso continuo di informazioni dall’utilizzatore all’artista, affinché l’artista o l’autore possano conoscere quali siano i canali di sfruttamento delle proprie opere, quali sono stati, quali sono le revenues, quali siano i ricavi.
Se risulta che la remunerazione precedentemente garantita sia sproporzionatamente bassa rispetto a tutti i ricavi derivanti dallo sfruttamento dell’opera, all’autore viene riconosciuto un diritto di riaggiustamento delle economics contrattuali.
C’è poi il diritto di revoca della cessione o della licenza che l’autore o artista abbia prestato qualora l’opera non venga sfruttata.
Nuove violazioni online
Da tutto ciò nascono nuove forme di violazioni online.
Le violazioni tradizionali, da diversi anni, si configuravano come la riproduzione di cassette e la loro distribuzione, per poi passare a Napster, dove l’utente commetteva le violazioni, approdando alle nuove forme di violazioni che, in alcuni casi, vengono commesse dagli utenti, e in altri casi da vere e proprie organizzazioni criminali, che sfruttano contenuti protetti da proprietà altrui.
Contro queste forme di violazioni il legislatore comunitario ha introdotto una serie di strumenti per tutelare i titolari di diritto consentendo loro di agire contro determinati soggetti.
Sono regole molto forti, la più importanti delle quali è l’inibitoria, la possibilità di bloccare in attività illecita quando essa è in corso e può essere urgente o definitiva.
L’inibitoria nel mondo online non viene concessa nei confronti dell’autore della violazione, ma nei confronti degli intermediari, come ad esempio il caso delle iptv illegali.
Nelle nuove forme di pirateria online l’intermediario e colui che materialmente consente ad una collettività di usufruire di contenuti online illegalmente.
L’ inibitoria deve diventare sempre più dinamica e pronta a bloccare la pirateria, cioè un’inibitoria che consenta al titolare dei diritti di chiedere non solo la cancellazione del contenuto ma anche di evitare che lo stesso venga ricaricato.
Cosa devono fare i fornitori di servizi social?
Altro soggetto sempre più responsabile degli illeciti sono i fornitori di servizi di hosting, cioè che ospitano contenuti illeciti.
Altri soggetti ancora sono i fornitori di servizi di social network, quindi di condivisioni di informazioni, che ospitano contenuti caricati dagli utenti alle volte delle quali sono illeciti.
Per quanto riguarda la responsabilità di questi soggetti, in alcuni casi rispondono anche dei danni con risarcimento.
Relativamente alla responsabilità bisogna distinguere tra i fornitori di servizi hosting attivi e passivi.
Perciò chi offre servizi di condivisione online deve acquisire i diritti sulla totalità delle opere presenti, future, passate e possibili che gli utenti caricano all’interno dei propri servizi, quali servizi di riproduzione e comunicazione al pubblico.
Scattano delle regole molto rigorose per evitare di andare in contro a grosse responsabilità.
- In prima fase il fornitore dei servizi deve fare i massimi sforzi per acquisire i diritti, e laddove non l’abbia fatto deve dimostrare di aver compiuto i massimi sforzi per acquisirli, unico requisito di esenzione di responsabilità;
- in seconda fase deve dimostrare di aver compiuto i massimi sforzi affinché l’opera non sia caricata.
Questo è un primo step che presuppone la collaborazione con il titolare dei diritti.
Presupposto che la fase di collaborazione non ci sia stata tra titolare del diritto e fornitore, si passa alla terza fase, ed una volta che gli sia stata comunicata dal titolare del diritto la produzione contraffatta, la deve tirare giù (take down).
Deve disabilitare l’accesso ma soprattutto deve impedire che l’opera venga ricaricata.
RenAIssance
In un mondo sempre più inclusivo l’intelligenza artificiale sta ponendo nuovamente l’uomo al centro dell’universo, ponendogli in capo nuovi diritti derivanti da profili immateriali, che direttamente vanno a tangere la sfera giuridica degli individui, persone fisiche o giuridiche.
Stiamo vivendo in un’era che possiamo definire di renAIssance, in cui l’Articial Intelligence ci pone al centro di nuovi studi giuridici, economici e culturali in completa rivoluzione per fronteggiare l’avanzamento tecnologico, e la nascita del Millenial capitalism, la rivincita dell’utente.