Chiusa la parentesi Trump, la cui amministrazione si muoveva in modo difficilmente comprensibile nei confronti di Big Tech e in generale delle norme a tutela della concorrenza, si è aperta la stagione del presidente Joe Biden, caratterizzata da alcune notevoli differenze.
La nuova amministrazione, infatti:
- si muove all’interno di una strategia di collaborazione con gli altri paesi democratici, in particolare con l’Unione Europea;
- intende dotare la comunità internazionale (via OCSE) di nuove regole sulla tassazione delle imprese multinazionali;
- accresce il potere della FTC, ossia della Commissione Federale che regola i mercati e sanziona i comportamenti anticoncorrenziali sia in termini di abuso di posizione dominante sia in termini di acquisizioni e fusioni.
La tattica dell’amministrazione precedente era lo scontro con accordo finale a favore dell’amministrazione, intesa come stretto gruppo di potere intorno al presidente Donald Trump. Spesso il risultato era solo di comunicazione, con esiti dannosi per l’economia americana e per la sua credibilità internazionale.
Antitrust, l’executive order di Biden e le regole europee per il digitale
Nella indeterminazione strategica di quelle politiche, sono maturate le iniziative internazionali di introduzione delle digital tax da parte di diversi paesi, compreso il nostro, ed è maturata una insofferenza diffusa nei confronti dei profitti delle Big Tech e del loro potere monopolistico in quanto gatekeeper.
In quel contesto va dato atto alla Commissione europea di non aver soffiato sul fuoco, ma anzi di aver cercato in tutti i modi di disattivare le fughe in avanti pericolose degli Stati membri sul tema della Digital Tax, cercando di perseguire un quadro di riferimento a livello continentale, il più possibile esente dai rilievi critici sollevati dalle norme nazionali, in particolare quelli relativi alla doppia tassazione, alla definizione ad hoc di base imponibile, alla disparità di trattamento del digitale rispetto ad altri settori.
Nella tradizionale posizione anglosassone che accomuna anche Australia e Regno Unito, la regolazione europea è sempre stata giudicata eccessiva, ma recentemente negli Stati Uniti assistiamo a una serie di iniziative legislative, non solo promosse dall’amministrazione federale, che richiamano i temi della regolazione europea. Con una differenza fondamentale: la regolazione europea, nel bene e nel male, ha ormai girato la boa del coordinamento con gli Stati membri, attribuendo alla Commissione una serie di poteri di intervento anche preventivo, che incidono soprattutto sulle attività di fusione e acquisizione, che sono fortemente sensibili alle condizioni istituzionali e politiche in cui vengono a maturare, mentre quella americana comincia ora ad affrontare questo tema, in una fase di crescente confusione che si sta instaurando tra norme statali e norme federali.
La linea strategica dell’amministrazione Biden
Ma sul piano strategico la linea di Biden è chiara: allentare la pressione delle iniziative disordinate sul piano fiscale per imporre la digital tax, riformare la tassazione delle multinazionali in quanto tali, e non in quanto piattaforme digitali, porre sotto sorveglianza sia il trattamento dei dati personali, sia i comportamenti anticoncorrenziali di Big Tech. È una strategia condivisibile, ma che deve tenere la barra dritta contro le iniziative locali, degli Stati all’interno, e degli altri paesi all’esterno. Per questo Biden ha bisogno di una cooperazione con la Commissione: può risultare un baluardo decisivo nei confronti dei rischi di populismo fiscale (digital tax) e di ipertrofia normativa tra paesi che si dotano ciascuno di un suo statuto digitale.
Antitrust Big tech, è cambiato tutto persino negli Usa: i nuovi scenari
Il revival antimonopolista
Ora la nuova amministrazione si confronta con una nuova stagione di potenziale collaborazione tra i due partiti nei confronti di Big Tech, lasciando che cresca uno spazio di proposizione legislativa che assomiglia, per diversi aspetti, a quello creato dalle iniziative politiche e normative della Commissione Europea guidate da Margrethe Vestager[1].
Nelle parole del primo firmatario Blumenthal (democratico-D) “questa legislazione abbatterà le barriere anticoncorrenziali nell’economia delle app…per anni Apple e Google hanno schiacciato i competitori tenendo all’oscuro i consumatori, infilandosi nelle tasche profitti giganteschi e non dovuti mentre facevano la parte delle piattaforme benevolenti di questi mercati multimiliardari”. Mentre la senatrice Blackburn (repubblicana-R) aggiungeva “i giganti Big Tech costringono gli utenti nei loro app-store, impedendo a sviluppatori e consumatori di usare app-store di terze parti che potrebbero minacciare i loro profitti”. Mentre Klobuchar concludeva: “la condotta anticoncorrenziale (di Apple e Google) è un affronto al mercato libero ed equo” [2].
I senatori americani ovviamente non citano le attività della Commissione europea in corso contro Apple e Google su questi temi, ma basta richiamare le parole di Vestager pronunciate in occasione dell’apertura dell’indagine contro Google per le discriminazioni nei confronti delle pubblicità dei concorrenti, per capire la vicinanza delle argomentazioni: “Siamo preoccupati che Google renda difficile ai concorrenti di competere con la loro offerta di pubblicità on-line…il piano di gioco delle essere alla pari per garantire una equa concorrenza importante sia per gli inserzionisti che devono raggiungere i consumatori tramite i siti degli editori, sia per gli editori per vendere i loro spazi agli inserzionisti”[3].
Ma, a livello federale non c’è solo questa iniziativa legislativa: altre affrontano diversi aspetti, che abbiamo incontrato in modo sistematico nelle iniziative legislative europee. A differenza dell’Europa, che non affronta il tema dello “spacchettamento”, ovvero della divisione dei colossi di internet in più società in competizione tra loro[4], diverse iniziative americane lo delineano come sbocco estremo di un processo di confronto sulle pratiche monopolistiche dei giganti del web..
Le ha annunciate Pramila Jayapal, vicepresidente del Sottocomitato Antitrust della Camera. “Da Amazon a Facebook a Google e ad Apple, i giganti tecnologici sono diventati troppo grandi e potenti per mettere le persone davanti ai profitti… Affermando il potere del Congresso, le nostre proposte di legge bipartisan frenano il comportamento anticoncorrenziale, impediscono preventivamente le pratiche monopolistiche e restituiscono ai mercati giustizia e concorrenza rendendo il campo di gioco piano, in modo che possa fiorire l’innovazione”.
Le nuove iniziative legislative contro Big Tech
- L’ Augmenting Compatibility and Competition by Enabling Service Switching (ACCESS) Act, costituisce il più recente riferimento normative in direzione della riduzione delle barriere erette da Big Tech a difesa dei propri pascoli esclusivi.
- L’ Ending Platform Monopolies Act, promossa dal repubblicano Lance Gooden, è l’iniziativa rivolta ad impedire che le compagnie Big Tech facciano leva sul controllo di diverse piattaforme per promuovere i propri servizi a danno dei competitori. Prevede un esplicito divieto a Big Tech di competere sulle proprie piattaforme a danno di terzi, aprendo la strada allo “spacchettamento” delle aziende.
- Il Platform Competition and Opportunity Act proibisce l’acquisizione di aziende che rappresentano minacce alla propria posizione di mercato o che rafforzano il potere di mercato delle piattaforme esistenti.
- L’American Innovation and Choice Online Act, proibisce la condotta discriminatoria delle piattaforme dominanti ai danni dei concorrenti attraverso i meccanismi del ranking e dell’autopreferenza nei servizi on line.
- Il Merger Filing Fee Modernization Act, fornisce risorse finanziarie al Dipartimento di Giustizia e alla Federal Trade Commission per condurre con maggiore aggressività il rispetto delle norme antitrust.
Conclusioni
Questa nuova ondata legislativa sui temi dell’antitrust conferma l’importanza di quella che è considerata una decisiva rivisitazione del classico tema antimonopolistico americano sviluppato all’inizio del secolo scorso dal giudice della Corte Suprema Louis Brandeis [5], quando prevaleva la preoccupazione sulla dimensione del potere delle grandi corporation, vista come minaccia alla capacità di autodeterminazione democratica delle comunità locali americane[6].
Poiché si tratta di proposte bipartisan, come ricordava la Jayapal, esse sono dotate di un elevato potenziale politico, potenziale necessario anche per rispondere alle iniziative giudiziarie di molti Stati, quindi proprio delle comunità locali, contro l’eccessivo potere delle piattaforme sia nei confronti dei consumatori, sia nei confronti dei competitori, in particolare delle start-up e delle PMI.
Ma non sfugge alla nostra attenzione, che queste iniziative hanno una certa asistematicità, che le rende un terreno di scontro giudiziario potenzialmente molto contrastato, certamente meno lineare di quello che si sta provando a costruire in Europa.
Note
- ) Senatori Richard Blumenthal (D), Marsha Blackburn (R), Klobuchar (R), Proposta di legge per promuovere la concorrenza ridurre il potere dei gatekeeper nell’economia delle app, aumentare le scelte, migliorare la qualità e ridurre i costi per i consumatori↑
- ) https://www.blumenthal.senate.gov/newsroom/press/release/blumenthal-blackburn-and-klobuchar-introduce-bipartisan-antitrust-legislation-to-promote-app-store-competition ↑
- ) https://www.verdict.co.uk/google-apple-antitrust/ ↑
- ) Eric Johansson, Congress introduces bills to break Big Tech chokehold , Verdict, 14th June 2021 (Last Updated June 14th, 2021 16:18)https://www.verdict.co.uk/congress-introduces-bills-to-break-big-tech-chokehold/ ↑
- ) Lina Khan, The New Brandeis Movement: America’s Antimonopoly Debate, Journal of European Competition Law & Practice. 9 (3): 131–132. ↑
- ) Jessica Wang, Neo-Brandeisianism and the New Deal: Adolf A. Berle, Jr., William O. Douglas, and the Problem of Corporate Finance in the 1930s, Seattle University Law Review, vol. 33, 4 2010. ↑