Messe insieme le cosiddette Big Five del mercato tecnologico mondiale – Apple, Microsoft, Alphabet-Google, Amazon e Meta-Facebook (in ordine decrescente di valore di mercato) – hanno visto il loro fatturato (Fig. 1) crescere anche nel 2022, portandosi a circa 1.500 miliardi di dollari: i tre quarti circa del PIL italiano dello stesso periodo.
Ma è stato l’anno peggiore che il settore tecnologico abbia vissuto a Wall Street dalla crisi finanziaria del 2008. Apple, Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta hanno perso complessivamente 3.900 miliardi di dollari di valore di mercato.
E alla chiusura delle Borse statunitensi di ieri, rafforzate anche dal sollievo degli investitori per le decisioni della Fed di rialzare i tassi di solo 0,25 punti (invece dei temuti 0,50) e dalla crescita del 23% in un giorno della capitalizzazione di Meta, esse presentavano – nonostante le continue e pesanti cadute dei mesi precedenti – un valore cumulato di 7.400 miliardi di dollari circa (un po’ meno del 40% del PIL statunitense e circa il 60% di quello cinese ai tassi di cambio correnti).
Questa premessa, se ce ne fosse bisogno, per far risaltare le posizioni che esse tuttora occupano nell’economia mondiale e il grande interesse che le presentazioni dei loro rapporti trimestrali destano, come termometro dell’andamento corrente e prospettico dell’economia e non solo del comparto tech.
I risultati di Microsoft e Facebook
Era stata Microsoft ad “aprire le danze” il 24 gennaio, destando forti preoccupazioni non tanto per i risultati (ancorché in calo tendenziale) dell’ultimo trimestre del 2022, quanto per gli scenari pessimistici sull’evoluzione della domanda nell’anno in corso. Seguita due giorni fa da Meta-Facebook, che ha letteralmente “entusiasmato” il mercato (+ 19% nell’after-hours trading dopo la presentazione del rapporto e + 23% alla chiusura ufficiale di ieri), per un duplice motivo:
- per i risultati, tutt’altro che brillanti in assoluto, ma che mostravano sia una ripresa dei suoi social dopo gli attacchi subiti soprattutto da TikTok sia una maggior capacità di profilazione per il suo digital advertising, attraverso il ricorso all’intelligenza artificiale, dopo che Apple – con il cambiamento della sua politica sulla privacy – le aveva sottratto dati preziosi;
- per le solenni dichiarazioni di Mark Zuckerberg che, aderendo alle spinte del mercato e alle richieste dei fondi attivisti, in primo luogo, Meta si sarebbe posta l’efficienza come primo obiettivo e che già si era mossa lungo questa strada, riducendo del 13% (11mila persone) i suoi addetti e le remunerazioni in generale, nonché contenendo gli investimenti in ricerca – molto consistenti e senza speranze di ritorni a breve – sul metaverso.
Le trimestrali di Apple, Google e Amazon
E alla chiusura delle Borse di ieri le presentazioni delle trimestrali di Apple, Alphabet-Google e Amazon: nessuna di esse entusiasmante, con diversi punti più negativi di quanto gli analisti si aspettassero, ma anche con qualche sorpresa positiva.
Sarà la reazione delle Borse di oggi che ci mostrerà la reazione più meditata dei mercati, dopo che le tre big hanno tutte presentato cali nell’after-hours trading, ma inferiori alle crescite verificatesi (anche per merito come detto della Fed) nel corso della giornata di ieri: Apple ha perso un po’ più del 4%, ma era salita del 5,4%; Alphabet-Google ha perso oltre il 5%, a fronte del +7,3%, con un andamento quasi analogo a quello di Amazon.
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Apple domina i titoli della stampa finanziaria
Apple, prima al mondo per capitalizzazione, è in testa ai titoli sia del Financial Times (“Apple posts first revenue fall in three and a half years”, Apple registra il primo calo delle entrate in tre anni e mezzo) sia di The Wall Street Journal (“Apple Sales Shrink as Pandemic Rally Ends for iPhone Maker, Other Tech Giants”, Le vendite di Apple si riducono mentre il rally pandemico finisce per l’iPhone Maker e altri giganti della tecnologia), mentre The New York Times (“Tech’s Biggest Companies Discover Austerity, to the Relief of Investors“, Le più grandi aziende tecnologiche scoprono l’austerità, con sollievo degli investitori) mette in rilievo la spinta al controllo dei costi, che ha portato come ben noto al licenziamento cumulativo di 51mila persone da parte delle big five, con l’unica eccezione di Apple.
Un fatto quest’ultimo sottolineato nel sottotitolo del Financial Times, che evidenzia anche come il primo calo delle vendite dell’iPhone dopo tre anni e mezzo sia attribuibile in larga misura alle disruptions nella supply chain in Cina causate dalla pandemia e alla conseguente ridotta disponibilità del prodotto di punta nel momento culmine degli acquisti, a fronte di risultati viceversa molto positivi nei servizi (Apple Store e streaming), ove Apple ha dichiarato che il numero di suoi dispositivi attivi nel mondo ha superato la soglia dei 2 miliardi.
Sul perché sia l’unica sinora fra le big five a non aver licenziato, credo che vada sottolineato come essa sia quella che ha aumentato meno (del solo 20 per cento) il numero degli addetti durante la pandemia e come essa stia lavorando di fino per ridurre gli addetti, soprattutto non riempiendo i posti che si rendono vacanti per pensionamenti e dimissioni (fino a che questo sarà possibile, come ha dichiarato Tim Cook). Con qualche ombra sulla possibilità di un veloce recupero, in un mercato che – se la crisi dovesse acuirsi – potrebbe essere meno propenso agli acquisti dei nuovi iPhone o spingere verso una riduzione dei loro prezzi.
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Le difficoltà di Google nel digital advertising
Più preoccupazione destano le difficoltà nel digital advertising che sta incontrando Google, difficoltà che, come il Financial Times mette in luce in un altro articolo – “Google’s advertising sales fall in sharper than expected slowdown: Results likely to intensify Wall Street’s scrutiny of parent Alphabet’s costs” (Le vendite pubblicitarie di Google diminuiscono con un rallentamento più netto del previsto – Risultati che probabilmente intensificheranno il controllo di Wall Street sui costi della casa madre Alphabet) – potrebbero spingere il mercato, e i fondi attivisti in particolare, a chiedere nuove chiusure fra quelle “scommesse” che Alphabet sta facendo da anni sui fronti più disparati. Particolare preoccupazione desta l’impatto che l’intelligenza artificiale (su cui peraltro Alphabet è tra i principali protagonisti) potrebbe avere sui motori di ricerca, potenziando la posizione sinora largamente minoritaria di Microsoft.
Amazon, rallenta la crescita dell’eCommerce e del cloud
Infine, Amazon, che – a differenza di Apple e Alphabet che continuano ad avere livelli di utile netto molto elevati (Apple aveva addirittura superato nell’anno fiscale 2022 la soglia dei 100 miliardi di dollari) – viaggia intorno alla parità, o leggermente sotto. “Amazon Posts 9% Quarterly Sales Growth Amid Layoffs, Cost Cutting: Company’s e-commerce services and cloud-computing business moderated their pace of growth” (Amazon registra una crescita delle vendite trimestrali del 9% tra licenziamenti e riduzione dei costi: i servizi di e-commerce dell’azienda e le attività di cloud computing hanno moderato il loro ritmo di crescita), dice The Wall Street Journal, evidenziando come l’ecommerce sia cresciuto meno che nel passato, ma più che nelle attese degli analisti; sottolineando le preoccupazioni per il rallentamento nel suo settore di punta dal punto di vista degli utili, il cloud computing ove è leader mondiale, dovute alla crescente attenzione ai costi di tutte le imprese dell’economia; indicando gli sforzi che Amazon stessa sta facendo – tagliando addetti, infrastrutture logistiche e business “non core” – per rientrare dagli eccessivi allargamenti fatti per rispondere alla domanda durante la pandemia.
Taglio di costi
Dopo i super investimenti del biennio covid, molte aziende tecnologiche hanno iniziato l’anno sostenendo una nuova e sconosciuta strategia aziendale: l’austerità.
Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta hanno annunciato piani di licenziamento per oltre 10.000 dipendenti.
Altre riduzioni di costi riguardano i famosi benefit aziendali della Silicon Valley e progetti troppo futuristici (ad eccezione del Metaverso, dove invece c’è ancora investimento nonostante l’assenza di ritorni). Mentre un boom durato 15 anni volge al termine, la contrazione dei profitti sta facendo ripensare ai dirigenti del settore tecnologico quelli che ritenevano strumenti importanti in una competizione a livello industriale per accaparrarsi i talenti tecnologici.
Giovedì Sundar Pichai, amministratore delegato di Alphabet, la società madre di Google, ha dichiarato di essere “impegnato a investire in modo responsabile, con grande disciplina”. Tim Cook, amministratore delegato di Apple, ha assicurato agli investitori che l’azienda sarebbe stata “riflessiva e deliberata”. Andy Jassy, amministratore delegato di Amazon, ha fatto la sua prima apparizione in una telefonata con gli analisti da quando è subentrato a Jeff Bezos circa 18 mesi fa e ha sottolineato quanto l’azienda abbia lavorato duramente per contenere quelli che sembravano essere costi in fuga.
Il messaggio si è basato sul tono che Mark Zuckerberg ha dato al settore mercoledì scorso, quando ha definito il 2023 “l’anno dell’efficienza”. Nel corso di una telefonata con gli analisti, in cui la parola “efficienza” è stata pronunciata più di 30 volte, Zuckerberg ha parlato di spendere meno per le infrastrutture, di eliminare i livelli intermedi di management e di eliminare i progetti in scadenza.
“Stiamo lavorando molto sui costi”, ha dichiarato anche Luca Maestri, direttore finanziario di Apple, la sola a non avere annunciato licenziamenti perché è anche la sola a non avere fatto super assunzioni nel biennio covid.
In conclusione
Un quadro complessivo negativo? Sfidante, preferirei dire, ancor più se si pensa ai rischi geo-politici e regolamentari che esse dovranno affrontare sempre più nel prossimo futuro. E forse anche quelli regolatori che vengono dagli Usa e dall’Europa, anche se forse gli ultimi risultati e i licenziamenti ridurranno questa pressione.
Mercoledì un giudice federale ha respinto la richiesta della Federal Trade Commission di impedire a Meta di acquistare una start-up di realtà virtuale. L’anno scorso, i lobbisti di Washington hanno ostacolato efficacemente le proposte di legge del Congresso che miravano ad aprire la concorrenza sugli app store e a impedire alle aziende tecnologiche di privilegiare i propri prodotti sulle loro piattaforme.
“Una parte della pressione è venuta meno perché queste aziende sono state colpite così duramente e hanno dovuto licenziare così tante persone”, ha dichiarato Bob O’Donnell, presidente di Technalysis Research, una società specializzata in ricerche tecnologiche. “Ci si rende conto che, dopo tutto, non sono onnipotenti”.
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