Mercato unico digitale

eCommerce, gli effetti del DSA sulla competitività: i rischi per consumatori e imprese

Il DSA introduce una serie di misure volte ad armonizzare il quadro legislativo europeo nel settore dei servizi digitali. Gli operatori di eCommerce accolgono con favore alcuni elementi della proposta di regolamento, ma temono l’impatto di alcune misure, in particolare quelle sulla riduzione della pubblicità mirata

Pubblicato il 21 Feb 2022

Roberto Liscia

Presidente Netcomm

ecommerce

La proposta di regolamento Digital Services Act (DSA) include alcuni nuovi elementi che potrebbero contribuire a migliorare la parità di condizioni tra gli operatori europei dell’eCommerce e quelli che non hanno sede nell’Ue, ma potrebbe incidere negativamente sulla competitività del settore e sulla qualità delle informazioni ai consumatori.

Digital Service Act (DSA): i nodi che restano dopo l’Ok del Parlamento Ue

Gli elementi del DSA che potrebbero permettere parità di condizioni

Una delle principali preoccupazioni degli operatori dell’e-commerce europeo è l’apparente aumento del flusso di prodotti non conformi provenienti da paesi extra UE, sia quando un consumatore ordina direttamente da un venditore con sede al di fuori dell’UE, sia tramite un intermediario che facilita le vendite. Questa situazione mina la parità di condizioni creando concorrenza sleale tra venditori online europei e no, poiché i primi hanno costi di conformità più elevati dei secondi.

Il DSA adotta un approccio differenziato in cui determinati obblighi si stanno adeguando al tipo di servizi forniti dalle piattaforme.

  • I prestatori di servizi intermediari che non hanno una sede nell’Unione ma che offrono servizi nell’Unione devono nominare un rappresentante legale in uno degli Stati membri in cui il prestatore offre i propri servizi.
  • Sono stati introdotti maggiori obblighi in termini di tracciabilità – noto anche come principio “conosci il tuo cliente aziendale”. Per cui le piattaforme online devono raccogliere determinate informazioni sui commercianti.
  • La Commissione ha inoltre proposto l’introduzione dei coordinatori dei servizi digitali e di un Comitato europeo per i servizi digitali, un gruppo consultivo indipendente di coordinatori dei servizi digitali.
  • I fornitori di servizi intermediari possono svolgere azioni volontarie per rintracciare contenuti illegali senza che ciò comporti esenzioni dalle responsabilità.

Verso un quadro legislativo armonizzato nell’Ue

Trattandosi di un regolamento, la proposta fornisce un quadro legislativo più armonizzato in tutta l’UE ed è direttamente applicabile, facilitando la fornitura di innovazioni digitali transfrontaliere, garantendo nel contempo lo stesso livello di protezione a tutti i cittadini dell’UE. Una maggiore armonizzazione creerà anche una maggiore certezza giuridica per le imprese, in particolare quando conducono operazioni transfrontaliere. In definitiva, la certezza del diritto per le imprese porterà a un mercato meglio regolamentato e meglio applicato, fornendo maggiore sicurezza e protezione per i consumatori.

Il DSA e la pubblicità online: ampliati gli obblighi di trasparenza

Un altro capitolo importante di discussione del nuovo regolamento riguarda la pubblicità online. Nel 2019, le imprese dell’UE hanno speso 65 miliardi di euro in pubblicità digitale, corrispondenti a 146 euro pro capite. Una quota sostanziale della pubblicità digitale è quella che si riferisce al Target Advertising che è adattata all’utente specifico che vede l’annuncio, ovvero alcuni annunci vengono mostrati a determinati utenti in maniera personalizzata (nota anche come pubblicità “comportamentale” o “mirata”).

+++box Il DSA e l’eCommerce

A dicembre 2020, la Commissione europea ha pubblicato la proposta di regolamento sul mercato unico dei servizi digitali, noto anche come legge sui servizi digitali DSA. Intende regolamentare gli obblighi dei fornitori dei servizi digitali che fungono da intermediari nel loro ruolo di connettere i consumatori con beni, servizi e contenuti. Nei 20 anni dall’entrata in vigore della direttiva sull’e-commerce, il ruolo dei fornitori di servizi digitali, delle piattaforme e degli intermediari online è drasticamente cambiato.

Il percorso per l’approvazione avanza velocemente e a dicembre 2021 la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento europeo ha votato per nuove regole per contrastare i contenuti illegali, per garantire che le piattaforme siano ritenute responsabili dei loro algoritmi e migliori pratiche di moderazione dei contenuti.

L’eCommerce Directive del 2000 ha promosso lo sviluppo di piattaforme online in Europa, offrendo in particolare alle PMI un più facile accesso ai consumatori in tutta l’Unione e allo stesso tempo, grazie alla digitalizzazione, il mercato dell’UE si è aperto e reso accessibile anche ai venditori provenienti da paesi terzi con nuove sfide competitive. Inoltre, la distinzione tra vendite online e offline sta rapidamente scomparendo, con una transizione verso un ecosistema di acquisti omnicanale.

L’impatto sul mercato della riduzione della pubblicità personalizzata

Il testo del Digital Services Act (DSA) della Commissione europea, suggerisce che vengano ampliati gli obblighi di trasparenza in relazione agli annunci digitali (cfr. articoli 24 e 30) ma molti osservatori ritengono che ciò avrebbe di fatto un effetto dirompente e negativo sullo sviluppo del mercato digitale per diverse ragioni. Secondo una ricerca effettuata dalla Copenhagen Economics nel giugno 2021, la riduzione della pubblicità personalizzata danneggerebbe la capacità degli editori di generare entrate. Ecco per quali motivi:

  • molti editori online dipendono dalla pubblicità digitale come principale fonte di reddito. In particolare, gli editori che forniscono contenuti “gratuiti” ai consumatori, come piattaforme di social media e molti giornali online. Gli editori online non sarebbero necessariamente in grado di generare entrate comparabili vendendo i loro spazi pubblicitari come pubblicità non personalizzata, poiché ciò genererebbe probabilmente entrate notevolmente inferiori. “la maggior parte degli europei intervistati si aspetterebbe di pagare meno di 4 euro al mese per la maggior parte dei servizi web che attualmente utilizzano.”
  • Mentre alcuni editori più grandi (ad esempio siti di notizie più grandi) potrebbero essere in grado di addebitare i propri contenuti, gli editori più piccoli e/o di nicchia (PMI) potrebbero essere particolarmente compromessi dalla transizione a un modello di business basato su abbonamento
  • Va sottolineato che un divieto o restrizioni molto forti sulla pubblicità mirata avrebbe un impatto negativo significativo sulla competitività dei piccoli dettaglianti, che già rispettano norme sulla privacy e sulla protezione dei dati e altra legislazione pertinente. Nel contesto del DSA, la personalizzazione è spesso confusa con la profilazione e la diffusione di disinformazione e fake news e questi comportamenti non vanno confusi con la pubblicità di prodotti, che sono fondamentali per i rivenditori e per il funzionamento del mercato interno.
  • Le PMI utilizzano la pubblicità online mirata per raggiungere i consumatori interessati e misurare il ritorno sull’investimento nella pubblicità. A differenza delle aziende più grandi, le PMI spesso operano con budget molto più piccoli e lo fanno senza avere le risorse o il riconoscimento del marchio che hanno le aziende più grandi e consolidate. Inoltre, un divieto aumenterebbe il vantaggio competitivo delle imprese più grandi rispetto alle PMI, in quanto le aziende più grandi hanno già quantità significative di clienti e quindi dati all’interno del loro ecosistema.

L’impatto sui consumatori

La riduzione della pubblicità personalizzata inoltre danneggerebbe i consumatori che perderebbero l’accesso a preziosi contenuti gratuiti diventando meno informati e portati a prendere decisioni di acquisto peggiori per i prodotti. I consumatori sarebbero esposti a meno annunci e/o meno pertinenti (non personalizzati) diventando così meno informati. La pubblicità generalmente migliora la qualità delle decisioni dei consumatori.

I consumatori che ricevono annunci mirati li troveranno in media più “rilevanti” rispetto a quelli non mirati e dedicheranno meno tempo alla ricerca di aziende e prodotti che corrispondano ai loro interessi. Pertanto, il targeting avvantaggia il consumatore perché riduce efficacemente i costi di ricerca.

L’impatto sulle aziende

La riduzione della pubblicità personalizzata danneggerebbe la capacità delle aziende di generare vendite portando ad un indebolimento della concorrenza e ad una minore scelta e prezzi più elevati per i consumatori.

Le aziende in molti mercati dell’economia (beni di consumo in rapido movimento, automobili, beni di lusso, servizi, ecc.) utilizzano la pubblicità per competere per il potere di spesa dei consumatori attraverso la consapevolezza e la differenziazione del marchio. Una ridotta capacità o incentivo a utilizzare la pubblicità personalizzata renderebbe più difficile per le aziende gestire in maniera redditizia la propria attività.

Gli articoli 24 e 30 della bozza del DSA di dicembre 2020 impongono nominalmente solo obblighi di trasparenza, descrivendo come le piattaforme online dovrebbero condividere le informazioni sugli inserzionisti e i “parametri principali” utilizzati per la personalizzazione (o “targeting”). Tuttavia, queste regole potrebbero ridurre l’interesse all’uso di annunci personalizzati per non rivelare informazioni commercialmente sensibili relative alle strategie di marketing dell’inserzionista.

Conclusioni

In questo contesto è quindi evidente che si rende necessario ricercare un equilibrio tra le giuste preoccupazioni di non ledere la privacy degli utenti con un uso improprio dei dati sovraccaricandolo oltretutto di informazioni non necessarie ed il rischio di creare una regolamentazione sproporzionata che porta un danno allo stesso consumatore non fornendogli opinioni e contenuti sufficientemente diversificati con conseguenze indesiderate e significative su tutta l’economia in una delicata fase di ripresa.

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