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E-commerce in Italia, i tre dossier urgenti per il nuovo Governo

L’e-commerce italiano sconta limiti strutturali, che si risolvono solo con una strategia su cultura, formazione degli imprenditori, incentivi e riforme fiscali di settori. Ecco il punto di Netcomm per la nuova legislatura

Pubblicato il 27 Feb 2018

Roberto Liscia

Presidente Netcomm

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Sono circa 2 miliardi e mezzo le persone che si informano online e 1,5 miliardi quelle che comprano su siti di e-commerce; nei prossimi 10 anni si prevede che saranno oltre 400 milioni i consumatori che faranno acquisti fuori dal loro paese. Questi dati ci suggeriscono uno scenario in profondo mutamento, dove la spinta alla digitalizzazione sarà sempre più accentuata e le nuove sfide dell’e-commerce globale stanno già cambiando lo scenario competitivo e il modo di fare impresa delle aziende italiane, di interagire con i consumatori, di vendere prodotti e servizi. Si aprono così nuove possibilità per accrescere la competitività anche sui mercati europei e internazionali: ma il sistema Paese è pronto a misurarsi con questo scenario digitale e a puntare sull’innovazione?

I problemi delle aziende e-commerce italiano

In Italia ci sono diverse questioni strutturali da risolvere a cominciare dalla parcellizzazione delle imprese italiane; un tessuto imprenditoriale composto da piccole e medie imprese che hanno difficoltà a investire in nuove tecnologie per il commercio e nel rapporto con i mercati globali. Il secondo problema è dato dalla scarsa consapevolezza da parte degli imprenditori di come le tecnologie li possano supportare a riprogettare i propri modelli di business e la relazione con i clienti, sebbene siano stati abili nello sfruttare le opportunità offerte dall’Industria 4.0 accelerando gli ammortamenti e gli investimenti ed efficientando la produzione. Il risultato di questi due aspetti è che oggi, fatto 100 il valore del commercio elettronico europeo, l’Italia rappresenta solo il 3,8% di questo mercato.

Questo ritardo mette in nostro Paese nella posizione di non poter trarre profitto dall’export tramite i canali digitali, come indica anche il saldo negativo per circa 2 miliardi di euro della nostra bilancia import-export. I numeri evidenziano il gap: in Italia le imprese che vendono online (e-commerce) sono 40mila contro le 550mila in Germania e le 200mila in Francia, solo per fare due esempi, per un totale di più di un milione di società che in Europa operano nell’e-commerce.

Un altro aspetto che ritarda l’allineamento dell’Italia al contesto digitale è la mancanza di skill hi-tech su tutta la filiera del settore. Oggi per competere le aziende devono adeguare le proprie competenze digitali, formando, ma soprattutto attirando, nuovi talenti ‘alfabetizzati digitali’, la cui domanda non riesce però a essere soddisfatta. Mancano infatti, laureati nel marketing digitale, data analysts, specialisti in cybersecurity, IoT, etc. che creerebbero le condizioni favorevoli all’uso e allo sviluppo dei nuovi strumenti digitali all’interno delle imprese.

Ultimo ma non meno importante il tema della logistica, terreno sul quale oggi si sta giocando il successo e la sostenibilità di ogni iniziativa di e-commerce, ma che deve ancora colmare un gap strutturale con l’Europa.  Dal recente studio di Netcomm ‘Logistica e Packaging per l’e-commerce. Le nuove prospettive’ presentata nel corso dell’ultimo Focus Logistica, è emerso chiaramente che il 98% degli e-shopper italiani vive un’esperienza positiva con i servizi logistici e di delivery dell’e-commerce in Italia. Le performance di consegna sono in aumento significativo e cresce sia l’uso che la disponibilità di servizi di ritiro presso negozi, locker, uffici postali ed edicole. Esistono tuttavia ampi spazi di miglioramento, per esempio nella disponibilità dei servizi finalizzati a coordinare e dare intelligenza alla consegna e al reso che si traduce in una richiesta da parte degli operatori di una maggiore integrazione informatica di tutti i processi. Le grandi aree urbane, per esempio, non hanno ancora sviluppato dei veri e propri progetti di city logistics che permetterebbero più velocità nelle consegne, una politica di sostenibilità ambientale e la riduzione dei costi.

I limiti del consumatore e-commerce

Se analizziamo, invece, i comportamenti del consumatore, notiamo che l’utente italiano è un grande fruitore di smartphone ma al contempo si rivela parecchio arretrato nelle sue modalità di utilizzo non riuscendo a sfruttarlo appieno per tutti quei processi che darebbero valore aggiunto al business, come gli acquisti online, i pagamenti o le operazioni di home banking. Un mood simile lo ritroviamo quando si parla dell’uso della moneta elettronica che in Italia potrebbe godere di una grande accelerazione ma che, a causa di un atteggiamento culturale ancora refrattario agli strumenti di digital payment, fatica a trovare le giuste condizioni di sviluppo e ad emergere. Tant’è che attualmente una quota significativa degli acquisti online vengono pagati alla consegna o al ritiro, utilizzando il contante o il bollettino postale.

I tre dossier e-commerce per il nuovo Governo

Non ci sono soluzioni semplicistiche o generiche per risolvere la questione italiana del digital divide che intride l’ambito culturale, economico e sociale. Per questo la politica ha ancora poco tempo per giocare un ruolo strategico affinché l’Italia sia in grado di mantenere e anzi migliorare la competitività sui mercati digitali europei e internazionali.

Il Governo che a breve si insedierà si dovrà far carico di un grande progetto di cultura digitale nel Paese, che passa attraverso forme di agevolazione per accedere alla conoscenza, sia da parte dei cittadini che delle imprese e dei centri di formazione. È necessario accrescere la preparazione digitale degli imprenditori facendone comprendere il valore, formare o dotare università e scuole delle risorse tecnologiche adeguate, educando anche il cittadino a un comportamento più digitale che passa in parte attraverso la Pubblica Amministrazione. Significa quindi dare vita a una filiera della conoscenza digitale che oggi in Italia ancora manca, creando un circolo virtuoso consumatore-centri di formazione–imprese. In questo contesto diventa centrale il ruolo della PA italiana che negli ultimi 20 anni non ha saputo accorciare la distanza tra le amministrazioni pubbliche e il cittadino (e le imprese), facilitando la digitalizzazione dei servizi pubblici e accelerando il loro accesso, per gettare le basi per un fiorente tessuto sociale digitale, come successo invece in UK, Francia o Germania.

Altro compito per il nuovo Governo è di estendere le agevolazioni dell’industria 4.0 alla formazione delle imprese e dotarle di strumenti e conoscenze atte a far fare loro un salto nella competizione digitale in Italia e all’estero. Un esempio è il progetto collettivo realizzato da Netcomm per la vendita online in Cina di prodotti di aziende cosmetiche italiane. Un’iniziativa cross-border di e-commerce che ha permesso a piccole-medie imprese italiane, che altrimenti non avrebbero avuto la forza economica né strategica di affacciarsi sul mercato cinese, di beneficiare delle sue potenzialità per commercializzare e far conoscere i propri articoli di beauty. Non dimentichiamo infatti che il Made in Italy continua a rimanere in tutto il mondo sinonimo di creatività e qualità e i prodotti delle aziende italiane in settori come il fashion o il food, per esempio, sono riconosciuti come eccellenze. A cui si aggiungono le enormi potenzialità del turismo italiano che andrebbe valorizzato con il finanziamento da parte delle istituzioni di progetti di successo sul territorio per potenziare i flussi di incoming. Rimane tuttavia aperta la questione di come favorire lo sviluppo dell’industria manifatturiera italiana, portando i prodotti delle imprese sui marketplace internazionali e soprattutto ricreando dei nuovi collegamenti commerciali tramite il digitale sulle piazze globali. Da questo punto di vista Netcomm lavora per diventare un hub esperienziale che sviluppa progetti innovativi dimostrando concretamente come il digitale può innovare l’offerta di tutta la filiera del settore manifatturiero italiano e favorire la riprogettazione dei distretti industriali italiani, incentivando l’incontro tra digitale e imprese.

Un’ultima doverosa riflessione va fatta sull’attuale sistema fiscale. La web tax, così come è stata approvata dal Governo italiano, non fa altro che incidere ulteriormente sull’economia delle imprese italiane, che vengono gravate di un’ulteriore imposta non commisurata all’effettivo reddito prodotto. La nuova regolamentazione, così come sta emergendo per il GDPR, la privacy, il Geoblocking tende a essere un peso non sopportabile dal contesto imprenditoriale italiano composto, come abbiamo detto, da piccole e medie imprese. Occorre che le istituzioni italiane si facciano carico a livello europeo di trovare delle soluzioni normative che favoriscano il nostro tessuto economico, garantendo pari condizioni e pari opportunità competitive, senza correre il rischio di aumentare il divario con gli altri stati europei.

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