Sulla scia del cambiamento delle abitudini innescato da una vita costantemente online una ”onlife”, per citare Luciano Floridi – in cui possiamo cercare informazioni e fare acquisti in ogni momento e da ogni luogo in cui ci troviamo, anche il concetto di commercio elettronico è ormai obsoleto. Si parla ormai di commercio digitale, che tiene conto di tutte le trasformazioni avvenute e ancora in atto nel processo di acquisto dei consumatori, soprattutto dei più giovani.
Al cuore della rivoluzione sociale, economica e commerciale cui stiamo assistendo c’è, appunto, la tecnologia, e blockchain e intelligenza artificiale sono sicuramente tra le innovazioni emergenti più interessanti.
Per poter cogliere appieno i vantaggi della trasformazione in atto, anche in termini di occupazione e competitività, tuttavia, serve innescare un cambiamento culturale, in primis nelle piccole e medie imprese italiane, che risultano a oggi meno progredite tecnologicamente non solo rispetto ai competitor internazionali ma anche rispetto ai consumatori stessi.
Dall’eCommerce al commercio digitale
Senza alcun dubbio, una parte rilevante del merito nello sviluppo dell’e-commerce, va agli smartphone, che hanno influito sui comportamenti di acquisto delle persone. Se il concetto di e-commerce è cambiato, infatti, è perché a cambiare è stato in primis il consumatore: basti pensare che la distinzione stessa tra acquisto in un punto fisico o online non esiste nemmeno più tra i millennials o la generazione z.
I consumatori oggi si aspettano, online e offline – sempre che la divisione abbia ancora senso di esistere – esattamente gli stessi servizi e lo stesso tipo di esperienza. Le persone, soprattutto i giovani, danno per scontato di poter pagare in modo digitale anche al’interno di un negozio fisico, si aspettano di poter trovare nel negozio fisico anche il prodotto che non c’è, si aspettano di poter cercare un prodotto online e comprarlo offline, oppure di andare in un punto di vendita fisico, provare un capo, scoprire che quel capo corrisponde al proprio gusto, ma il colore che desiderano non è disponibile e comprarlo online.
Sarà sempre più difficile distinguere nel prossimo futuro, ad esempio, gli acquisti fatti online e ritirati in negozio, da quelli fatti online direttamente in store: è evidente, dunque, che ci troviamo già in un momento storico di fusione digitale, in cui a guidare il commercio multicanale è il consumatore.
Il gap dell’Italia
Guardando alle cifre, stiamo parlando di un settore che in Italia cresce tra il 17 e il 20% anno su anno, ma che vede l’Italia ancora molto indietro rispetto agli altri Paesi. Fatto 100 il valore del commercio elettronico a livello europeo, infatti, l’Italia detiene una quota del 4% e questo significa che siamo ancora molto lontani da quella che dovrebbe essere la cifra del commercio digitale in Italia.
La ragione di questo ritardo la si può identificare, innanzitutto, nello sbilanciamento tra import ed export, vale a dire che si importano più merci online di quante se ne esportano, proprio perché il consumatore digitale, spesso, ha una domanda più esigente rispetto all’offerta disponibile entro i confini nazionali e questo lo porta a compiere acquisti online all’estero. In secondo luogo, occorre considerare che le imprese italiane di piccole e medie dimensioni, faticano maggiormente a investire nelle nuove tecnologie. Osserviamo, dunque, che l’offerta italiana non è sufficiente a soddisfare le esigenze del consumatore italiano.
Un fattore tecnologico di non meno conto, che influisce sul processo di acquisto online, è che il 53% degli utenti dichiara di abbandonare una ricerca da mobile che impiega più di 3 secondi per caricarsi. I consumatori di oggi possono ottenere quello che vogliono quando lo vogliono, sono più curiosi, esigenti e impazienti: abilitati dalla tecnologia, hanno maggiori aspettative di assistenza e di ricevere le informazioni richieste nell’immediato. Anche da qui arriva il successo dei grandi operatori globali a cui si affidano i consumatori digitali e che hanno anche la funzione positiva di portare i nostri prodotti all’estero.
Gli investimenti in tecnologie abilitanti
Sappiamo che le aziende italiane investono poco in quelle tecnologie abilitanti che servono per dare una risposta di servizio al cliente italiano che oggi è molto più progredito di quanto non siano le imprese, ma la vera scommessa è per quelle aziende che sanno diventare “technology company” e questo ci pone inevitabilmente di fronte a un problema di competitività internazionale.
Il retail è, ad esempio, una delle industrie in cui l’impatto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale potrà essere più interessante e immediato, proprio perché in grado di avvicinare anche gli utenti finali, nelle loro abitudini quotidiane, alle nuove frontiere dell’innovazione. Non a caso in questo settore sono già state adottate soluzioni di AI per migliorare la relazione con i clienti, come lo sviluppo appena iniziato dell’uso dei chatbot. I processi di automazione legati alla filiera logistica, ma anche al machine learning e alle analisi predittive sono elementi decisivi per la creazione e il rafforzamento di una relazione sempre più personalizzata tra i brand e i clienti.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale
Grazie all’AI i motori di ricerca svolgeranno sempre più, da un lato, la funzione di riduttori di costi su tutta la catena del valore nel commercio e, dall’altro, una funzione di supporto per le scelte del consumatore. L’intelligenza artificiale saprà ridurre i costi di tutti i processi produttivi, come il costo di magazzino o quello di logistica, ma anche ottimizzare l’esperienza di acquisto, perché è risaputo che l’ampiezza di scelta disponibile oggi genera anche una sorta di “ansia” da parte del consumatore.
In un contesto economico nazionale e internazionale, dove il fattore determinante nell’arena competitiva delle aziende è senza dubbio la capacità di garantire un’offerta sempre più personalizzata, le innovazioni che porterà l’AI sono da guardare con grande interesse; tuttavia, non dimentichiamo che siamo solo all’inizio dello sviluppo di tutte le potenzialità di cui potremo beneficiare.
Investire in cultura digitale
In questo scenario, infatti, non possiamo non tenere in considerazione il ritardo epocale dell’Italia in termini di diffusione della conoscenza del digitale verso gli studenti, le imprese e i cittadini e questo sta provocando un rallentamento del Pil italiano e della concorrenza del sistema Italia verso gli altri Paesi, anche in termini di occupazione. Questi elementi creano un gap di accettazione e di utilizzo delle tecnologie che ci sta lasciando ai margini della trasformazione digitale in atto, per questo le priorità su cui siamo chiamati a lavorare oggi sono anche la cultura e l’etica del digitale.
È necessario insistere sulla necessità di un’accelerazione degli investimenti in tecnologia per poter ottimizzare la produttività individuale e quella delle imprese, oltre a migliorare la capacità di utilizzare il digitale per sviluppare prodotti innovativi, con l’obiettivo a lungo termine di aumentare il Pil italiano derivante dal digitale, che oggi vale il 4%, la metà di quello dei Paesi più evoluti. La svolta digitale non si può più rimandare, è un passaggio obbligato e una delle infrastrutture fondamentali in cui il nostro Paese deve investire è la cultura del digitale.
Il punto di partenza per la digital transformation deve essere una nuova forma mentis delle imprese, dei cittadini e del Governo e in questa prospettiva occorre mettere gli imprenditori e le istituzioni italiane nelle condizioni di adottare le tecnologie e sviluppare la cultura digitale delle piccole medie imprese, che rappresentano la gran parte del tessuto imprenditoriale italiano.