La notizia del prossimo lancio da parte di Youtube di un’offerta premium a pagamento sulla propria piattaforma, rappresenta l’ennesima conferma di un trend che è ormai un dato di fatto: la domanda di contenuti audio-video si muove sempre di più e, ormai da tempo, verso le nuove piattaforme cosiddette internet-based. Una partita giocata finora solo da big player planetari che, nel medio periodo, rischiano di relegare a ruoli da comparse gli attori dell’industria italiana se a questa spinta di mercato non si riesce a dare una risposta di sistema. Una priorità tra gli interventi che il prossimo Governo dovrà mettere in campo.
Alcuni dati sono ormai chiari e da questi occorre ripartire. La fruizione dei contenuti cambia (multidevice, non-lineare e multitasking), i fruitori di contenuti cambiano, le esigenze e le preferenze di ciascuno si diversificano. La tecnologia asseconda il cambiamento e lo accelera. Da una parte i terminali: i devices di nuova generazione (smartphone, tablet, smart-TV) abilitano ad una fruizione anytime-anywhere arricchita da una user experience amplificata. Dall’altra le reti e le piattaforme di telecomunicazione: la capacità trasmissiva (wired e wireless) aumenta con un ritmo esponenziale e, grazie al paradigma IP, i servizi possono essere erogati senza soluzione di continuità su tutte le piattaforme, offrendo così una user experience seamless. Le previsioni relative alla crescita del traffico internet confermano che la domanda di contenuti audio-video si sposterà dalle piattaforme tradizionali (digitale terrestre e satellitare) verso quelle internet-based: secondo le proiezioni di Cisco, il traffico generato da video “avanzati” (3D, HDTV) aumenterà di cinque volte tra il 2011 e il 2016; 1,2 milioni di minuti di video viaggeranno attraverso la Rete ogni secondo, entro il 2016; i fruitori di contenuti video on-line passeranno dai 792 milioni del 2011 a 1,5 miliardi nel 2016.
Il nuovo paradigma televisivo apre a nuove opportunità di business. Il prodotto televisivo assume nuove forme e trova nuovi canali di distribuzione. La possibilità di fruire del prodotto televisivo su diverse piattaforme e in maniera non lineare permette agli utenti di costruire palinsesti personalizzati basati su attitudini personali. Un’offerta “su misura” che, unita a prezzi più che concorrenziali rispetto alle tradizionali pay tv satellitari o terrestri, è in grado di accrescere la willing-to-pay: secondo una recente ricerca di Accenture, il 43% degli utenti paga per alcuni dei contenuti che guardano su internet e il 69% si dice disposto a pagarli. L’offerta si amplia e si arricchisce di servizi e nuove possibilità:si apre uno spazio di mercato per nuovi produttori di contenuti, con format e programmi basati sull’interattività e la componente social; l’offerta pubblicitaria diventa profilata e si apre a meccanismi di tipo push; l’esperienza televisiva si arricchisce di nuovi servizi, che consentono nuove linee di ricavi (es. acquisti on-line associati al prodotto televisivo).
Il campo di gioco diventa planetario, la competizione si vince con economie di scala ed esternalità di rete. I confini del mercato si allargano e superano quelli politici, l’offerta dei nuovi player (gli Over The Top) non è neppure confrontabile con quella dei broadcaster nazionali. Youtube vanta una library che ogni secondo si arricchisce di un’ora di nuovi video, oltre 4 miliardi di video visualizzati giornalmente, oltre 3 miliardi di ore di video visualizzate mensilmente. La componente social fa assumere un ruolo centrale alle esternalità di rete: gli OTT competono sfruttando basi clienti che vantano milioni di utenti (secondo i dati Nielsen, i Top 5 dei siti USA dedicati ai video hanno dai 25 ai 136 milioni di utenti unici) che, grazie agli “effetti di rete”, hanno una leva dirompente nei confronti di operatori confinati a pochi milioni di spettatori. In questo scenario, i player tradizionali rischiano di rimanere compressi in una dinamica che li confina in posizioni marginali.
Emerge, quindi, la necessità di definire un progetto di politica industriale capace di dare una risposta come sistema-Paese. La rapida evoluzione tecnologica e di mercato può rappresentare un fattore di rilancio solo se colta nel quadro di politiche di sviluppo organiche e dall’ampio respiro. Il Regno Unito, con il progetto YouView, ha indicato una strada possibile. Il progetto, nato nel 2010 sotto la spinta della BBC in risposta alla Digital Britain del governo Brown, ha raccolto 4 broadcaster nazionali (BBC, iTV, Four e Channel 5) per un’audience vicina al 75%, 3 operatori di telecomunicazioni (BT, TalkTalk e Arqiva) e diversi produttori di tecnologia (piattaforme, apparati, system integrator) con l’obiettivo di realizzare una nuova piattaforma tecnologica aperta che consentisse una fruizione multipiattaforma, da un unico punto di accesso ed in modo trasparente per l’utente finale.
L’Italia ha bisogno di costruire un nuovo ecosistema (con tutti gli attori), che sia in grado di rispondere alle nuove esigenze degli utenti, di garantire un’equa remunerazione a tutti i player coinvolti (produttori di contenuti, broadcaster e telco) e che consenta, così, di costruire spazi di mercato sostenibili. Una soluzione che sarà praticabile solo se le logiche ristrette negli angusti di “vecchi” mercati (televisivo, TLC, …) saranno superate da una prospettiva di co-opetition. Per questo motivo, sarà fondamentale che il prossimo Governo assuma questa tra le priorità della propria azione: occorre un luogo di confronto istituzionale per un progetto industriale di ampio respiro, che superi la logica frammentata delle “agende digitali”, da più parti proposte, e realizzi una vera e propria riforma dell’ecosistema digitale, come ha suggerito l’ex Commissario AGCom Nicola D’Angelo in un suo recente intervento.
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