Non è la prima volta che il nostro Paese (certo, ora con un Governo a regime ridotto e una situazione globale a dir poco critica) si trova in ritardo nel recepimento di provvedimenti europei. Questa volta tocca alla Direttiva 2019/2161 – detta “Omnibus” – e dedicata alla modifica di varie Direttive pregresse, “per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori”, così come recita l’intestazione. Nonostante dovesse applicarsi dal 28 maggio scorso, al 10 agosto non si era però ancora registrato il relativo provvedimento nazionale di adeguamento normativo, dovendo incidere sul Codice del Consumo.
L’interrogativo nasce spontaneo: la Direttiva è comunque già applicabile nel nostro Paese, nonostante questa grave lacuna? E con quali conseguenze? Vediamo di ricostruire di seguito i punti fondamentali di questa vicenda e ipotizzare alcuni scenari applicativi.
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Cosa prevede la Direttiva Omnibus
Il testo normativo era nato congiuntamente ad altre Direttive come la 2019/770 e 2019/771, queste sì già recepite in Italia con i D.Lgs. 170 e 173 del 2021 a modifica del Codice del Consumo, aggiornando o innovando quanto a vendita di beni, oppure di contenuti e servizi digitali. Il disegno generale è quello del c.d. “New Deal for Consumers”, orchestrata riforma UE che vuole aggiornare le tutele per i consumatori a mercati e a professionisti sempre più digitalizzati, autori di prassi non sempre eque verso i consumatori e favorite da determinati “lati oscuri” del mercato online.
La Direttiva Omnibus si inserisce nel quadro dedicato ad “assicurare un livello elevato di protezione” dei consumatori, come richiesto dal Trattato sul funzionamento dell’UE, intervenendo in ragione di carenti e disomogenee tutele nazionali (inevitabili, tuttavia, ragionando sulla base di Direttive con ampi margini di adattamento locale), a rafforzare l’attuazione dei diritti dei consumatori e dei relativi rimedi.
Il (mancato) conto alla rovescia: come è andata in Italia
Può stupire dunque che, alla data in cui scriviamo, le due Direttive 770 e 771 siano state da tempo recepite mentre la terza, la 2161, non lo sia ancora. Specie tenuto conto che l’Omnibus figurava fin dal dicembre 2021 nei disegni di legge in corso di recepimento nazionale.
In realtà è notizia del 2 agosto scorso come la Camera dei Deputati abbia – finalmente – approvato in via definitiva il disegno di legge “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione Europea – Legge di delegazione europea 2021”. Un testo di delega del recepimento di ben altre 12 Direttive, tra l’altro [https://www.politicheeuropee.gov.it/it/normativa/legge-di-delegazione-europea/legge-di-delegazione-europea-2021]. Perciò l’iter legislativo è in corso ma non è affatto terminato, dovendo approdare a un decreto legislativo finale che non è facile prevedere quando potrà avere luce e approvazione definitiva.
Come indicato all’art. 7 della Omnibus, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare e pubblicare le disposizioni di ricezione della 2161 entro il 29 novembre 2021, mentre la scadenza per applicare tali disposizioni era fissata al 28 maggio 2022. Scadenze evidentemente oltrepassate.
Alla lettera, si parla dunque di tale ultima scadenza per l’applicazione delle “disposizioni nazionali”, mai arrivate (non possono certo considerarsi tali le brevi indicazioni contenute nella legge delega). In prima lettura, si potrebbe pensare che si debbano comunque attendere tali norme per potersi parlare di una qualsiasi applicazione.
En passant, ricordiamo comunque che il mancato recepimento nei termini prescritti di una Direttiva, come la Omnibus, potrà assoggettare il nostro Paese a procedura di infrazione con relative sanzioni, da parte della Commissione Europea, la quale potrebbe persino adire la Corte di Giustizia. Come purtroppo già accaduto diverse volte in passato.
Direttive “self-executing”: non tutto è da recepire
Basta fare mente locale e si può andare oltre la prima lettura: è noto che la fonte “Direttiva”, normativa che deve appunto trovare esecuzione nazionale, Paese per Paese, è comunque soggetta a un meccanismo di parziale o totale esecuzione, pur in assenza del recepimento. Viene definita “self-executing”, cioè auto-esecutiva, una Direttiva non recepita dallo Stato membro ma comunque sufficientemente dettagliata – in tutto o in parte – per trovare applicazione immediata, conferendo diritti con effetto dalla scadenza prevista nella Direttiva stessa. Si tratta di un frutto interpretativo della Corte di Giustizia nella storica sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26-62, con parti van Gend & Loos contro l’Amministrazione olandese delle imposte. La Corte chiarì come “gli obblighi debbano essere precisi, chiari e incondizionati senza richiedere misure complementari di carattere nazionale o europeo” per dirsi auto-esecutivi, nel caso contrario ha negato l’efficacia diretta qualora i Paesi “abbiano un seppur minimo margine discrezionale nell’attuazione della disposizione interessata”.
Orbene, la Direttiva Ominibus ben si presta all’applicazione diretta come riconosciuta dalla Corte, contenendo una serie di disposizioni ove a un tempo di lascia discrezione agli Stati, mentre in altri frangenti si scolpiscono chiaramente e compiutamente i diritti e gli obblighi.
Va tuttavia chiarito che ulteriori risultati della giurisprudenza della Corte hanno stabilito che una Direttiva ha sì efficacia diretta – quando le sue disposizioni sono incondizionate e sufficientemente chiare e precise e qualora lo Stato membro non abbia recepito la direttiva entro il termine fissato – ma con un’importante precisazione: l’efficacia diretta può avere soltanto carattere “verticale”. Significa che le persone fisiche possono invocare una disposizione del diritto dell’Unione nei confronti dello Stato membro, ma non contro altre persone o soggetti di diritto (carattere “orizzontale”). Inoltre giudici ed amministrazioni nazionali avrebbero, tutte, l’obbligo di applicare le disposizioni in parola.
Ergo: trattando della Omnibus, si può immaginare un consumatore che si veda leso per non aver ricevuto adeguata tutela a causa del mancato recepimento della Direttiva (vedremo oltre in quali frangenti concreti), per tutto il lasso di tempo intercorrente dal 28 maggio fino all’entrata in vigore del decreto nazionale. E così potrebbe giudizialmente chiedere la condanna a un risarcimento danni da parte dello Stato italiano, destinatario del recepimento della Direttiva secondo le scadenze innestate nello stesso testo. Non potrebbe, d’altro canto, agire direttamente contro professionisti che non rispettino le prescrizioni della Omnibus. Comunque sia, il numero dei consumatori potenzialmente interessati è significativo.
Il ruolo delle associazioni dei consumatori
È dubbio se si possa trovare sponda in agguerrite associazioni dei consumatori, considerato che la normativa applicabile (come la l. 31/2019 sull’azione di classe) pare assegnare potere di rappresentanza a tali enti solo nel caso di azione verso professionisti. Difatti l’art. 840-bis del codice di procedura civile ora prevede (comma 3) che “l’azione di classe può essere esperita nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Sono fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”. Nulla si dice in riferimento all’eventuale azione verso lo Stato come quella in gioco trattando di Direttive, il che fa propendere per un responso negativo.
Non resta che cercare di ipotizzare quali disposizioni della Omnibus, a questo punto, possano ricadere nei requisiti delle disposizioni self-executing.
Direttiva Omnibus: le prescrizioni direttamente applicabili
Tocca ora prendere il testo e scorrere le varie disposizioni, cercando quelle – come detto innanzi – troppo ampie e discrezionali, dunque non applicabili, e quelle che paiono direttamente applicabili per sufficiente determinatezza e univocità applicativa.
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In breve, ragionando sulle varie sezioni di intervento possiamo riassumere le più rilevanti come segue, distinguendo gli articoli della Direttiva:
- art. 1: una delle disposizioni focali del provvedimento – e più temuta dalle imprese – riguarda l’adeguamento del ventaglio sanzionatorio della normativa consumatori, ritenuto finora insufficiente, globalmente parlando; si tratta però di una disposizione del tutto non esecutiva, dato che si limita a fornire parametri affinché gli Stati membri decidano come fissare le specifiche sanzioni nazionali; anche leggendo il comma 4 ove recita che “gli Stati membri provvedono a che, quando le sanzioni devono essere inflitte a norma dell’articolo 21 del regolamento (UE) 2017/2934 [da parte dell’AGCM per l’Italia], esse possano essere di tipo pecuniario, inflitte attraverso un procedimento amministrativo o giudiziario o entrambi, e per un importo massimo almeno pari al 4% del fatturato annuo del venditore o fornitore nello Stato membro o negli Stati membri interessati”, si comprende come sia necessario comunque un intervento valutativo dello Stato per mettere a fuoco la norma, compiere scelte, pur partendo da un minimale prefissato dall’Unione;
- art. 2: una delle maggiori innovazioni è certamente questa disposizione che introduce una disciplina specifica sugli sconti (definiti come “annunci di riduzione di un prezzo”), finora mai disciplinati in maniera adeguata a livello europeo; ebbene, per tale disposizione c’è margine di immediata applicazione, visto che gli annunci debbono indicare il prezzo precedente (applicato durante un periodo pregresso, non inferiore a 30 giorni) applicato dal professionista per un determinato periodo di tempo prima dell’applicazione dello sconto; altre disposizioni rimettono invece diverse scelte agli Stati, tra cui le modalità di indicazione del prezzo, oltre a replicare quanto già detto circa la sfera sanzionatoria, in armonia con quanto già previsto all’art. 1;
- art. 3: nuovamente possiamo parlare di previsioni sufficientemente specificate; in questo caso pare direttamente applicabile l’inclusione, tra le pratiche commerciali ingannevoli, di quelle di marketing qualora promuovano “un bene, in uno Stato membro, come identico a un bene commercializzato in altri Stati membri, mentre questo bene ha una composizione o caratteristiche significativamente diverse, salvo laddove ciò sia giustificato da fattori legittimi e oggettivi”; si vuole combattere l’ingiustificata differenziazione transfrontaliera dei beni venduti, cosa che comporterà di fatto una dichiarazione apposita da parte del professionista, specie quando effettui distribuzione transfrontaliera, circa il rispetto (o meno, se giustificate) di tali condizioni; così come vanno considerate omissioni ingannevoli altresì quelle relative alle modalità di pagamento, consegna ed esecuzione (se difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale), oppure (per i prodotti offerti su mercati online) l’informazione se il terzo che offre i prodotti è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso; idem per la trasparenza nelle ricerche utente, per cui qualora – nel caso dell’offerta online tramite motori di ricerca, con la possibilità di cercare prodotti offerti da professionisti diversi o da consumatori, sulla base di parole chiave, frasi o altri dati – “sono considerate rilevanti le informazioni generali rese disponibili in un’apposita sezione dell’interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentati i risultati della ricerca, in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all’importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri”; da ultimo, nel caso di recensioni di consumatori sui prodotti offerti, le informazioni rilevanti devono indicare “se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto”; le ulteriori disposizioni riguardano invece i rimedi e le sanzioni, per cui si ritorna a parlare di discrezione degli Stati membri;
- art. 4: qui si interviene sulla Direttiva 2011/83 che aveva innalzato e armonizzato il livello di tutela dei consumatori quanto alla trasparenza informativa, al recesso e ad altri diritti dei consumatori nel caso di contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali, aggiornandola con riferimenti alle coeve Direttive su contenuti e servizi digitali e alla vendita (le già menzionate Direttive 770 e 771); soprattutto vi si include il caso in cui “il professionista fornisce o si impegna a fornire un contenuto digitale mediante un supporto non materiale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista”, definito da alcuni come di “monetizzazione” dei dati personali e introdotto proprio dalla Direttiva 2019/770; in breve, vengono estesi soprattutto gli oneri informativi verso il professionista nei vari casi di vendita di beni in generale, oltre che di contenuti e servizi digitali; in particolare, circa gli obblighi di informazione supplementari specifiche per i contratti conclusi su mercati online, si prescrive di indicare tra l’altro i parametri utilizzati nel presentare le ricerche online, se nel caso di un terzo offerente questi sia un professionista o meno (con relativa inapplicabilità della normativa sul consumo), sull’applicazione della perdita volontaria del diritto di recesso;
- sempre all’art. 4 merita considerazione speciale quanto dettato circa gli user generated content, contenuti creati o comunque pubblicati degli utenti (pensiamo a recensioni, commenti, ecc.) sul portale del professionista; ebbene, in tal caso la Direttiva impone al professionista – nel caso di recesso del consumatore – di “astenersi” dal loro utilizzo (salvo che in una serie di articolate eccezioni, ad es. se il contenuto è privo di utilità al di fuori del contesto), oltre a prevedere un diritto di “portabilità” di tali contenuti; tutte previsioni che paiono già più che definite.
Conclusioni
Alla fine di questa disamina, ove non si possono offrire certezze ma solo spunti di riflessione di possibili scenari applicativi, risulta perlomeno plausibile affermare che numerose disposizioni della Direttiva Omnibus risultano già applicabili anche in Italia. Il caveat è però quello premesso: il ritardo normativo è rivendicabile solamente dal consumatore verso lo Stato, nei termini sopra detti, non già direttamente verso i professionisti e le imprese.
Professionisti e imprese che, in ogni caso, dovrebbero prenderne atto e predisporsi per implementare quanto prima le previsioni sufficientemente definite e già direttamente applicabili. Difatti il recepimento nazionale non potrebbe, prevedibilmente, lasciare un esteso periodo di grazia prima dell’applicazione – considerato lo scaduto termine del 28 maggio, di portata sovranazionale. Basti pensare alle disposizioni sugli sconti: sarà onere del professionista documentare, comprovare in maniera efficace il rispetto delle tempistiche e delle differenze di prezzo. Ciò potrebbe comportare una serie di valutazioni, di processi e novità da introdurre non di poco conto.
Tanto più che le imprese che hanno a che fare con utenti europei, non solo italiani, dovrebbero aver già cominciato l’adeguamento considerando che la maggioranza degli altri Paesi dell’Unione – a differenza del nostro – ha già provveduto alla trasposizione. I rispettivi consumatori (oltre che autorità di tutela nazionale) ne attendono, dunque, il rispetto dei diritti e degli obblighi ivi consacrati, così come le eventuali terze parti (distributori, intermediari, ecc.) coinvolti. Insomma, l’adeguamento dovrebbe rappresentare fin da ora una priorità per le imprese.