In un mercato sempre più complesso e all’insegna dell’eCommerce, le aziende B2C (“business to consumers”) fanno sempre più affidamento sull’intelligenza artificiale (IA) e sui Big Data per tener conto della domanda, dell’offerta, dei prezzi praticati dai concorrenti e delle informazioni che i consumatori diffondono sui social network al fine di rendere maggiormente flessibili le loro offerte. In questo modo, l’utilizzo del cosiddetto “dynamic pricing” ha incominciato a diffondersi a macchia d’olio, modificando permanentemente il modo in cui i consumatori si rapportano sul mercato e sollevando diverse questioni a livello giuridico.
Definizione e tipologie di dynamic pricing
Secondo una terminologia introdotta per la prima volta negli Stati Uniti, il dynamic pricing è una strategia di vendita basata sulla continua quotazione dei prezzi; vale a dire, nella vendita di prodotti e servizi a prezzi flessibili, che si modificano continuamente nel tempo in considerazione di diverse variabili, di modo da offrire al consumatore il prezzo giusto al momento giusto, consentendo all’impresa offerente di ottimizzare le vendite massimizzando i propri margini.
Non è un “personalized pricing”
Più particolarmente, il dynamic pricing si fonda su algoritmi che strutturano il prezzo variandolo in base a specifici fattori che possono intervenire singolarmente o combinati tra loro, quali, tra gli altri, la disponibilità in tempo reale del bene, il gradimento del pubblico, la condotta dei vari competitors ed il segmento geografico di riferimento. Tali fattori, tuttavia, non includono le caratteristiche individuali dei potenziali acquirenti, ciò che distingue il dynamic pricing dal “personalized pricing”, che consiste invece nel personalizzare le promozioni adattandole alle necessità specifiche del singolo consumatore.
I diversi modelli di dynamic pricing
Storicamente, esistono diversi modelli di dynamic pricing.
In primo luogo, il “segmented pricing”, che si caratterizza per l’attribuzione di prezzi diversi per prodotti identici a seconda del luogo in cui si trova l’acquirente.
In secondo luogo, il “time-based pricing”, in cui il prezzo di un prodotto è direttamente collegato alla data del suo ingresso nel mercato, di talché applicando sconti e riducendo il prezzo dei prodotti più risalenti, le aziende possono aumentarne le vendite.
In terzo luogo, il “peak pricing”, in cui il prezzo di un prodotto è direttamente correlato alla domanda di mercato, con conseguenti aumenti o diminuzioni dello stesso in relazione ai diversi periodi del giorno e/o dell’anno in cui si manifesta la domanda. In quarto luogo, il dynamic pricing legato alle fluttuazioni casuali delle condizioni di mercato, di talché, se per qualsiasi motivo, le vendite di un prodotto iniziano a diminuire, le aziende ne abbassano i prezzi fino a quando la situazione non torna alla normalità. Infine, il c.d. “penetration pricing”, in cui le imprese, al fine di raggiungere rapidamente una grande porzione del mercato, stabiliscono prezzi iniziali inferiori rispetto a quello di mercato, aumentandoli poi di pari passo con l’andamento della domanda.
I casi più noti di applicazione del dynamic pricing
A livello industriale, il dynamic pricing è emerso nel settore aereo statunitense a partire dagli anni ’80. Mentre prima, infatti, i prezzi dei passaggi delle compagnie aeree erano rigidamente regolati a livello centrale, le nuove norme in materia avevano dato loro maggiore discrezionalità; le compagnie avevano allora iniziato ad investire milioni per sviluppare programmi che adattassero automaticamente i prezzi in base a variabili quali, tra le altre, orario e date di partenza, destinazione e periodo dell’anno.
Ryanair
Tra le compagnie che si sono sempre più specializzate nei voli low cost, oltre a garantire le tariffe più basse possibili, Ryanair aveva iniziato ad offrire delle opzioni ai propri clienti con esigenze diverse, invece di applicare un unico prezzo per tutti i segmenti, impiegando degli algoritmi per collegare il prezzo alla domanda dei clienti, anziché al prodotto.
Amazon
Già negli anni 2000, Amazon utilizzava strategie di dynamic pricing per quanto riguardava la vendita di DVD. Più particolarmente, un utente di Amazon si era accorto che il prezzo di un DVD si era ribassato non appena aveva cancellato i cookie dalla cronologia del suo computer. Ciò che aveva costretto Amazon, dopo aver inizialmente cercato di qualificare l’accaduto come accidentale e legato ad alcuni test sulla politica dei prezzi, a scusarsi della differenza di prezzo e a rimborsare i clienti che avevano pagato i prezzi più alti. Questo episodio, peraltro, non ha impedito ad Amazon di continuare ad utilizzare pratiche di dynamic pricing, quali, ancora a tutt’oggi, il cosiddetto “Buy box”. Poiché ogni prodotto popolare che si può scegliere sul sito è solitamente offerto da diversi venditori, quando un utente seleziona l’opzione “acquista ora” o “aggiungi al carrello” il venditore con il miglior prezzo viene posizionato per impostazione predefinita. Per determinare esattamente la posizione nella “Buy Box”, Amazon utilizza un proprio algoritmo, che considera non solo il prezzo, e bensì anche elementi quali, tra gli altri, la valutazione del venditore, la velocità di elaborazione degli ordini, il numero di recensioni, il numero di resi e la cronologia precedente.
Uber
Similmente, nel 2013, quando New York era nel bel mezzo di una tempesta, gli utenti di Uber si erano accorti di un aumento delle tariffe pari a circa otto volte quelle normali. Anche questo incidente aveva provocato forti critiche da parte dell’opinione pubblica, con la conseguente decisione della società di porre dei limiti agli aumento dei prezzi durante i periodi di emergenza a partire dal 2015 e ad informare i passeggeri che quando si verifica un picco di domanda in una zona cittadina, il costo della corsa può aumentare fino al doppio.
Il gap normativo a livello europeo
Inizialmente utilizzate da poche imprese, le pratiche di dynamic pricing sono oggi sempre più diffuse in tutti i settori dell’economia (trasporti, accoglienza, sport, parchi a tema ecc..). Benché estremamente vantaggiose per le imprese, le pratiche di dynamic pricing sono però particolarmente invise ai consumatori. Il dynamic pricing può essere vantaggioso per i consumatori quando viene utilizzato per reagire ad una domanda che è inferiore al prezzo originale che l’impresa aveva previsto di applicare. Tuttavia, non si rivela così vantaggioso quando le imprese lo utilizzano per reagire ad aumenti imprevisti della domanda. Se la domanda supera l’offerta al prezzo originale, infatti, allora essa supererà parimenti l’offerta a prezzi più bassi, in quanto più consumatori entrano nel mercato cercando di approfittare dello sconto. Di talché, le imprese a loro volta rispondono all’aumento di domanda incrementando i loro prezzi.
Il fatto che le pratiche di dynamic pricing possano rivelarsi svantaggiose per i consumatori conduce a chiedersi se non siano anche all’origine di tensioni con le norme europee in materia di concorrenza. Il quadro normativo, tuttavia, è lacunoso, in quanto sostanzialmente non ne tratta.
Secondo gli Orientamenti della Commissione per l’applicazione della Direttiva 2005/29 relativa alle pratiche commerciali sleali, gli operatori possono determinare liberamente i prezzi dei loro prodotti, a condizione di fornire ai consumatori informazioni adeguate in merito al prezzo totale e al modo in cui esso è calcolato. In alcune circostanze, tuttavia, le pratiche di dynamic pricing potrebbero essere qualificate come sleali ai sensi della direttiva. Più particolarmente, il fatto che un operatore aumenti il prezzo di un prodotto dopo che un consumatore lo ha messo nel suo carrello digitale potrebbe essere considerato un’azione ingannevole ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della Direttiva 2005/29.
Le pratiche di dynamic pricing, tuttavia, non rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento 2018/302 in materia di geo-blocking. Nella valutazione d’impatto relativa al Regolamento, infatti, la Commissione ha affermato di aver preso in considerazione, tra i parametri utilizzati dalle imprese nelle decisioni sui prezzi dei loro prodotti, solamente lo Stato di residenza/domicilio del consumatore nonché la sua nazionalità, in quanto solo questi ultimi costituiscono il punto di riferimento territoriale per valutare il rispetto del principio di parità di trattamento sancito dai Trattati. Né, similmente, le pratiche di dynamic pricing trovano una disciplina del Regolamento 2016/679 sulla protezione dei dati, le cui norme in materia di consenso informato, liceità dei trattamenti e profilazione, tra le altre, trovano applicazione soltanto laddove un operatore utilizzi i dati personali o pseudonimizzati del consumatore (riferendosi, pertanto, alle pratiche di “personalized pricing”).
Una soluzione a questo vuoto normativo sarebbe potuta provenire dalla Direttiva (UE) 2019/2161 per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori, i cui obblighi di informazione a favore dei consumatori, tuttavia, non trovano applicazione nel caso di fissazione di prezzo dinamica o in tempo reale (purché tali tecniche non comportino una personalizzazione basata su un processo decisionale automatizzato).
Conclusioni
L’importanza sempre crescente che il dynamic pricing ha acquisito nell’economia moderna rende auspicabile un intervento regolatorio a livello europeo che vada a colmare una lacuna normativa, bilanciando le esigenze delle imprese con quelle di tutela dei consumatori, fondamentali alla luce della posizione di “inferiorità informativa” in cui essi si trovano rispetto agli offerenti.
I prossimi mesi/anni, pertanto, saranno fondamentali per dare origine a sviluppi in tal senso, in uno scenario globale che dipende, sempre più, da algoritmi in grado di apprendere autonomamente dalle decisioni precedenti, con il rischio di venire a collidere anche con le norme europee di concorrenza.