Non ci sono solo Amazon e Alibaba. L’e-commerce del piccolo artigiano e dell’azienda agricola a due passi da casa oggi può sfidare i grandi siti di vendita on line. Sono state negli ultimi cinque anni le associazioni di categoria a spingere le piccolissime imprese famigliari a dotarsi di un servizio di e-commerce capace di dilatare gli orizzonti di mercato. Non sempre ci sono riuscite.
Per le aree interne e montane del Paese, la possibilità di uscire “dai confini” o, ancor prima, dal paese stesso, è fondamentale. Vale per lo più per le produzioni agroalimentari, di alta qualità. Se anche non è disponibile la catena del freddo (troppo onerosa per piccole imprese agricole e che trasformano le materie prime), ci sono tutte le altre eccellenze da inviare tramite corriere nel mondo intero. Bisogna vincere però resistenze culturali e pure ridotte quantità disponibili. Non è facile.
Due punti vanno affrontati. Strutturali e decisivi. Un buon sito di e-commerce, con regolare piattaforma per i pagamenti con carta e PayPal, può arrivare a costare oltre 10mila euro. Una cifra impegnativa per una piccola azienda agricola famigliare che produce e che ha utili annui di poco superiori a quello stesso costo. Vale allora la pena investire in portali unici multiprodotto e multiproduttore. Proprio dei piccoli Amazon con prodotti agroalimentari – dal vino ai biscotti, dalla birra alla frutta secca – di produttori diversi. Enogastronomia di qualità unita ad artigianato tipico ad esempio. Piccole botteghe che hanno una così vetrina on line, tradotta in diverse lingue, e che possono fidelizzare il consumatore che ha conosciuto il negozio fisico. Vi è entrato una volta, visitando quel paese delle Alpi e degli Appennini, e vuole ritrovare quel prodotto nella sua cucina a anche sei mesi dopo. Così, lo ordina on line e lo riceve a casa.
Il tema non è slegato dall’impegno che i piccoli Comuni devono mettere, insieme, nella digitalizzazione. E questo è il secondo punto da prendere in esame. Non conta solo rendere la PA accessibile e trasparente. Nelle aree interne sono gli Enti locali, Comuni e loro Unioni in primis, a doversi attivare per garantire un buon sviluppo economico locale. Una scienza vera e propria, che non può prescindere dagli Enti stessi. Lo conferma la Strategia nazionale Aree interne che vede tra i suoi assi i servizi da una parte (trasporti, scuola, sanità), dall’altra lo sviluppo economico, inteso come crescita delle imprese esistenti, avvio di start up, supporto alla creazione di nuovi prodotti e filiere tra aziende con diversi obiettivi. A promuovere i processi virtuosi legati all’innovazione devono essere gli Enti. Ancor prima delle associazioni di categoria, sono i Comuni i soggetti più vicini alle aziende. Stanno già nascendo siti internet di e-commerce di intere aree geografiche dalle stesse caratteristiche (si pensi a www.bottegadellalpe.it) o promossi da Unioni di Comuni. È un percorso che va di pari passo con quello legato alla digitalizzazione dei processi della PA e con l’infrastrutturazione del Paese grazie al Piano banda ultralarga.
Se il piano don dovesse andare in questa direzione, il rischio è avere da una parte Comuni che hanno inserito tutto on line, usano il cloud per i dati, si sono uniformati alle basilari regole UE sulla digitalizzazione. Dall’altra aziende piccole e incapaci di affrontare i mercati. Restano così emarginate, proprio perché poste nelle aree interne dove la desertificazione commerciale è un rischio già provato e in forte crescita. Solo in Piemonte sono 80 su 1200 i Comuni senza negozio o un bar, altri 300 che rischiano di perderli nei prossimi anni. Così in Lombardia e in Veneto, nelle vallate alpine, o nei borghi più piccoli dell’Appennino.
Serve anche su questo fronte una precisa agenda. Se è vero che Sindaco e Amministrazione hanno già mille problemi e pensieri, è vero che un Comune deve “badare” anche alla crescita delle imprese del territorio e del tessuto economico-sociale. In questi percorsi non può non inserirsi la digitalizzazione. Dei mercati e dei processi produttivi. Che restano sì artigiani, con quel salame fatto come 200 anni fa, con il prosciutto e il pecorino a stagionare nei locali che hanno tre secoli di storia, ma che possono varcare i confini grazie a un “e-commerce” collettivo che valorizzi prodotto e produttore, senza obbligarlo a utili bassi e non scontati come quelli imposti dai grandi canali di vendita, non solo on line. Gli Enti locali possono esserne garanti.