La spesa dei consumatori per i servizi in abbonamento di Video online come Netflix, Infinity, NowTv (ex Sky Online), TIMvision, continua a crescere, ma i numeri assoluti rimangono molto contenuti.
Netflix è approdato in Italia nel 2015, ma solo negli ultimi mesi il mercato italiano di questi servizi è cresciuto del 27% rispetto all’anno precedente, ma vale “solo” poco più di 50 milioni di euro, quasi nulla in confronto al mercato delle pay Tv (circa 3 miliardi di euro, tra Sky e Mediaset Premium). Anche i recenti numeri pubblicati da Netflix a livello internazionale al di sotto delle aspettative pongono alcuni dubbi sulle potenzialità di questo tipo di mercato.
E’ presto però per tirare le somme per diverse ragioni.
In primis perché si tratta di un’offerta di servizi recente e che in Italia è stata profondamente rivista e promossa proprio a seguito dell’ingresso di Netflix. TIMvision, che offre un’offerta eterogenea di serie Tv, film e documentari, ha appena lanciato il proprio decoder, basato sulla piattaforma Android Tv e permette la visualizzazione di contenuti in HD; Sky ha ri-brandizzato il proprio servizio da Sky Online a NOW TV, arricchendo ulteriormente la propria offerta di “pacchetti” di intrattenimento, serie Tv e cinema; Infinity, al netto di capire l’evoluzione dell’affare Vivendi-Mediaset, potrebbe rientrare all’interno di un ampio progetto europeo che vedrebbe la costruzione di un’unica offerta nata dall’unione di più servizi locali (oltre a Infinity, ad esempio Watchever in Germania e CanalPlay in Francia).
In secondo luogo perché l’ingresso di Netflix ha aumentato l’interesse dei consumatori verso questo tipo di offerte: secondo una ricerca effettuata dall’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, sono circa 3,2 milioni (dato aggiornato ad aprile 2016) gli italiani che utilizzano almeno uno di questi servizi, valore che comprende sia gli utenti paganti, sia coloro che sono nel “periodo di prova”, sia chi usufruisce dell’abbonamento di un conoscente (alcuni servizi infatti consentono di usufruire del servizio su device differenti, senza possibilità di controllare che siano effettivamente di proprietà di un singolo abbonato).
In terzo luogo perché è un segmento di mercato che sta suscitando molto fermento anche a livello internazionale tra i grandi Over the Top: YouTube ha lanciato (per ora solo in Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) il servizio premium YouTube Red che permette di accedere a contenuti in esclusiva e senza pubblicità; Amazon continua ad investire sul suo prodotto Prime Video, che potrebbe arrivare in Italia nel prossimo autunno; Time Warner ha appena rilevato il 10% di Hulu, un servizio di live streaming molto diffuso negli Stati Uniti che porta online programmi, film e serie Tv; Disney ha lanciato nel Regno Unito un servizio digitale in abbonamento per l’accesso a tutti i suoi contenuti online; anche Spotify, leader nel settore musicale, sta pensando di ampliare la propria proposta con contenuti Video, tra cui diverse serie originali con episodi da 15 minuti ciascuno.
D’altro canto è evidente che la partita di questi player in Italia è ancor più complessa che in altri Paesi per le seguenti ragioni.
Da un lato queste offerte si scontrano con la “cultura” del consumatore italiano, molto legata al televisore: secondo una ricerca IHS, l’Italia è il paese nel quale si guarda più Tv in Europa, ben 4 ore e 40 minuti al giorno, quasi 50 minuti in più rispetto alla Spagna, che è il secondo paese in questa classifica. In Francia, Germania e Regno Unito i valori sono decisamente più bassi, mentre è cresciuto più rapidamente il consumo di Video online. Inoltre in Italia l’offerta generalista in Tv (ripresa poi anche online sui portali degli stessi broadcaster) è molto ricca, più che negli altri Paesi. In aggiunta, i fenomeni di pirateria nel nostro Paese continuano ad essere elevati e c’è poca abitudine/propensione a pagare contenuti premium online. Da ultimo, ma non per importanza, la diffusione di questi servizi è frenata in Italia dalla penetrazione della banda ultralarga, che è molto più ridotta rispetto a quella degli altri principali Paesi europei.
È quindi ad oggi poco probabile prevedere che nel breve periodo possa esserci in Italia un significativo aumento del valore di questo mercato, anche se l’attenzione verso questi servizi rimane molto alta.