Le aziende sono soffocate da un carico fiscale elevatissimo e da una caduta verticale dei consumi interni. Resistono al meglio quelle che si aprono ai mercati internazionali e quindi traggono nuova linfa dall’export. In generale, la situazione è certamente grave e colpisce in modo abbastanza trasversale tutti i settori e le aree geografiche del paese.
Il mercato dell’ICT non è ovviamente indenne da questa situazione di crisi che anzi, è ulteriormente esasperata dalla già scarsa tendenza a investire in ICT da parte di un mondo industriale molto frastagliato. Sappiamo bene, infatti, che molte imprese, a causa delle loro dimensioni, capitalizzazione, cultura manageriale e competenze tecniche, troppo spesso sono incapaci di cogliere appieno le potenzialità dell’ICT o, più banalmente, non hanno le risorse umane e economico-finanziarie per poter acquisire e sfruttare queste tecnologie.
Purtroppo, in Italia per troppo tempo ci siamo cullati nell’illusione del “piccolo è bello”. In realtà “piccolo è bello quando non è troppo piccolo” e comunque se esiste sempre una tendenza alla crescita e al consolidamento. Da noi invece il “nanismo delle imprese” ha assunto un aspetto di degenerazione cronica. In USA, sono considerate imprese medio-piccole quelle che hanno meno di 500 dipendenti. In Italia sono grandi quelle che superano i 250 dipendenti e, nel contempo, le piccole imprese (la stragrande maggioranza) spesso non arrivano nemmeno alla decina di collaboratori. È quindi evidente che il tema della crescita dimensionale assume un ruolo non marginale sullo sviluppo di mercati ad alto contenuto tecnologico come appunto l’ICT.
Per rispondere a queste criticità, spesso vengono evocati interventi pubblici che sostengano la domanda di ICT, o attraverso commesse pubbliche o attraverso incentivi che spingano le imprese private e i cittadini a comprare prodotti e servizi ICT. Indubbiamente, rafforzare o stimolare la domanda può certamente contribuire ad affrontare il problema. Ma lo stimolo alla domanda non costituisce di per se stessa una condizione sufficiente a indurre un miglioramento visibile e concreto nelle dinamiche del mercato e delle imprese utenti, specialmente sul medio periodo. Non basta “spingere a comprare”. È necessario procedere anche ad una profonda rivisitazione dell’offerta di prodotti e servizi ICT che renda disponibili alle imprese, quelle che oggi esistono e operano nel paese, beni che realmente rispondano ai loro bisogni e si adattino alle loro caratteristiche e capacità di spesa e di utilizzo. Troppo spesso, invece, l’offerta non è assolutamente adatta e neanche comprensibile alle potenziali imprese utenti. Basti a questo proposito vedere, a titolo di esempio, come vengono proposte e declinate nuove tecnologie e soluzioni come il cloud computing.
Il cloud computing può certamente essere una grande opportunità per le imprese italiane, proprio perché permette di sviluppare soluzioni facilmente scalabili e che vengono messe a disposizione delle imprese sgravandole dagli oneri di gestione e aggiornamento delle soluzioni. È certamente ciò di cui hanno bisogno tantissime piccole imprese, magari di artigiani o di piccoli imprenditori, che devono poter aver accesso a queste tecnologie in modo semplice, diretto e immediatamente utile per contribuire al successo delle proprie attività.
Purtroppo il cloud computing viene invece presentato con due grandi limiti: 1. Si utilizzano linguaggi, modalità di descrizione e offerte commerciali create per altri mercati o per aziende di dimensioni medio-grandi. Spesso si vedono presentazioni molto complesse, intrise di termini tecnici che per il piccolo imprenditore non hanno alcun significato: “platform as a service”, “hybrid cloud”, … Sono concetti certamente comprensibili dal CIO di grande imprese come banche, assicurazioni, utilities, ma non dai piccoli imprenditori. 2. Troppo spesso il cloud viene presentato solo come servizio infrastrutturale, senza contenuti applicativi direttamente collegati al business e alle esigenze dell’imprenditore. Il caso degli alberghi è da questo punto di vista esemplare.
Il turismo è per l’Italia un settore vitale. Eppure la dotazione di sistemi informatici e servizi su internet è ancora debole. Si continua a pensare a sistemi monolitici come i portali per il turismo, e non si è capito che il punto nodale è creare una rete che permetta di raccogliere e scambiare dati dei tanti attori del turismo, a cominciare da chi si occupa di accoglienza. Creare un portale nazionale che non parli con i sistemi dei singoli operatori è inutile.
Ma perché gli operatori non si parlano o fanno fatica a farlo? Tante sono le ragioni, anche culturali e sociali, ma esiste un tema tecnologico e economico non banale. L’Italia ha un numero di camere di albergo che risulta essere secondo solo agli Stati Uniti (che è un po’ più grande di noi …). Questo numero enorme in realtà si distribuisce in tantissime realtà piccole, se non piccolissime: la dimensione media di un albergo è di circa 30 camere e solo il 4% degli alberghi appartiene a catene e quindi accede facilmente ai servizi e alle infrastrutture che esse offrono. In uno scenario di questo tipo, c’è da stupirsi se le strutture alberghiere facciano fatica a essere presenti su internet in modo coerente e integrato? E sarà mai utile creare portali centralizzati, non integrati con le realtà imprenditoriali, cioè grandi vetrine senza capacità di accedere ai contenuti presenti sul territorio? Come risolvere quindi il problema?
Certamente il cloud può aiutare. Si potrebbero in particolare creare soluzioni semplici per la gestione di piccoli alberghi offerte in cloud. Questo libererebbe l’albergatore dal dover gestire in casa propria il sistema. Inoltre, fatto ancora più importante, l’aver “portato fuori” dall’albergo e razionalizzato il sistema di gestione rende molto più agevole creare layer di integrazione e sistemi di interconnessione standard con servizi turistici integrati.
In altre parole, molte piccole imprese hanno bisogno di servizi applicativi semplici da usare e gestire, a basso costo, scalabili e già integrati con servizi infrastrutturali e “di sistema” che siano a loro utili (vedi e-commerce e pagamenti elettronici). Quale migliore opportunità per chi fornisce servizi in cloud? Ma se il cloud si riduce ad essere solo offerta di connettività, risorse di calcolo, servizi infrastrutturali o di piattaforma, come potrà mai essere considerato utile da piccole imprese come gli alberghi?
Certamente, per una azienda ICT è molto più “facile” e conveniente fare un grosso contratto per servizi infrastrutturali in cloud con la grande banca e impresa che sviluppa poi in proprio (o con propri fornitori) le parti applicative. Molto più complicato è sviluppare soluzioni che devono essere vendute a costi unitari bassi ad un universo di piccole entità sparse sul territorio. Ma se non si procede in questo modo, a che serve poi lamentarsi del fatto che “le aziende non comprano”? Come provocazione provo a dire “facciamo il salesforce.com per la gestione dei piccoli alberghi” o soluzioni simili: certamente così la domanda avrebbe qualcosa che viene percepito come utile e da comprare.
Per di più, spostare l’asse del ragionamento secondo questo schema servirebbe anche a rispondere ad un altro aspetto del problema: come far rinascere e rafforzare le imprese ICT Italiane? Lo sviluppo di soluzioni pensate sulle caratteristiche delle imprese utenti italiane sarebbe certamente un modo per differenziarle dai fornitori di servizi ICT “classici” di cultura e matrice anglosassone o comunque internazionale. Ciò non per negare o annullare una vocazione internazionale, ma per ritrovare elementi di unicità che possano anche servire a distinguersi e differenziarsi sui mercati esteri.
In sintesi, se non si incide sulle cause profonde del problema e ci si accontenta solo di auspicare un “incentivo alla spesa” è inutile poi lamentarsi di un mercato depresso: è un circolo vizioso che non troverà mai una reale discontinuità, uno sbocco di consistente crescita sia per le imprese utenti che per gli operatori del mercato ICT.