Cambierà in meglio la vita dei negozi e-commerce su Amazon in virtù di un accordo raggiunto con le autorità antitrust europee. E’ legato alla modifica di alcune delle pratiche commerciali applicate sulla propria piattaforma di e-commerce nei confronti degli utenti commerciali.
È da anni, infatti, che Amazon si trova al centro di indagini volte ad accertare la violazione della normativa antitrust, a causa di contestate prassi interne legate a
- la raccolta di dati non pubblici sui venditori terze parti in modo da consentire ad Amazon di offrire prodotti a loro concorrenti
- a strumenti come la “Buy Box” (box “Acquista ora”) che discriminavano chi non sottostava a politiche di prezzo super concorrenziali
- e la collocazione, tra i primi risultati della ricerca, dei prodotti venduti da terze parti che sceglievano di aderire alla logistica convenzionata di Amazon.
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Si tratta di un accordo che consentirebbe ad Amazon di evitare l’applicazione di pesanti sanzioni (si parla, infatti, di sanzioni che avrebbero potuto essere quantificate addirittura nel 10% dei ricavi annui mondiali del gruppo), e rappresenterebbe un chiaro segnale di come l’azione delle autorità stia incidendo sui mercati digitali. L’accordo, infatti, anche se non comporterà l’emissione di una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti del colosso dell’e-commerce, potrebbe anticipare dei cambiamenti anche nelle politiche di gestione della piattaforma da parte di altre Big Tech, come Apple, Google e Meta, le quali pure si trovano da anni al centro di indagini da parte delle autorità antitrust, non solo europee.
Al contempo, l’accordo raggiunto con Amazon consentirà agli utenti commerciali di beneficiare di nuove opportunità, e di beneficiare di una maggiore tutela rispetto a pratiche preferenziali ritenute illegittime.
Il contenuto dell’accordo Antitrust ue e Amazon
Come anticipato in premessa, Amazon, in esito ad un contenzioso aperto con l’autorità antitrust europea, avrebbe finalmente raggiunto un accordo sul tema delle pratiche commerciali scorrette attuate nei confronti dei competitor di terze parti che vendevano i propri prodotti sulla piattaforma.
Occorre rammentare, infatti, come Amazon da anni rivesta un duplice ruolo: quello di gestore della piattaforma di e-commerce, e quello di rivenditore di prodotti a marchio proprietario sulla piattaforma medesima. Questa circostanza aveva portato la società, secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalle Autorità, ad attuare pratiche ritenute illegittime che privilegiavano i prodotti a marchio della stessa Amazon in luogo dei prodotti concorrenti (anche tramite il placing di prodotti a prezzi eccessivamente inferiori rispetto ai venditori terzi) o che avvantaggiavano quei venditori di terze parti che decidevano di far affidamento ai propri servizi di logistica.
Stando a quanto riportato dal Financial Times e dal The New York Times la conclusione di un accordo di tale natura con l’antitrust europeo consentirà ad Amazon di non affrontare sanzioni di natura finanziaria, oltre che di evitare una battaglia legale che sarebbe durata anni e l’erogazione nei suoi confronti di multe dal valore di svariati miliardi di dollari (si pensi che i ricavi globali l’anno scorso ammontavano a 470 miliardi di dollari).
L’accordo, riporta il NYT, dovrebbe essere annunciato il 20 dicembre, e andrà a concludere due indagini antitrust attualmente pendenti presso le autorità europee, costringendo Amazon ad apportare una serie di modifiche che aiuteranno i commercianti indipendenti che avevano sollevato, nel corso degli anni, numerosi allarmi sulle pratiche commerciali intraprese da Amazon.
L’accordo, infatti, prevedrà l’obbligo, per Amazon, secondo quanto riferito in via anonima alle testate, e dunque ancora in via assolutamente preliminare, di fornire ai produttori rivali pari accesso ai servizi sul proprio sito.
Cosa otterranno i venditori terze parti
Detto accordo, appare molto simile ad una bozza che è stata annunciata dalla Commissione Europea nel luglio di quest’anno, nella quale si prevedeva, in particolare:
- L’interruzione della raccolta di dati non pubblici relativi ai venditori di terze parti che vendevano sulla piattaforma prodotti della stessa tipologia di quelli di Amazon. I commercianti indipendenti che si affidano ad Amazon per raggiungere i clienti si lamentano da tempo, infatti, di come l’azienda utilizza le informazioni sui termini di vendita, le entrate e l’inventario per prendere decisioni su quali prodotti creare, vendere e promuovere, come la sua linea di prodotti Amazon Basics;
- L’accesso semplificato dei commercianti terzi a spazi maggiormente vantaggiosi, come appunto le c.d. Buy Box, che ponevano in risalto alcuni prodotti in offerta speciale e che rappresenta i due pulsanti prominenti sulla scheda di un prodotto che spingono i clienti a “Acquista ora” o “Aggiungi al carrello”. Il posizionamento all’interno della Buy Box, infatti, è un importante motore di vendita per le aziende che vendono su Amazon, ma se Amazon vede un prodotto in vendita a un prezzo inferiore su un altro sito, rimuoverà quei due pulsanti e li sostituirà con un linguaggio e un design meno allettanti, che possono ridurre drasticamente le vendite. “Un prezzo è considerato non competitivo anche se è solo un centesimo sopra i rivenditori affidabili al di fuori di Amazon”, ha spiegato Varun Soni, che guida il team dei prezzi dei venditori di Amazon, in una conferenza tenutasi ad ottobre. Come parte dell’accordo, tuttavia, Amazon si è impegnata a dare ai commercianti pari accesso a detto spazio, promettendo di creare anche una seconda box per le offerte se c’è una differenza rilevante nel prezzo o nei tempi di consegna;
- La possibilità per i venditori terzi di partecipare al programma Prime e ai suoi benefici senza che siano obbligati anche a far ricorso al servizio di logistica di Amazon. Si potrà rafforzare quindi il mercato della logistica alternativa, con vantaggi economici per i venditori.
L’accordo avrà la durata di 5 anni e si applicherà esclusivamente alle operazioni condotte da Amazon in unione Europea; ciò fa salva, ad ogni modo, la possibilità per Amazon di applicare le stesse modifiche anche al di fuori dei confini dell’UE.
Le prassi commerciali contestate
Al fine di meglio esplicare le motivazioni sottostanti alla conclusione dell’accordo, appare utile svolgere una disamina delle principali pratiche oggetto di contestazione da parte delle autorità europee, alcune delle quali comunque parzialmente risolte nel tempo da parte della piattaforma di e-commerce.
In relazione, in primo luogo, alle politiche di determinazione del prezzo, il Dott. Alberto Caschili, consulente legale per il mondo digitale che da tempo si occupa di studiare le politiche commerciali del colosso digitale, afferma che “Amazon ha come obiettivo dichiarato esplicitamente in policy e in tutta la sua comunicazione quello di essere l’azienda che è più attenta al cliente al mondo. Questo ovviamente anche per ciò che riguarda i prezzi: la conseguenza è che l’altro lato del rapporto, i venditori terzi, subiscono regole fortemente limitative della loro attività di vendita sul marketplace”. “Questa tensione”, continua Caschili, “è sfociata nella politica del prezzo equo che rende responsabili i venditori con conseguenze sanzionatorie che vanno dalla non pubblicazione della pagina fino alla perdita dei privilegi di vendita. In particolare, Amazon ha elaborato dei criteri con i quali si individuano dei prezzi che “ledono la fiducia dei clienti” tra cui è presente: “L’assegnazione di un prezzo, su un prodotto o servizio, notevolmente più elevato rispetto ai prezzi recentemente offerti sia su Amazon che su altri canali””.
“È chiaro”, tuttavia, “che se per mantenere la Buy Box occorre avere un prezzo inferiore rispetto ai canali esterni la conseguenza è che i prezzi esterni saranno aumentati, con pregiudizio, alla fine per i consumatori”.
In relazione alla Buy Box, inoltre, il Dott. Caschili suggerisce che Amazon trovi “un diverso sistema per ritenere un prezzo conforme alla sua policy e che permetta di accedere alla Buy Box che non sia vessatorio per i Merchant, da sempre sacrificati in vista della soddisfazione del consumatore finale. Amazon ha anche promesso di creare una seconda Buy Box se c’è una differenza sufficiente nel prezzo e tempi di consegna. E’ molto interessante capire come si evolverà questo aspetto perché sarebbe una modifica enorme rispetto a quanto è accaduto sino ad oggi dalla nascita di Amazon. Bisognerà però capire come vorranno implementarlo sulle schede prodotto e se effettivamente tutti i venditori potranno accedervi, a che condizioni e anche soprattutto, quanta rilevanza avrà questa seconda Buy Box nella pagina prodotto in relazione alla facilità di acquisto dei consumatori”.
Con riguardo al divieto di utilizzo dei dati non pubblici, occorre evidenziare come ciò sia particolarmente rilevante nell’ipotesi di piattaforme “duplici” e di enorme rilievo come Amazon, e come costituisca “una vittoria di non poco conto” per gli Amazon Seller: basti pensare, infatti, come all’interno di detti dati rientrino anche le fatture d’acquisto, richieste da Amazon per la verifica dell’autenticità dei dati, che consentono di risalire talvolta sino al produttore, ricostruire la filiera e assicurarsi di mettere a disposizione prodotti non contraffatti.
“Questa pratica è assolutamente legittima e auspicabile in ottica di tutela del mercato fin quando però, non sfocia in pratiche scorrette come la duplicazione dei prodotti dei venditori terze parti, addirittura fabbricati dai medesimi fornitori (conosciuti grazie alla documentazione fornita)”, afferma il Dott. Caschili, rilevando come addirittura sia capitato “è capitato di ricevere lamentele da parte di seller che dopo aver fornito queste informazioni ad Amazon hanno perso la possibilità di rifornirsi con i loro produttori poiché “preferivano” concentrarsi sui volumi ordinati direttamente da Amazon, che ha una forza economica ben maggiore, rispetto ad un venditore terzo”. Detta pratica, con l’accordo, dovrebbe cessare, fatta salva la necessità di garantirne il controllo e il rispetto.
Relativamente, poi, ai privilegi Prime, si evidenzia come detto “badge” sia assegnato, secondo quanto ricostruito dal Dott. Caschili, automaticamente a tutti i venditori che utilizzano la logistica propria di Amazon: “questo incentiva in modo evidente i merchant ad utilizzare (a pagamento) la logistica di Amazon, con svantaggio per tutti coloro che hanno la possibilità di poter gestire in autonomia questa fase di vendita”. Tuttavia, già da diversi anni, è stato concesso anche agli utenti che non utilizzano la logistica di Amazon di accedere all’etichetta Prime: “per farlo”, precisa Caschili, “occorre rispettare standard simili a quelli della logistica che non sono facili da rispettare ma che Amazon può legittimamente richiedere. Diversa è la modalità con la quale è possibile ottenere questo badge. In passato era possibile farlo solo tramite l’accordo con il corriere TNT, l’unico capace (secondo Amazon) di assicurare gli standard richiesti. Questo comportava l’obbligo per i venditori che volessero accedervi di stringere una collaborazione commerciale con l’unico player a disposizione, situazione assi limitante per la concorrenza. Da circa 6 mesi è stato aggiunto anche il corriere BRT tra quelli che rispettano gli standard imposti da Amazon e questo consente quantomeno ai seller di effettuare una scelta ai seller”.
I possibili risvolti per le Big Tech
“L’accordo”, afferma il New York Times, non potrebbe comportare “potrebbe prefigurare cambiamenti in Apple, Google e Meta, che stanno anche affrontando indagini antitrust dell’UE e stanno correndo per conformarsi alle nuove leggi europee che mirano al settore tecnologico e entreranno in vigore entro il 2024. Il risultato potrebbe essere modifiche agli strumenti digitali di tutti i giorni, compresi gli app store, i metodi pubblicitari online e le politiche per il controllo dei contenuti tossici sui social media”.
Sebbene, infatti, l’accordo sia limitato ad Amazon, lo stesso potrà senz’altro rappresentare una linea guida per le Big Tech che presentano medesime problematiche inducendo le società a modificare quegli aspetti che potrebbero esporle a sanzioni di natura pecuniaria particolarmente elevate e potenzialmente lesive per il business.
Senza contare che l’accordo rappresenta un evidente segnale positivo per le autorità di controllo europee: anche se Amazon non dovrà affrontare sanzioni pecuniarie, infatti, il risultato ricercato dalle autorità era proprio quello di convincere le grandi società del web, seppur con alterne fortune, a modificare quelle pratiche commerciali che si ritiene contrastino la concorrenza, minando alla preservazione dei normali equilibri di mercato oltre che alla privacy dei dati, consentendo talvolta la diffusione di contenuti illeciti online.
I portavoce della Commissione Europea si sono rifiutati di commentare la notizia; tuttavia, Amazon ha fatto riferimento, al NYT, a una precedente dichiarazione secondo cui si è “impegnata in modo costruttivo con la Commissione per affrontare le loro preoccupazioni e preservare la nostra capacità di servire i clienti europei”.
Ad ogni modo, l’efficacia dell’accordo su Amazon e delle nuove leggi dipenderà dalla sua applicazione, ha affermato Agustin Reyna, direttore degli affari legali ed economici presso l’Organizzazione europea dei consumatori, un gruppo che ha esortato le autorità di regolamentazione a indagare sulle pratiche di Amazon. Altrimenti, le aziende saranno in grado di mantenere il loro dominio per molti anni a venire, ha detto ai reporter del NYT.
Il contesto normativo europeo
Occorre evidenziare, in chiusura, come l’accordo in esame andrà, inoltre, a collocarsi all’interno di un quadro normativo che vede intensificarsi il controllo sulle pratiche commerciali e di trattamento dei dati attuate dalle grandi società del web.
E’ recentemente entrato in vigore, infatti, il Regolamento UE 2022/1925 sui mercati digitali (noto altresì come Digital Markets Act, o DMA), il cui obiettivo fondamentale è quello di disciplinare il ruolo, all’interno dei mercati digitali, dei c.d. gatekeeper, ossia dei soggetti che si occupano di gestire piattaforme e servizi strategici che collegano in via diretta consumatori e aziende, per costruire un ambiente digitali più leale, stimolare l’innovazione del settore e proteggere i consumatori.
Si tratta di servizi pari a quelli resi da Amazon, Google, ed Apple, connessi sia all’e-commerce che all’acquisto di software e ai motori di ricerca. Servizi di tale rilevanza e importanza da avere la capacità, nel mercato digitale, di generare vere e proprie economie interne, che necessitano di egual tutela rispetto alle economie tradizionali, al fine di prevenire l’insorgenza di fenomeni abusivi.
Come si legge nel testo del Regolamento, infatti, la rilevanza delle piattaforme digitali nel mercato presta il fianco a pericolosi fenomeni di alterazione della libera poche grandi aziende si ingeneri un fenomeno di controllo di interi ecosistemi di piattaforme, estremamente difficile da sfidare o contrastare per gli operatori di mercato più piccoli. “La contendibilità”, in un mercato simile, “è ridotta in particolare a causa dell’esistenza di barriere molto alte all’ingresso o all’uscita, tra cui i costi di investimento elevati, che in caso di uscita non possono essere recuperati o possono essere recuperati con difficoltà, e l’assenza di alcuni input chiave nell’economia digitale, quali i dati, o l’accesso ridotto agli stessi. Cresce di conseguenza la probabilità che i mercati sottostanti non funzionino correttamente, o non siano in grado di farlo nell’immediato futuro”.
Tra le pratiche vietate dal regolamento rientrano anche le pratiche che saranno oggetto dell’accordo che andrà a concludersi con l’autorità antitrust europea, ossia di c.d. autoagevolazione.
Anche alla luce di detta nuova normativa, le aziende hanno dunque progressivamente avviato un processo di modifica di alcune delle prassi maggiormente contestate, al fine anche di evitare che la mancata conformità normativa possa tradursi nell’impossibilità di raggiungere un mercato, come quello europeo, comunque florido e di rilevanza economica.