Gorillas lascia l’Italia (e non solo) e non rinnova il contratto a 540 dipendenti. Getir taglia l’organico a livello mondiale del 14%. Fanno pensare le sorti di queste startup, dall’analogo modello di business.
Comparsi nel periodo della pandemia, basati sulla convinzione che il futuro del retail fosse nel “q-commerce” (quick commerce), i dark store (magazzini urbani senza insegna), si pongono come infrastrutture di iper-prossimità per la consegna veloce dell’ultimo miglio dei prodotti essenziali per la persona, secondo il claim “Need-Order-Get”.
Consegne, quelle garantite da marchi come Gorillas e Getir, ancora più rapide dei termini imposti dal food delivery di Glovo, Deliveroo o Just Eats, piattaforme di food delivery globali, effettuate entro dieci minuti dalla ricezione dell’ordine.
Una realtà che, però, in Italia e in altri Paesi non ha sfondato. Proviamo a capire perché.
Q-commerce: la nuova frontiera dell’eCommerce “in tempo reale”
La pandemia e l’affermazione del q-commerce
I due anni della pandemia hanno scavato un solco profondo con i periodi precedenti in termine di impulso all’innovazione.
Vent’anni, secondo gli standard di abituale crescita tecnologica, compressi in due.
Ci sono abitudini ormai entrate nel quotidiano, che parevano remote e distanti dalla experience tradizionale del consumatore italiano, anche solo a febbraio del 2020, il mese prima dell’esplosione pandemica.
Ne sa qualcosa il mondo della ristorazione, ove definizioni quali ‘’ghost kitchen’’ e ‘’food delivery’’ prima appannaggio di pochi, inclusi i professionisti del settore specifico, sono oggi conosciute dai più e ricondotte correttamente alle proprie funzioni anche dall’utenza finale.
E anche nel mondo della distribuzione abbiamo assistito a una buona dose di disruption legata in particolare all’affermarsi del q-commerce e dei dark store.
L’ascesa di Gorillas
In questa ottica si inquadra l’affermazione repentina di Gorillas in diversi mercati, tra i quali quello italiano, che consente agli utenti dell’app di beneficiare dell’accesso a oltre 2.000 articoli essenziali, a prezzi competitivi con i grocery store tradizionali, consegnati alla porta del cliente entro 10 minuti dall’ordine, con un unico contributo di consegna di 1,80 euro.
L’unicorno berlinese, dopo 5 round di investimento da parte di 21 investitori, per un totale di 1,3 Miliardi di dollari, tra cui Delivery Hero, Alanda Capital Management Limited, FoodLabs, Tencent, DST Global ed un aggressivo piano di sviluppo nelle principali città europee, ha deciso, dopo solo un anno dal suo ingresso nel territorio nazionale, di focalizzarsi sui mercati a maggior resa economica o la cui crescita appare sostenibile dopo una dirompente calata sulle principali città europee.
Focus sul raggiungimento della redditività nei suoi cinque mercati chiave – Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Stati Uniti – dove la startup vede un enorme potenziale nel prossimo futuro. Di qui l’abbandono dei Paesi meno performanti tra i quali Spagna, Italia e Danimarca.
Ma se Gorillas bisbiglia non canta certo di gioia Getir, la concorrente nata in Turchia che ha raccolto un totale di 1,8 miliardi di dollari di finanziamenti in 7 round, a partire dal 2017 e che ha tra gli investitori Sequoia Capital e Tiger Global management: saranno 5.000 i posti di lavoro tagliati nel volgere dei prossimi mesi. Getir ha in Italia ha circa 1300 lavoratori.
Pochi sanno che Gorillas e Glovo hanno in Delivery Hero, altro unicorno berlinese, lo shareholder di riferimento. Dallo scorso autunno detiene l’8% di Gorillas, acquisito quando ha guidato un round di finanziamento che ha valutato la startup 3,1 miliardi di dollari.
Pochi mesi dopo, a partire dal 4 luglio, la quota di Delivery Hero in Glovo è salita al 94%.
I motivi del flop di Gorillas in Italia e altri mercati
Ma perché Gorillas in Italia non ha funzionato, e non solo in Italia?
Partiamo da una prima analisi grossolana, facilmente comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
Facciamo, quindi, un confronto tra la città di Milano e New York, una della città su cui Gorillas ha annunciato di volersi concentrare: mentre il capoluogo meneghino ha una concentrazione di circa 7.500 abitanti per chilometro quadrato, la Grande Mela riportava al 2020 circa 17.000 abitanti sulla medesima area.
Gli abitanti totali sono 1.3 milioni per la prima e 9 milioni per la seconda.
È quindi evidente che un modello di business che si basa sulla necessità di soddisfare velocemente un consumo di impulso, e che per poter essere efficiente ha dei costi di struttura fissi importanti in termini di logistica, risorse umane e mantenimento delle infrastrutture tecnologiche, non può essere applicato con la stessa conformazione su realtà che si rivolgono ad un bacino d’utenza tanto eterogeneo.
In fondo anche McDonalds adatta i suoi panini al paese nei quali apre i suoi ristoranti, perché dovrebbe essere diverso per realtà comunque complementari alla distribuzione?
Non secondario è la scarsa marginalità che Gorillas (ed i suoi competitor) applicano ai prodotti in vendita per non perdere di competitività con gli store fisici; a questo si aggiunge la scelta di dotarsi di una flotta di rider assunti dall’azienda, con un costo orario di 10,50 euro ed una serie di incentivi su base variabile, il tutto applicato a scontrini con un valore medio di 10-12 Euro.
La sovrapposizione poi dell’offerta di Gorillas con quella degli operatori legati al food delivery che da tempo hanno integrato ai servizi di consegna dei menu dei ristoranti un ampio catalogo grocery (vedi gli accordi di febbraio 2022 siglati tra Glovo e FinIper con una offerta che copre ben 3.500 referenze tra food e non food, consegnate in 35 minuti) e Deliveroo con Carrefour, ha ulteriormente eroso quote al bacino d’utenza delle piatteforme di quick commerce.
È paradossale poi notare che il più grosso competitor in Italia di Gorillas sia la “sorella” Glovo, con lo stesso azionista di riferimento: evidente come la ritirata della start-up tedesca lasci, comunque, la leadership del canale ad una società controllata dallo stesso Gruppo.
È la fine del quick commerce?
Se questa sia la fine del quick commerce, quanto meno nella formula attuale, lo vedremo nei prossimi mesi: è indubbio che l’aumento dell’inflazione, con una sensibile riduzione della spesa per le famiglie già a partire da settembre 2022, ed il deterioramento delle prospettive macroeconomiche siano diventate variabili incredibilmente impegnative, con pochissima visibilità su quando le cose miglioreranno, specialmente nel settore dei beni di consumo.
Questa incertezza sta vedendo gli investitori, i Venture Capital, ridurre considerevolmente la propensione al rischio, favorendo la redditività rispetto alla crescita, e le aziende di fast-delivery ad oggi appaiono vivere e morire in base alla quantità di capitale che sono in grado di raccogliere, continuamente.
Il nodo della sostenibilità nella distribuzione veloce
Quindi, c’è una sostenibilità nella distribuzione veloce sia di cibo e nel grocery in generale?
Probabilmente si, ed è realistico pensare che sarà nel brevissimo una abitudine per tutte le famiglie. Ma lo sarà quando gli operatori smetteranno di vendersi come “startup” ed inizieranno a strutturarsi come aziende.
Uno dei primi segnali di evoluzione e di ripensamento del modello di business iniziale da parte di Gorillas è data dalla notizia resa pubblica a maggio 2022 della partnership, che segue l’acquisizione da parte di Gorillas della francese Frichti, con Casino Group, in Francia.
Obiettivo è il rafforzamento del legame tra Frichti, leader francese nel q-commerce, e Monoprix, leader nelle consegne a domicilio. Di conseguenza, Casino Group sarà direttamente coinvolto nella creazione della catena del per Frichti (controllata appunto da Gorillas) attraverso la sua partecipazione nel capitale della società. La partnership strategica dovrebbe essere finalizzata entro la fine dell’estate 2022.
Quindi, accantonare la gestione dei dark store, fortemente limitanti nella capacità di offrire una profondità di gamma in grado di soddisfare la clientela ed impegnativi in termini di investimenti e mantenimento, a favore di un servizio a favore del retail fisico tradizionale pre essere la strada imboccata nel dagli operatori del q-commerce.
Contestualmente Gorillas ha sospeso i piani di espansione fuori da NYC concentrandosi sulle possibili fusioni con operatori concorrenti, tra i quali JKR, altro operatore in debito di performance.
Conclusioni
È stata una bolla? Probabile, ma ha messo in luce la solidità del tessuto distributivo italiano e della capillarità dei suoi supermercati di quartiere e che, speriamo, trovino in questa affermazione le risorse e le motivazioni per continuare un processo di innovazione che ne consolidi la leadership.