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Pratiche commerciali scorrette online: i nuovi diritti dei consumatori



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La Direttiva europea Omnibus e il decreto di attuazione che modifica il codice del consumo hanno l’obiettivo di modernizzare il diritto dei consumatori nel mondo digitale. Sono affrontati temi come le pratiche commerciali scorrette “Dual Quality”, gli inviti all’acquisto su mercati online e le recensioni

Pubblicato il 6 dic 2023

Raffaele Torino

Professore ordinario di Diritto Privato Comparato presso l’Università degli Studi Roma Tre (Dipartimento di Scienze Politiche)



ecommerce

Le recenti modifiche al Codice del Consumo volte a dare attuazione alla Direttiva Ue Omnibus delineano un quadro normativo che mira a garantire equità e legittimità nelle transazioni online, affrontando tematiche delicate come le pratiche commerciali scorrette di “Dual Quality”, gli inviti all’acquisto su mercati online, l’informazione al consumatore tramite motori di ricerca e il dibattuto fenomeno delle recensioni online.

Ancora in fase di definizione è il delicato tema del secondary ticketing, pratica commerciale che solleva non poche questioni etiche e legali.

In questo contesto, si pone l’esigenza di una continua attività di monitoraggio e aggiornamento legislativo per garantire la protezione del consumatore nella dimensione digitale.

Modifiche al Codice del consumo: modernizzare il diritto dei consumatori

Con il D. Lgs. 26/2023 il legislatore italiano è intervenuto nuovamente sul d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (il Codice del Consumo) per introdurre le modifiche necessarie a dare attuazione alla direttiva (UE) 2019/2161 (c.d. ‘Direttiva Omnibus’) per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori.

Direttiva europea e decreto di attuazione hanno quale obiettivo di fondo di modernizzare il diritto dei consumatori, specialmente nel contesto online.

Le definizioni di di “classificazione” e quella “mercato online”

A tal fine sono state anzitutto introdotte nel Codice del Consumo due definizioni integralmente nuove: quella di ‘classificazione’ e quella di ‘mercato online’.

Per ‘classificazione’ (utile nell’ambito ai nuovi obblighi informativi imposti dal modificato art. 22, comma 4-bis, del Codice del Consumo in relazione alle ricerche online effettuate dai consumatori) appare vada inteso in senso ampio, ossia come puro ranking, ma anche come migliore o evidenziata visualizzazione nella pagina web, che fa sì che un certo determinato prodotto sia meglio ‘classificato’ (e posizionato) nella pagina web (secondo diverse possibili modalità, in particolare visive, ma non solo) rispetto ad altri prodotti.

Quanto alla definizione di ‘mercato online’, stante le modificate abitudini dei consumatori che sempre più spesso si rivolgono ai servizi di vendita online per acquistare da imprese o da altri consumatori (grazie all’intermediazione di servizi presenti online) i prodotti di cui avvertono il bisogno, essa si riferisce all’ipotesi in cui il consumatore acceda a un servizio (offerto da un’impresa) che utilizza un software che permetta al consumatore di concludere contratti a distanza (non è detto se necessariamente a titolo oneroso) con imprese o altri consumatori. L’impresa che offre il servizio di mercato online può essere la medesima che vende (tramite il mercato online) il prodotto al consumatore o anche una impresa differente (che gestisce solo il servizio di mercato online e non è, dunque, il venditore del prodotto).

In ragione del tenore testuale della definizione sembrerebbe che non ci si trovi di fronte a un ‘mercato online’ ove questo sia gestito direttamente dal consumatore.

Le pratiche commerciali scorrette di “Dual Quality”

La prima nuova pratica commerciale scorretta espressamente introdotta dal D. Lgs. 26/2023 è rappresentata dalle pratiche c.d. di “Dual Quality”, che si rinvengono qualora si promuova – attraverso una qualsivoglia attività di marketing – presso i consumatori un determinato bene come identico a quello commercializzato in altri Stati membri dell’Unione europea, ma in realtà il bene promosso e venduto abbia una composizione o caratteristiche significativamente diverse.

Tale nuova pratica commerciale scorretta espressamente prevista come tale trova collocazione nell’ambito delle azioni ingannevoli (art. 21 del Codice del Consumo) e, in particolare, nell’ambito delle pratiche commerciali considerate ingannevoli in quanto, tenuto conto di tutte le caratteristiche e delle circostanze del caso, la pratica induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Non è tuttavia chiaro quali possano essere i fattori legittimi o oggettivi che il legislatore consente possano giustificare una pratica di ‘Dual Quality’.

Invito all’acquisto su mercati online

In relazione ai prodotti offerti sui mercati online, dovrà ora essere specificato se colui (il quale non sia il gestore/fornitore del mercato online) che formula un invito all’acquisto sia un’impresa o un terzo. Tale specificazione dovrà essere conforme alla dichiarazione che l’offerente al prodotto ha reso al gestore/fornitore del mercato online ed esonera presumibilmente quest’ultimo da qualsivoglia onere di verifica circa lo status (di impresa o di consumatore) di colui che si serve del mercato online per commercializzare i propri prodotti.

Ricerche tramite motori di ricerca dell’impresa e informazioni al consumatore

Sono ora espressamente previste quali siano – per non incorrere in una omissione ingannevole – le informazioni che devono essere fornite al consumatore qualora quest’ultimo proceda per il tramite di una interfaccia online ad effettuare una ricerca avente ad oggetto possibili prodotti di suo interesse rispetto ad un suo specifico bisogno eventualmente offerti da imprese o consumatori e, in qualche modo, pubblicizzati online (nuovo comma 4-bis dell’art. 22 del Codice del Consumo). Come è noto tali ricerche conducono a una esposizione, in forma di classifica, dei prodotti che la ricerca (effettuata sulla base di parametri algoritmici stabilenti scale di valori) ritiene di interesse del consumatore che ha effettuato la ricerca sulla base dei criteri di ricerca genericamente impostati (parole-chiave, frasi o qualsivoglia altro tipo di dati) dal consumatore medesimo.

Al riguardo è stato previsto che debbano essere fornite al consumatore le informazioni generali in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore quali risultati della ricerca e l’importanza relativa (ossia la rilevanza nel determinare la classificazione) dei singoli parametri considerati rispetto ad altri parametri.

Le predette informazioni generali sui principali parametri utilizzati per svolgere la ricerca online devono essere fornite indipendentemente dal luogo in cui le operazioni (pare ragionevolmente di capire di acquisto dei prodotti) saranno effettivamente concluse (dunque anche al di fuori e senza utilizzare i mercati online). Le informazioni devono essere fornite in una apposita sezione dell’interfaccia online visibile e consultabile dal consumatore. Tale sezione deve essere direttamente e facilmente accessibile per il consumatore dalla pagina online in cui sono presentati i risultati della ricerca (presumibilmente mediante un link di rinvio facilmente individuabile dal consumatore)

Poiché la nuova disposizione espressamente esclude dal proprio ambito di applicabilità i fornitori di motori di ricerca online (ossia la persona fisica o giuridica che fornisce, od offre di fornire, motori di ricerca online ai consumatori), del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online) e fa riferimento a «professionisti diversi», ad una prima analisi appare da ritenersi che i predetti obblighi informativi gravino esclusivamente sulle imprese che consentano le ricerche online tramite propri motori di ricerca online.

Le recensioni (online) dei consumatori

Sempre nell’ambito delle possibili omissioni ingannevoli, il D. Lgs. 26/2023 introduce alcuni obblighi informativi in relazione alle recensioni elaborate e fornite dai consumatori e che l’impresa ha raccolto e deciso di rendere pubbliche (nuovo comma 5-bis dell’art. 22 del Codice del Consumo). La disposizione fa evidentemente riferimento alla prassi oramai invalsa presso molte imprese di promuovere i propri prodotti inserendo sul proprio sito web di commercializzazione le recensioni (solitamente solo quelle positive) che i consumatori hanno reso rispetto ai predetti prodotti.

Quanto al contenuto degli obblighi informativi relativi alle recensioni pubblicate ai fini della eventuale configurazione di una omissione ingannevole ai sensi dell’art. 22 Codice del Consumo, la norma indica che l’impresa dovrà portare a conoscenza dei consumatori che accedono alle recensioni se dette recensioni provengano da altri consumatori che abbiano effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto e in che modo egli è in grado di assicurare tale circostanza. Rispetto a tale profilo probatorio, si può ragionevolmente ritenere che detto obbligo possa considerarsi assolto se l’impresa mette il consumatore nella condizione di verificare – su richiesta di quest’ultimo – l’origine della recensione e i suoi dati principali (non potendosi evidentemente trascurare che in tale contesto verranno probabilmente in considerazione esigenze di rispetto della normativa di protezione dei dati personali degli altri consumatori).

È da considerare pratica commerciale da considerare sempre scorretta (nuova lett. bb-ter) dell’art. 23 del Codice del Consumo) indicare che le recensioni di un prodotto sono state inviate da un consumatore che ha utilizzato o acquistato il prodotto in questione senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano effettivamente da consumatori che hanno realmente acquistato o utilizzato il prodotto.

Costituisce una pratica commerciale sempre scorretta inviare, direttamente o indirettamente (in questo caso incaricando un’altra persona giuridica o fisica di procedere all’invio), recensioni di prodotti non provenienti da consumatori che abbiano effettivamente utilizzato o acquistato un determinato prodotto ovvero falsi apprezzamenti, ossia apprezzamenti non rispondenti al reale apprezzamento del consumatore che ha acquistato o utilizzato il prodotto (nuova lett. bb-quater) dell’art. 23 del Codice del Consumo).

Infine, è da considerarsi una pratica commerciale sempre scorretta fornire (in qualsivoglia modo ed al fine di promuovere un certo prodotto) false informazioni in merito a recensioni di prodotti eventualmente effettuate dai consumatori ovvero relative ad apprezzamenti apparsi sui media social (per ciò dovendosi intendere le c.d. ‘social platform’, ossia i software presenti sul web – c.d. ’app’ incluse – che consentono agli utenti di tali piattaforme online di intrattenere fra di loro relazioni interpersonali e, dunque, latamente sociali).

Gli annunci pubblicitari a pagamento

Una pratica commerciale da considerare sempre ingannevole (c.d. “in Black List”) è quella consistente nella omessa chiara indicazione, nell’ambito della esposizione dei risultati di una ricerca online effettuata da un consumatore, che uno dei risultati è un annuncio pubblicitario a pagamento ovvero che una determinata classificazione di un determinato prodotto nella gerarchia espositiva (da intendere in senso ampio, sia come puro ranking, sia come migliore o evidenziata visualizzazione nella pagina web) dei prodotti contenuti nella ricerca è stata determinata da un pagamento specifico a ciò preordinato (nuova lett. m-bis) dell’art. 23 del Codice del Consumo).

Il secondary ticketing

Altra pratica commerciale da considerare sempre ingannevole è rappresentata dal c.d. ‘secondary ticketing’ (nuova lett. bb-bis) dell’art. 23 del Codice del Consumo), ossia dalla rivendita da parte dell’impresa al consumatore di biglietti per partecipare ad eventi (di qualsivoglia tipo, fra cui concerti, eventi sportivi, spettacoli teatrali) che l’impresa medesima ha potuto acquistare in quanto ha utilizzato strumenti automatizzati che gli hanno consentito di eludere un eventuale limite imposto (qualunque ne sia la fonte) riguardo al numero di biglietti che una singola persona può acquistare. Il presupposto della valutazione di tale pratica commerciale come sempre scorretta è la considerazione del possibile abuso che l’impresa può compiere accumulando grandi quantità di biglietti per eventi e rivendendoli a prezzi maggiorati rispetto al prezzo originale.

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