L’economia russa è più resiliente del previsto. La Russia, in seguito alle sanzioni occidentali imposte per aver provocato la guerra contro l’Ucraina, non ha subito stravolgimenti in campo tecnologico. Infatti ha prevalso l’incapacità da parte di Stati Uniti e alleati di imporsi sul campo per governare i flussi commerciali globali. Ma neanche a livello economico.
Mosca sta dimostrando di poter sopportare una guerra lunga. Tuttavia non più intensa di quella che sta già combattendo. Ecco perché.
Sanzioni ed economia russa
Ciò che aveva previsto Antony Blinken, segretario di Stato americano, qualche giorno dopo l’invasione ucraina da parte della Russia, non è avvenuto. Blinken aveva dichiarato infatti che il valore del rublo era crollato, il mercato azionario russo aveva chiuso temendo una fuga di capitali, i tassi di interesse erano raddoppiati e il rating creditizio era stato tagliato. Il segretario di Stato Usa aveva concluso che tutti questi fattori avrebbero contribuito ad ostacolare la macchina da guerra. Ma effettivamente ciò non si è avverato. Infatti, nel giro di un anno, l’economia russa, dopo una flessione del 2,1% nel 2022, ha recuperato punti e il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima che possa crescere perfino dello 0,7 %.
In base a questo andamento, si ipotizza che non sarà l’economia russa a fermare le tensioni russo-ucraine. Ma, come ha ammesso lo stesso presidente russo, Vladimir Putin, “le restrizioni illegittime imposte all’economia russa nel medio termine potrebbero effettivamente avere un impatto negativo su di essa”.
La Russia continua a importare tecnologia, nonostante le sanzioni: ecco come fa
La resistenza dell’oligarchia russa
Finora la Russia è riuscita a resistere di fronte alle pesanti sanzioni, proseguendo nel contempo nell’invasione, senza abbassare il (già basso) tenore di vita dei russi, evitando, così, rivolte popolari.
A favorire la Russia, da una parte, sono le grandi falle nel sistema delle sanzioni. Ma, dall’altra parte, ha trovato il modo di aggirarle, riuscendo a superare un primo iniziale blocco.
Secondo una stima della società di dati World-Check, sono circa 2.215 le persone legate al governo russo a non poter più viaggiare e/o accedere ai loro beni in Occidente. Dei 400 miliardi di dollari di famiglie russe all’estero, i governi stranieri hanno congelato 100 miliardi di beni privati, un quarto della loro ricchezza. Per quanto riguarda i viaggi e le vacanze, bannata la Costa Azzurra, gli oligarchi russi hanno ripiegato su Dubai e Antalya. Pertanto, è evidente che per ora le sanzioni
non sembrano aver indebolito o scoraggiato i ricchi russi, considerando che con la fuga di aziende occidentali dalla Russia, restano in ballo centinaia di miliardi di dollari.
L’impatto delle sanzioni finanziarie sull’economia russa
Se prendiamo in considerazione le sanzioni finanziarie, non cambia di molto la situazione. Anche in questo caso, abbiamo osservato che l’espulsione di dieci istituti bancari russi dal sistema Swift, utilizzato da più di 11.000 banche in tutto il mondo per i pagamenti transfrontalieri, non ha tagliato fuori dai Paesi occidentali tutte le banche, perché continua (seppure in calo, n.d.r.) l’import di petrolio e gas russi e quindi prosegue il pagamento a Gazprombank.
In alternativa a Swift, si sta utilizzando sempre di più CIPS, il sistema cinese. Dallo scorso dicembre il 16% delle esportazioni russe hanno usato lo yuan per i pagamenti. Alcune transazioni internazionali sono regolate, seppur con difficoltà, anche in rupie indiane e dirham emiratini.
Gli effetti sul petrolio
Le sanzioni riguardanti il petrolio hanno portato a vietare l’importazione in UE, nonostante le esportazioni dalla Russia fossero state del 40% nel 2021. Il divieto è esteso alle compagnie di navigazione, assicuratori e finanziatori, impossibilitate a facilitare la vendita di petrolio russo ad acquirenti di altri Paesi nel caso di prezzo inferiore a 60 dollari. A febbraio, poi, un nuovo pacchetto di restrizioni anche per il petrolio raffinato russo, che rappresenta un’esportazione minore, ma comunque redditizia.
Il petrolio rifiutato dall’Europa ha però subito un dirottamento in Asia con quasi il 90% di esportazioni in Cina e India (che comprano da Mosca a prezzi scontati, n.d.r.) nel mese di marzo. Lo riporta la società di dati Reid I’Anson di Kpler, per un totale di 3,7 milioni di barili al giorno.
Il mese di marzo si è distinto anche per le esportazioni di prodotti raffinati, come il diesel. In questo scenario, emerge un nuovo ecosistema di commercianti e spedizionieri ombra, in gran parte su Hong Kong e Dubai, che favoriscono il trasferimento di barili sottoposti a embargo verso le loro nuove destinazioni, spesso
con l’aiuto di finanziatori e assicuratori russi.
I nuovi acquirenti, insieme agli alti prezzi delle materie prime determinati in parte dalla guerra (e dall’inflazione post-pandemia, ndr), hanno contribuito a spingere l’avanzo delle partite correnti della Russia a un record di 227 miliardi di dollari, pari al 10% del Pil.
Difficile che si verifichi un altro anno così favorevole. Infatti, secondo il Ministero delle Finanze, a gennaio e febbraio è stato venduto in media a 50 dollari, rispetto ai 76 dollari in media nel 2022, e a marzo, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, le entrate petrolifere sono state inferiori del 43% rispetto all’anno precedente. Gli economisti prevedono che l’avanzo delle partite correnti del Paese scenderà al 3-4% del Pil quest’anno, in linea con la media degli anni 2010.
Lo stato degli equipaggiamenti militari
In questo anno e mezzo di guerra, la Russia ha subito gravi perdite a livello di equipaggiamenti militari. Il CSIS, Centro per gli Studi Strategici e Internazionali, ha stimato un numero che va dagli 8.000 ai 16.000 veicoli corazzati distrutti dai combattimenti, aerei, droni e sistemi di artiglieria.
La Russia potrebbe colmare questa perdita facendo ricorso a scorte esistenti o reindirizzando le armi destinate all’esportazione sul campo di battaglia. Basti pensare che in Ucraina sono stati individuati insoliti carri armati T-90, probabilmente modelli dimostrativi e unità destinate in origine all’Algeria.
In più, non è esclusa la produzione di nuove armi. A tal proposito, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, ha dichiarato che la produzione di 1.500 carri armati moderni è attesa entro quest’anno, grazie anche agli ingenti aiuti da parte del governo attraverso prestiti ai produttori di armi.
Ed è qui che entrano in gioco gli effetti delle sanzioni occidentali. La Russia, per produrre armi avanzate, avrebbe bisogno di componenti dual use prodotti in Occidente, dai motori ai microchip, al momento non accessibili, appunto.
Per centellinare i microchip già in casa o raccoglierne quanti più possibile, a febbraio, il governo russo ha temporaneamente interrotto l’accettazione di richieste di passaporti biometrici e ha importato lavatrici di alta qualità per ricavarne microchip da
riutilizzare in strumentazioni militari.
Conclusioni
Nonostante questi stratagemmi, resta ancora difficile per la Russia raggiungere i numeri di armamenti necessari al reale fabbisogno attuale per sostituire le scorte in esaurimento. Il Paese può contare sulla quantità di armi dell’era sovietica e tentare di ammodernarli, più che sulla qualità delle sue munizioni.
La ristrutturazione del vecchio si affianca alle forniture da parte degli alleati, tra cui la Cina, e all’acquisto di droni e proiettili di artiglieria apparentemente civili dalla
Corea del Nord.
La crescita della spesa militare, insieme all’incremento del prezzo degli idrocarburi, alle triangolazioni con Paesi terzi in funzione anti elusione delle sanzioni e alla rivalutazione del rublo, contribuisce a rendere più resiliente del previsto l‘economia russa.