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Editoria digitale, la strategia post-covid per salvare qualità e conti

La pandemia ha contribuito ad accrescere la fiducia verso le testate giornalistiche, che ora sono alla ricerca della giusta strategia di monetizzazione delle news online. Le esperienze sono tante e creano le condizioni perché anche nel nostro Paese si individuino le migliori forme di collaborazione con le piattaforme web

Pubblicato il 17 Set 2021

Andrea Boscaro

Partner The Vortex

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Umberto Eco sosteneva, con lo spirito provocatorio che è prerogativa di un intellettuale, che mentre la TV fa bene ai poveri – ed è stato così nel secondo Dopoguerra, ad esempio per imparare l’italiano – e male ai ricchi, Internet ha l’effetto contrario: è un eccezionale strumento per chi lo sa usare, ma produce spaesamento per chi ha minore familiarità con l’universo a cui permette di accedere.

Prova della validità dei ragionamenti di Eco è stato senza dubbio il Coronavirus che da un lato ha dimostrato il bisogno di un’informazione puntuale e di qualità, che sappia approfondire le questioni e chiarirne il significato senza – ed in molti casi è avvenuto – creare confusione, con micro-informazioni e contributi superficiali.

Cresce la fiducia verso le testate giornalistiche

Stando al recente rapporto “Digital News Report 2021” di Reuters che da anni fotografa l’uso della Rete e dei social media per accedere a notizie e informazioni, il saldo appare, rispetto all’anno precedente, positivo: la crescita di fiducia nei confronti delle testate giornalistiche (+11% vs. 2020), soprattutto se valutata in considerazione degli anni in cui tale dato è continuato a calare, pare abbia ripagato il lavoro dei professionisti dell’informazione degli scorsi mesi. L’andamento nel tempo di questo indicatore è riportato dalla ricerca “Trust Barometer” di Edelman e mette in luce il ruolo che la fiducia ha nei confronti del dibattito, tutto economico, che contrappone i produttori dell’informazione ai distributori digitali che hanno ormai sostituito le edicole, le rassegne stampa, i telegiornali: solo accrescendo l’affidabilità percepita si possono infatti immaginare forme di monetizzazione delle notizie e degli approfondimenti che costituiscano un modello di business sostenibile per gli editori.

In calo la fiducia verso i social

Dei risvolti di questo fenomeno sul piano dei comportamenti non sono esenti del resto neppure le piattaforme digitali: forse per il timore di imbattersi in notizie false o in contenuti superficiali in un periodo in cui il virus, il vaccino e le relative regolamentazioni producono atteggiamenti polarizzati, i social media, come fonti di fruizione di una notizia perdono, nell’elaborazione dei dati Reuters da parte di Vincenzo Cosenza, 6 punti percentuali (sono usati dal 21% della popolazione) e lasciano la prima posizione ai motori di ricerca (22%) con una crescita significativa degli aggregatori (9%): considerando che tale cambiamento è rilevato anche da Edelman, questo elemento conferma, nell’anno di lancio anche in Italia di Google News Showcase, l’opportunità dello strumento ed il ruolo che può rappresentare nel panorama editoriale.

Fra i social media perde il 6%, ma rimane al primo posto, Facebook (usato dal 50% dei rispondenti alla ricerca) seguito da WhatsApp (30%), YouTube (20%), Instagram (15%), Twitter (8%) e Telegram (7%) in crescita: il lancio di Google News Showcase, la sperimentazione di Facebook News, anche a seguito del confronto di inizio anno con le autorità australiane, la diffusione anche in Italia di Apple News possono dunque rappresentare un terreno di sperimentazione non solo dei meccanismi di compensazione economica che prevedono direttamente, ma anche l’occasione per comprende il successo delle forme di monetizzazione che, anche nel nostro Paese, sono ormai comuni sia nell’ambito del giornalismo nazionale che locale.

Le iniziative di monetizzazione delle news online

Pur non avendo ancora maturato forme di collaborazione simili a quelle che hanno raggiunto gli editori danesi, che hanno deciso di negoziare collettivamente – reti televisive pubbliche incluse – il valore che deve loro essere riconosciuto da Google, Facebook e dalle altre piattaforme digitali che ne distribuiscono i contenuti attraverso link e snippet, le iniziative di monetizzazione delle news online sono ormai molteplici proprio perché probabilmente non può essere uno solo il modello di business che possa prevalere, ma si debba adattare alla tipologia di editore che se ne avvale e alle caratteristiche delle notizie che vengono pubblicate.

Volendo tentare una lista approssimativa delle strategie finora adottate in Italia e all’estero, possiamo elencare:

  • i cosiddetti “hard paywall” in ragione dei quali, come nel caso del sito di Reuters, le notizie sono offerte solo a seguito di un abbonamento o attraverso il pagamento da parte di un soggetto terzo che acquisti i contenuti prodotti dall’agenzia stampa;
  • i “metered paywall”, modello adottato, in Italia, dal Corriere che limita a 10 gli articoli fruibili al mese su base gratuita prima di richiedere un abbonamento. E’ interessante notare come nel tempo, questa forma di monetizzazione costituisca anche, come ha fatto il Financial Times, il perno attorno al quale conoscere meglio il navigatore per renderlo più fedele alla testata con proposte di contenuti più adeguati e una pubblicità più profilata. Nella prospettiva del blocco dei cookie di terze parti, lo sviluppo di aree soggette a registrazione e pagamento non solo può rappresentare una forma di monetizzazione dei contenuti, ma per un editore mette a disposizione una leva di maggior conoscenza dei propri lettori e di supporto alla propria offerta pubblicitaria.
  • il modello “freemium”: siti come Repubblica e il Sole 24 Ore offrono aree soggette a registrazione e pagamento con approfondimenti, contenuti long-form, podcast, database, newsletter e video esclusivi, in alcuni casi senza pubblicità. Il tabloid tedesco Bild, ad esempio, ha un’offerta particolarmente approfondita di video nella sua versione premium che ne rappresenta il fattore distintivo;
  • il “paywall dinamico” secondo il quale vi è un “lead scoring” attribuito al navigatore che in tempo reale presenta il paywall solo nel momento in cui è più elevata la propensione a iscriversi al quotidiano, ad esempio nel momento in cui il sito viene visitato in modo ricorrente per cercare notizie su un certo tema. Il quotidiano slovacco Denník N afferma di avere oltre 300 combinazioni di pricing e prodotto, volte a ingaggiare tipologie di utenti specifici, supportata in questa strategia dal chiaro posizionamento di testata indipendente;
  • i “social referral” in cui l’abbonato ha la possibilità di invitare altri utenti ad avvalersi dell’interezza dell’offerta editoriale: grazie alla credibilità di un amico, l’editore ne approfitterà per valorizzare, nel tempo, l’opportunità di proseguire la lettura con un abbonamento a pagamento.

La sperimentazione di questi modelli e, in alcuni casi il loro successo, è dovuto in parte anche alla crescente abitudine a fruire di contenuti a pagamento sulle grandi piattaforme di streaming: l’abbonamento a Netflix e Spotify se, da un lato, crea le condizioni perché ci si possa aspettare di pagare anche per un articolo giornalistico, dall’altro mette in evidenza quanto conti la User Experience che viene offerta al cliente. Non a caso, il magazine norvegese Dagblade, di proprietà di Aller Media, personalizza l’homepage a seconda dell’interesse del navigatore, mutuando un approccio che già molti siti editoriali di tipo professionale hanno nel tempo sperimentato anche nel nostro Paese.

La dinamicità del prezzo dell’abbonamento

Così come è vincente un’offerta personalizzata sul piano dei contenuti, merita anche di essere valutata la dinamicità del pricing dell’abbonamento. Il Boston Globe, in una recedente ricerca, afferma che la sua esperienza ha tratto giovamento da un pricing che, anziché essere trasversale e identico per tutti e in tutti i momenti, è dinamico e si riduce se l’utente dimostra una maggiore fedeltà iscrivendosi alle newsletter o effettuando il download della app: il quotidiano americano ha poi allungato la durata dell’accesso agevolato ($0.99 mensili) per quegli utenti che si sono dimostrati più attenti all’offerta del giornale. E’ ciò che fa anche il New York Times che garantisce un abbonamento di $0.50 settimanali, anzichè di 2 dollari, a chi si iscrive alla newsletter. Queste opportunità di utilizzo promozionale delle piattaforme, 6 mesi nel caso del Globe, 12 del Times, hanno infatti il compito di ridurre la resistenza a pagare, una volta terminato il periodo, grazie alla qualità dei contenuti che si sono sperimentati. Ancora una volta entrano in gioco la fiducia e la necessità che essa venga accresciuta ed in seguito ripagata.

Da Repubblica che offre un abbonamento al sito per poterlo leggere senza pubblicità a Il Post che comunica il valore di abbonamenti e affiliazioni, da Il Messaggero che cresce e introduce l’abbonamento online a Varesenews che fa leva sulla presenza sul territorio per monetizzare un vero e proprio ecosistema editoriale, i mesi che stiamo vivendo sono dunque particolarmente ricchi di esperienze da parte degli editori e creano le condizioni perché anche nel nostro Paese si individuino le migliori forme di collaborazione con le piattaforme digitali: l’auspicio è che questo incontro avvenga e agevoli la sostenibilità di un giornalismo di qualità perché possa essere evitato il triste scenario per il quale siano gratuiti solo contenuti superficiali o di propaganda e siano invece a pagamento, e per pochi, i contributi di qualità di cui c’è invece un bisogno sempre più grande.

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