Con un breve comunicato alle agenzie di stampa, venerdì scorso i senatori Nicita e Basso del PD hanno annunciato un emendamento sulle frequenze satellitari, per cambiare le regole del gioco per i satelliti in orbita bassa terrestre, in particolare quelli gestiti da aziende non europee. In sostanza, i senatori hanno notato che le frequenze utilizzate per le comunicazioni satellitari a bassa orbita sono attualmente sottovalutate sul piano economico.
L’annuncio arriva nell’ambito della legge sull’economia dello spazio cosiddetta DDL Spazio. I due senatori hanno evidenziato come oggi non esista alcun sistema che faccia pagare per due problemi crescenti: la congestione dello spazio orbitale e il rischio rappresentato dai detriti spaziali.
La loro proposta è semplice ma potenzialmente dirompente: apportare modifiche al Codice delle comunicazioni elettroniche all’allegato 12 per introdurre prezzi differenziati per gli operatori extra-UE. In pratica, chi viene da fuori Europa e vuole utilizzare queste frequenze in Europa per i propri satelliti dovrebbe pagare di più.
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Emendamento frequenze satellitari, gli obiettivi
A ben guardare, questa proposta ha tutti i connotati di una provocazione politica consapevole. I senatori Nicita e Basso sono certamente a conoscenza che una regolamentazione di questo tipo non può essere implementata efficacemente da un singolo Stato membro, ma richiederebbe necessariamente un intervento a livello europeo. Il Codice delle comunicazioni elettroniche è infatti una normativa comunitaria, e modifiche sostanziali al suo impianto non possono essere introdotte unilateralmente da un singolo Paese.
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Ma è proprio qui che risiede la vera finalità dell’emendamento: sollecitare un dibattito su un tema cruciale per il futuro dell’Europa. La “provocazione” dei senatori sembra voler puntare i riflettori sulla necessità impellente di un ripensamento complessivo della gestione delle frequenze a livello continentale.
Draghi nel suo rapporto ha sottolineato con forza la necessità di armonizzare le regole e i processi di assegnazione delle frequenze a livello europeo. Il rapporto, infatti, evidenzia come solo attraverso un sistema condiviso di licenze per lo spettro si possa davvero favorire un consolidamento del settore telco europeo, permettendo la nascita di operatori in grado di competere efficacemente su scala globale.
Oggi, la frammentazione delle regole nazionali rappresenta un ostacolo formidabile alla creazione di “campioni europei” nelle telecomunicazioni. Mentre giganti americani e asiatici possono contare su mercati domestici vasti e omogenei, le aziende europee devono destreggiarsi tra 27 regolamentazioni diverse, con costi aggiuntivi e inefficienze che ne minano la competitività internazionale.
L’emendamento Nicita-Basso, pur nella sua impraticabilità immediata, serve quindi a ricordare che l’Europa non può più permettersi di temporeggiare su questi temi. Se vuole essere protagonista nella nuova economia spaziale e digitale, deve necessariamente parlare con una voce sola. Ma non è un caso che questa proposta arrivi proprio mentre si discute dei dazi di Trump e della possibilità che il governo italiano possa utilizzare i satelliti di Starlink per determinati servizi.
Spazio e dazi doganali: nuove frontiere della geopolitica
La proposta dei senatori PD solleva, infatti, interessanti paralleli con il tema dei dazi doganali, introducendo di fatto una sorta di “barriera tariffaria” nel dominio spaziale. È un approccio che riflette una tendenza globale che rischia di affermarsi dopo i dazi di Trump: l’estensione delle logiche commerciali e protezionistiche tradizionali a nuovi ambiti tecnologici.
In effetti, lo spazio sta diventando un nuovo terreno di confronto economico tra potenze, non dissimile da quanto avviene nei mercati tradizionali. La differenza sostanziale è che, mentre per i beni fisici esistono confini e dogane ben definiti, nello spazio i “confini” sono molto più sfumati e di difficile regolamentazione. Come si fa a stabilire un “dazio” su qualcosa che letteralmente sorvola il territorio nazionale?
La differenziazione di prezzo proposta dai senatori rappresenta un tentativo di trovare l’equivalente spaziale di un dazio doganale: un costo aggiuntivo imposto agli operatori extra-UE per “entrare” nel mercato europeo delle frequenze. È un concetto innovativo ma che solleva problematiche giuridiche e pratiche notevoli. Va considerato che in un contesto globale sempre più protezionistico, dove i dazi vengono utilizzati come strumenti di politica estera e di competizione geoeconomica, l’introduzione di barriere simili nel settore spaziale potrebbe innescare reazioni a catena.
Inoltre, mentre i dazi tradizionali si applicano al momento dell’ingresso di merci fisiche in un territorio doganale, le comunicazioni satellitari sono per loro natura transfrontaliere e continue. Una regolamentazione efficace richiederebbe quindi meccanismi di controllo e riscossione completamente nuovi, che ad oggi non esistono.
Tra provocazione e necessità: le prospettive concrete
Nonostante la natura provocatoria dell’iniziativa, essa tocca nervi scoperti del sistema economico europeo. La questione della valorizzazione delle frequenze satellitari non è infatti meramente tecnica, ma profondamente politica ed economica. Nel momento in cui colossi come SpaceX di Elon Musk con la sua rete Starlink stanno di fatto occupando porzioni significative dell’orbita bassa terrestre, l’Europa si trova davanti a un bivio: accettare passivamente questa colonizzazione dello spazio o provare a stabilire regole che tutelino anche gli interessi europei.
La provocazione di Nicita e Basso potrebbe quindi essere letta come un primo, timido tentativo di affermare una sovranità europea anche nell’ambito spaziale. Certo, l’approccio “tariffario” potrebbe non essere il più efficace o il più facilmente implementabile, ma pone una questione di fondo legittima: chi beneficia delle risorse comuni (in questo caso lo spazio orbitale e le frequenze) dovrebbe contribuire equamente alla loro gestione sostenibile.
D’altra parte, l’esperienza dei dazi commerciali tradizionali ci insegna che le guerre commerciali raramente producono vincitori netti. L’imposizione di tariffe sull’acciaio e l’alluminio da parte degli Stati Uniti nel 2018, ad esempio, ha innescato contromisure da parte dei partner commerciali colpiti, con effetti economici negativi per tutte le parti coinvolte, e chissà dove ci porteranno i nuovi dazi di Trump se non ci saranno passi indietro. Trasportare questa logica nel settore spaziale, senza un coordinamento internazionale, potrebbe portare a simili spirali negative.
Perché ripensare la governance dello spazio
La vera sfida posta dall’emendamento Nicita-Basso va quindi ben oltre la questione tariffaria. Essa invita a ripensare complessivamente la governance dello spazio, un ambito in cui le regole attuali appaiono sempre più inadeguate di fronte all’accelerazione tecnologica e commerciale.
L’attuale Trattato sullo spazio del 1967 stabilisce che lo spazio è patrimonio comune dell’umanità e non può essere oggetto di appropriazione nazionale. Tuttavia, questo principio si scontra sempre più con la realtà di un’economia spaziale in rapida commercializzazione, dove attori privati (prevalentemente americani e cinesi) stanno di fatto “occupando” porzioni significative dell’orbita terrestre.
In questo contesto, l’Europa si trova in una posizione particolarmente vulnerabile e fatica a esprimere una posizione unitaria e a sviluppare “campioni” in grado di competere con i giganti globali. La proposta, pur nella sua impraticabilità immediata, ha quindi il merito di porre l’accento su questa debolezza strutturale europea.
Le opportunità di un approccio coordinato europeo
Se l’Europa riuscisse a parlare con una voce sola sul tema delle frequenze terrestri e di quelle satellitari, i benefici sarebbero molteplici. Innanzitutto, un mercato unificato di oltre 440 milioni di consumatori rappresenterebbe una leva negoziale formidabile nei confronti degli operatori extra-europei. L’Unione potrebbe imporre standard elevati in termini di sostenibilità ambientale dello spazio, gestione dei detriti e condivisione dei benefici, senza temere ritorsioni commerciali che sarebbero dannosissime per gli stessi operatori.
Inoltre, un sistema armonizzato di assegnazione delle frequenze faciliterebbe gli investimenti transfrontalieri nel settore, permettendo alle aziende europee di raggiungere le dimensioni necessarie per competere globalmente. Non si tratta solo di proteggere il mercato europeo, ma di creare le condizioni affinché nascano “campioni europei” delle telecomunicazioni e delle tecnologie spaziali.
Infine, un approccio coordinato permetterebbe di affrontare in modo efficace il problema crescente dei detriti spaziali e della congestione orbitale. Questi sono temi genuinamente transnazionali, che nessun paese può affrontare isolatamente. Solo un’Europa unita può avere la massa critica necessaria per imporre regole di sostenibilità che vengano rispettate a livello globale.
Le prospettive future dell’emendamento frequenze satellitari
L’emendamento Nicita-Basso, quindi, va letto come catalizzatore per un dibattito più ampio sulla strategia spaziale e digitale europea. Affinché questo avvenga, però, è necessario che l’iniziativa venga raccolta dalle istituzioni europee e trasformata in proposte concrete di riforma.
La Commissione Europea, in particolare, dovrebbe accelerare il processo di revisione del Codice delle comunicazioni elettroniche, ponendo al centro proprio l’armonizzazione delle regole sulle frequenze. Il Parlamento Europeo, dal canto suo, potrebbe istituire una commissione speciale sulla governance dello spazio, con il mandato di elaborare proposte innovative che vadano oltre l’attuale quadro normativo.
Anche il Consiglio Europeo, dove siedono i capi di Stato e di governo, dovrebbe mettere la competitività digitale e spaziale al centro della sua agenda, superando le resistenze nazionali che ancora ostacolano l’integrazione europea in questi settori strategici. Solo così la provocazione potrà trasformarsi in un contributo concreto alla costruzione di un’Europa più forte e competitiva nell’economia digitale e spaziale del XXI secolo.
La vera sfida per l’Europa non è quindi imporre dazi o tariffe agli operatori extra-europei, ma costruire una vera sovranità digitale e spaziale, basata su regole comuni, investimenti coordinati e una visione strategica condivisa. Solo così il vecchio continente potrà tornare protagonista in un’economia sempre più dominata dalle tecnologie digitali e spaziali.
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