marketing e tutele

Equo compenso degli influencer, due pesi due misure: i problemi della legge



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La legge 49/2023 sull’equo compenso è un passo avanti nel riconoscimento della professionalità degli influencer, ma restano gli interrogativi sulla sua effettiva applicabilità e sugli impatti che potrebbe avere su influencer di diverse dimensioni: chi necessitava di un supporto normativo rischia infatti di restarne fuori

Pubblicato il 21 dic 2023

Flavio Genzano

Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Influencer



influencer - lobbying

L’equo compenso vede gli influencer ancora quali parti deboli del rapporto contrattuale dell’influencer marketing, vale a dire quello schema negoziale cui fanno ricorso sempre più le aziende per realizzare una pubblicità del proprio marchio, brevetto o prodotto ricorrendo ai canali e al know how dei lavoratori digitali.

Tali contratti non è infrequente che vengano conclusi tra le aziende e agenzie specificamente costituite per concludere contratti in virtù di una rappresentanza conferita dai lavoratori digitali.

L’evoluzione della normativa sull’equo compenso degli influencer

Fatta tale doverosa premessa, si rammenta che nell’agosto del 2021, chi scrive (in un articolo a firma congiunta con il presidente dell’Associazione Italiana Influencer Jacopo Ierussi), a seguito della pubblicazione della proposta di legge in materia di equo compenso per le professioni intellettuali, si preoccupava della sorte degli influencer, giacché la proposta di legge accordava tutela (sostanziale e giudiziale) ai soli professionisti appartenente ad ordini o collegi purché nell’ambito di operazioni “svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro”, abbandonando le rimanenti categorie (tutt’altro che una sparuta minoranza) alla “giungla” del mercato che notoriamente crea un effetto a ribasso dei compensi, con inevitabile lesione del diritto alla retribuzione equa e proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto.

Gli Autori concludevano auspicando una complessiva rivalutazione della disciplina proposta.

A più di due anni da allora, la situazione è cambiata?

La nuova legge sull’equo compenso: una tutela efficace?

Da quell’agosto rovente i lavori delle Commissioni parlamentari sono proseguiti e, alla data del 21 aprile 2023 ha visto la luce la Legge n. 49/2023 sull’equo compenso che, in parte rispondendo ai dubbi sollevati all’epoca ha ritoccato (forse solamente nella forma ma poco nella sostanza) la proposta di legge.

La prima e più netta modifica compare all’art. 1 della L. n. 49/2023, e precisamente alla lettera c), la quale ha previsto l’applicazione di un compenso equo e proporzionato non solamente alla categoria degli avvocati e a tutte quelle categorie per le quali esistono ordini e collegi (c.d. professioni ordinistiche), ma ha esteso l’applicazione dell’equo compenso anche alle categorie non ordinistiche (auspicio di chi scriveva nell’agosto 2021) di cui all’art. 1, co. 2, L. n. 4/2013. Se allora la proposta di legge tagliava fuori automaticamente gli influencer poiché trattasi di professione non ordinistica, la legge 49 cit. ha opportunamente esteso le tutele del compenso proporzionato anche nei loro confronti.

Scorrendo il testo normativo tuttavia chi scrive rimane deluso dalla formulazione del seguente art. 2 che, di fatto, fotocopia la versione della proposta originaria lasciando ancorata l’applicazione dell’equo compenso solamente a coloro i quali concludono contratti con imprese di assicurazione o bancarie (con la sola aggiunta di società di veicolo di cartolarizzazione) ovvero di società che nel precedente anno hanno occupato più di cinquanta dipendenti (e non più sessanta) o hanno presentato ricavi superiori ai 10 milioni di euro.

Se dunque da un lato il legislatore ha inteso ricomprendere di facciata nell’applicazione della legge sull’equo compenso anche le nuove categorie non ordinistiche (su tutti: gli influencer), di fatto ha provveduto immediatamente dopo ad escludere dall’applicazione una grandissima fetta di costoro, soprattutto i più piccoli. Ma andiamo con ordine.

Prima di tutto non si può non evidenziare come la scelta di subordinare l’applicazione della tutela di un compenso equo e proporzionato alla grandezza di un’azienda in termini di personale in organico appare tutt’altro che felice dal momento che l’esperienza giurisprudenziale insegna la complessità del calcolo medesimo (lavoratori a termine, lavoratori a tempo determinato, in somministrazione, appalto o distacco, lavoratori intermittenti etc.).

Il rischio di creare due mercati dell’influencer marketing

Entrando nel merito della scelta del Legislatore non si può non leggervi la volontà di creare due mercati dell’influencer marketing, evidentemente il primo di serie A e il secondo di serie B. Ciò perché la scelta di tutelare e di accordare protezione in ordine all’applicazione dell’equo compenso ai soli creators in grado di concludere accordi con imprese assicurative e bancarie (per evidenti ragioni trattasi di imprese difficilmente accessibili ai più piccoli influencer che non appaiono appetibili a società che operano su scala nazionale e internazionale), ovvero con grandi imprese il cui fatturato annuo supera i 10 milioni di euro (nuovamente si fa riferimento ad attività imprenditoriali che, per la loro vocazione spesso transnazionale e per le possibilità economiche, mirano a contrattualizzare influencer di importante fama) inevitabilmente finisce per tagliare fuori dall’applicazione della legge sull’equo compenso (e segnatamente dell’equo compenso medesimo) tutti i piccoli e medi influencer, contrattualmente e mediaticamente più deboli, non in grado di riuscire a dialogare con le imprese di cui all’art. 2.

Gli effetti della legge sugli influencer di piccole e medie dimensioni

Ebbene, se la legge sull’equo compenso è nata per fornire tutele a soggetti contrattualmente deboli, alla stregua dei consumatori, appare inequivocabilmente vero che tale auspicio non solo è naufragato, ma addirittura si è realizzato un aberrante effetto per il quale i più grandi influencer, che probabilmente non avrebbero neanche avuto necessità di una legge sull’equo compenso giacché in ragione della loro notorietà già pareggiavano la forza contrattuale di imprese e brand a caccia di sponsorizzazioni nell’influencer marketing, hanno ricevuto de iure condito l’applicazione di un compenso convenzionalmente prefissato con la conseguente tutela della nullità di clausole non conformi nonché dell’applicazione di una tutela giurisdizionale, mentre coloro i quali effettivamente necessitavano di un supporto normativo per potersi affermare in una trattativa nell’influencer marketing che non li vedesse soccombere dinnanzi a superiori soggetto commerciali, sono stati definitivamente tagliati fuori dall’applicazione della norma, a meno di non riuscire a dialogare e a concludere contratti con quei soggetti di cui all’art. 2 che, evidentemente, non trarrebbero alcuna utilità dall’affidare una campagna pubblicitaria a piccoli e medi influencer. Stando così le cose, si viene a realizzare purtroppo quell’effetto “richiamo delle sirene” che nel lontano agosto 2023, a ragion veduta, si temeva.

Il nodo del MIMIT

Inoltre, merita attenzione la previsione di cui alla citata lettera c) dell’art. 1, che demanda al Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) la redazione di un decreto contenente le tariffe eque per ogni singola categoria non ordinistica, da emanarsi entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e da aggiornarsi con cadenza biennale.

Le preoccupazioni sulla possibile inapplicabilità della legge

Ebbene, allo stato e a distanza di sette mesi dalla pubblicazione della legge n. 49/2023, il Ministero è rimasto inerte e nessun decreto è stato emanato. Pertanto, a sommesso avviso di chi scrive, il Legislatore con tale delega si è assunto il rischio di una legge che concretamente potrebbe rimanere inattuabile e inapplicabile qualora permanesse lo stato di inerzia del Dicastero delegato, o comunque qualora non riuscisse lo stesso con puntualità ad aggiornare i compensi, con – di nuovo – pregiudizio a carico delle categorie non ordinistiche e segnatamente degli influencer in grado di concludere gli accordi di cui all’art. 2.

Emergono infine dubbi sulla bontà del testo normativo di cui all’art. 4 con riferimento alla possibilità di adire l’autorità giudiziaria in caso di violazione dell’equo compenso non riuscendosi a comprendere fino in fondo se il Giudice, per le professioni non ordinistiche, debba riproporzionare il compenso non ritenuto equo parametrandosi solamente sulla scorta dei compensi indicati dal MIMIT ovvero se possa operare con equità anche e soprattutto nell’ipotesi in cui detto decreto non sia stato emanato ovvero aggiornato.

Aderendo alla prima ipotesi si rischierebbe di paralizzare totalmente le tutele poste dall’equo compenso, subordinandole all’adempimento dei propri obblighi da parte del Ministero; la seconda interpretazione tuttavia permetterebbe ai professionisti aderenti a professioni non ordinistiche di vedersi tutelati nel diritto di cui all’art. 36 della Costituzione anche in assenza di emanazione del decreto da parte del MIMIT (come di fatto sta accadendo) e, con riguardo agli influencer parti di un contratto di influencer marketing, permetterebbe, per lo meno, la tutela di coloro che riescono a concludere i contratti di cui all’art. 2. Per tutti gli altri, ad oggi, non v’è possibilità di vedersi coperti dall’ombrello, invero ipertroficamente selettivo, della legge sull’equo compenso, rimanendo ancorati alla sola propria forza contrattuale.


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